(Bap Publishing, 2014/2020)
Nella nostra cultura, soprattutto quella a partire dal secondo dopoguerra, la famiglia è un elemento della società “indiscutibile”. Il motto “Dio, Patria e Famiglia” e la storia socio-culturale e religiosa del nostro Paese post bellico ci hanno portato generalmente a non mettere in discussione in nessuno caso la famiglia. Ora che la famiglia sia fondamentale in una società, non si discute, ma analizzare e criticare alcuni atteggiamenti e distorsioni che in essa hanno fin troppo spesso luogo, è un altro paio di maniche.
Così, se si esclude l’opera del maestro Eduardo De Filippo fra cui l’immortale commedia “Natale in casa Cupiello”, la nostra cultura è povera di sguardi crudi e sinceri sulle dinamiche più disfunzionali della famiglia, al centro della quale c’è ovviamente la madre (o la nonna) alla quale sono “imposti” caratteri da Beata Vergine che di fatto la cristallizzano in comportamenti molto vicini alla santità.
Ma le mamme e le nonne, così come i papà i nonni, le sorelle ed i fratelli, sono prima di tutto esseri umani fallibili e fragili. E il loro dover aderire sempre e comunque a canoni eterei spirituali e davvero poco umani, anche attraverso segreti bugie ed inutili e dannose omissioni, ha creato non pochi danni e drammi familiari che di fatto pagano le bollette di numerosi analisti e psicoterapeuti da molti decenni.
Così Zerocalcare ci racconta in questo bel fumetto – che personalmente reputo uno dei suoi migliori – il rapporto con sua nonna materna, apparentemente comune e ordinario, ma che prende una piega molto particolare alla morte di questa. La nonna, che si chiamava Huguette, gli lascia, oltre al dolore del distacco, molte lacune nella storia della sua esistenza, lacune che suo malgrado Zerocalcare decide di colmare…
Mia nonna, che a proposito di nomi particolari non era seconda a nessuno visto che si chiamava Creusa (figlia di Priamo, madre di Ascanio e prima moglie di Enea che però, intento nel fugone da Troia in fiamme, se la perse…) oltre a combattere tutta la vita alle Poste o negli uffici pubblici dove solerti impiegati la chiamavo regolarmente Cesara, Cesura o Crosa, nei sui ottantanove anni di vita e soprattutto nei miei 39 vissuti con lei, non riuscì mai a raccontarmi come per buona parte della sua infanzia fosse stata una figlia illegittima, come se “l’infame colpa” fosse stata la sua.
La famiglia: più la conosci …e meno ti uccide.