“Noi due senza domani” di Pierre Granier-Deferre

(Francia/Italia, 1973)

Julien Maroyeur (Jean-Louis Trintignant) è sposato con Monique (Nike Arrighi) che è all’ultimo mese di gravidanza, e insieme hanno già una figlia di sette anni. Come tutti i suoi connazionali d’oltralpe, nel maggio del 1940, viene travolto dalla notizia dell’invasione dal Belgio da parte della Germania nazista. Vivendo nelle Ardenne, a pochi chilometri dal confine col Belgio, decide di fuggire verso sud.

L’unico mezzo a sua disposizione è il treno che parte dalla stazione del piccolo paese in cui vive. Se Monique, visto il suo stato, e la loro bambina vengono ospitate in prima classe, lui si deve arrangiare in uno degli ultimi vagoni merci, come fanno tutti gli altri.

Inizia così un lungo viaggio fatto di attese sotto l’ombra tragica della guerra sempre più vicina. Sul vagone Julien incrocia gli occhi splendidi ma al tempo stesso addolorati di Anna (Romy Schneider), una donna sola che sta fuggendo anche lei dalla guerra. Durante una delle innumerevoli fermate una notte il treno viene diviso e, senza che Julien se ne accorga, il vagone di prima classe con Monique e la piccola viene attaccato ad un altra locomotiva e parte per un’ignota destinazione.

Intanto fra lui e Anna nasce una relazione che li fa diventare, nel micromondo del vagone, una vera e propria coppia. Anna le confessa di essere fuggita dalla Germania perché ebrea. Due anni prima suo marito, il direttore di un’importante quotidiano liberale, è stato prelevato dalle forze dell’ordine del III Reich e sparito nel nulla. Pochi giorni prima della sua fuga i nazisti hanno arrestato anche i suoi genitori.

Dopo parecchie settimane finalmente Anna e Julien riescono a raggiungere l’ospedale dove ha appena partorito Monique, ma Anna…

Tratto dal bellissimo romanzo “Il treno” pubblicato dal maestro Georges Simenon nel 1961 questo film, scritto dallo stesso Pierre Granier-Deferre assieme a Pascal Jardin, ci racconta in maniera indiretta la tragedia della guerra non dal punto di vista di chi la combatte in prima linea, ma da chi la subisce passivamente cercando solo un rifugio per se i per i suoi affetti più cari. Argomento che drammaticamente, purtroppo, non diventa mai obsoleto anche nel nostro Paese.

Rispetto alla storia e ai personaggi disegnati superbamente dal maestro Simenon, Granier-Deferre inserisce alcune differenze che trovano il loro apice nella struggente scena finale. Da ricordare l’ottima interpretazione dei due protagonisti: il “solito” bravissimo Trintignant nel ruolo di un uomo pacato e apparentemente passivo, e la Schneider col suo sguardo bellissimo ma al tempo stesso fragile e tormentato.

Nella nostra versione a curare l’adattamento dei dialoghi è Sandro Continenza.

“Il treno” di Georges Simenon

(Adelphi, 2013)

Marcel Féron è un uomo mite. I suoi gravi problemi agli occhi lo hanno reso un bambino sempre molto pacato prima e un adulto sempre molto calmo poi. Data la sua salute cagionevole – è stato affetto anche dalla tubercolosi – e la sua vista limitata, a causa della quale Julien ha dovuto portare quasi da subito degli occhiali con delle enormi lenti a “fondo di bottiglia”, è stato sempre convinto di dover passare una vita solitaria.

Ma grazie alla sua passione per la meccanica e per l’elettricità è riuscito ad aprirsi un laboratorio di riparazioni e vendita di apparecchi radiofonici. Ma soprattutto Marcel, contro ogni sua aspettativa, ha creato una famiglia. Si è sposato con Jeanne e da lei ha avuto la piccola Sophie.

Adesso sua moglie è nuovamente incinta, ed è al settimo mese di gravidanza. Tutto sembra procedere nei binari ordinari e pacifici che tanto si addicono a Marcel, ma invece vacilla nel maggio del 1940 quando le truppe della Wehrmacht invadono il Belgio.

La località francese dove vive Marcel, con la sua famiglia, si trova nelle Ardenne ed è proprio al confine col Belgio. Già dall’alba le strade della cittadina si riempiono di numerosi furgoncini o automobili belgi, che fuggono dalle truppe tedesche.

Marcel, in poche ore, decide di partire per proteggere sua moglie e sua figlia. Ma non possedendo alcun mezzo di trasporto, fatta eccezione di un piccolo carretto in legno che usa per riconsegnare le radio ai clienti, è costretto a recarsi nella piccola stazione locale, che è già invasa da decine di persone che come lui vogliono mettersi in salvo.

I volontari e le ausiliare fanno salire, visto il suo stato, Jeanne e la piccola Sophie sul vagone di prima classe, mentre Marcel riesce a trovare un angolo in uno dei vagoni merci in fondo al convoglio.

In pochi instanti i Féron diventano una famiglia di profughi senza più una casa e una vera destinazione, se non un luogo che sia il più lontano possibile dalla guerra. Inizia così un viaggio allucinante, fatto di separazione, di interminabili ore fermi in un binario morto, senza spesso poter neanche scendere.

Col passare del tempo, sul vagone, si crea una micro società con le sue regole e le sue concessioni. E proprio sul vagone Marcel incrocia lo sguardo di Anna, una giovane donna austera e volitiva, e come lui sola…

Ancora un indimenticabile viaggio – è proprio il caso di dirlo – che il maestro Simenon ci fa fare nell’animo di un uomo che tutti, a partire da se stesso, hanno sempre considerato semplice e forse anche mediocre. Ma gli eventi lo porteranno a precipitare negli occhi di una donna enigmatica ma al tempo stesso limpida. Una donna molto particolare, irrisolta e per questo tanto reale, come forse solo il maestro Simenon sapeva tratteggiare.

Scritto nel 1961, questo bel romanzo acquista oggi un sapore ancora più particolare raccontandoci di profughi, viaggi della speranza e treni che portano lontano dalla guerra, argomento funesto tragico e tanto – …troppo – attuale.

Nel 1973 Pierre Granier-Deferre dirige l’adattamento cinematografico dal titolo “Noi due senza domani” con Jean-Louis Trintignant e Romy Schneider.