“Luna arrabbiata” di Bryan Forbes

(UK, 1970)

Il britannico Peter Marshall (1939-1972) all’età di 18 anni venne colpito dalla poliomielite che lo costrinse per il resto della sua esistenza su una sedia a rotelle. Nel 1962 pubblicò la sua autobiografia “Two Lives” che racconta le sue due differenti vite: prima e dopo la polio. Pubblicò anche due romanzi: “The Raging Moon” nel 1964 e “Excluded from the Cemetery” nel 1966, incentrati sulle grandi difficoltà fisiche ed emotive delle persone con disabilità motoria in tempi in cui venivano chiamati spesso, non senza disprezzo velato da ipocrita compassione, “storpi”.

Nel 1970 l’attore, produttore, regista e sceneggiatore Bryan Forbes realizza l’adattamento cinematografico del suo primo romanzo che prende il titolo da un verso della poesia di Dylan Thomas “In My Craft Or Sullen Art” che, recitata fuori campo dal protagonista, apre anche la pellicola.

Bruce Pritchard (un ottimo Malcom McDowell) è un ventiquattrenne impenitente e superficiale. Ama le ragazze e il gioco del calcio che pratica come punta in una piccola squadra della sua città. Quando suo fratello maggiore Harold, con cui ha condiviso la stanza fin dalla nascita, si sposa Bruce partecipa, con sarcasmo e ironia tagliente, alle nozze in qualità di testimone dello sposo. Ma alla fine del party, proprio quando sta tornando a casa, è colpito da un grave malore.

Si risveglia nel letto di un ospedale senza più poter usare le gambe: la grave infezione che lo ha colpito, infatti, gli ha lesionato irrimediabilmente una parte della colonna vertebrale. Piuttosto che tornare a casa dai suoi, Bruce chiede di essere ospitato in un centro per disabili motori dove inizia la sua nuova esistenza.

La grande casa è stata fondata da un Commendatore dell’Impero Britannico per ospitare suo figlio paraplegico ancora bambino; figlio che ormai è diventato l’ospite più anziano avendo raggiunto la mezza età. La struttura è gestita dalla Chiesa Anglicana e sostenuta dalla beneficenza dei ricchi e dei nobili della contea. I primi giorni per Bruce sono difficili per il suo carattere irriverente schietto e arrabbiato con tutti, soprattutto nei confronti della fede, fede che lui ha perso definitivamente per la malattia che lo ha colpito.

A cambiare la prospettiva di Bruce sarà l’incontro con Jill Matthews (Nanette Newman), una storica ma giovane ospite della struttura che però sta per tornare a casa per sposarsi…

Struggente pellicola che ci racconta – nella grande tradizione anglosassone – senza false ipocrisie e perbenismi la tragedia di chi non può più essere indipendente e camminare, tragedia acuita dall’arrogante compassione di tutti coloro che sono terrorizzati e spesso anche schifati dalla disabilità, anche all’interno della famiglia, e per questo si chetano la coscienza facendo della beneficenza o semplicemente guardando da un’altra parte.

Personalmente reputo la storia fra Bruce e Jill una delle più autentiche ed emozionanti raccontate sul grande schermo. Loro si amano non perché entrambi disabili, come una certa parte dell’opinione pubblica anche nel nostro Paese vorrebbe – con ipocrita e velato razzismo: i diversi con i diversi! – ma “semplicemente” perché si sono trovati e si desiderano perdutamente.

Il loro rapporto solleva poi un grande “dilemma” pratico e morale: due disabili posso sposarsi e quindi “ufficialmente” fare sesso sotto l’egida della Chiesa? …O forse è meglio mantenere le cose così come sono, senza attirare troppa attenzione sulla questione?

La scena finale, di cui naturalmente non anticipo nulla, rimane una delle più toccanti del cinema britannico, e non solo.

Da vedere.

Purtroppo questa pellicola – come d’altronde l’omonimo romanzo originale “The Raging Moon” di Marshall – è praticamente introvabile nella nostra versione. Merita comunque di essere vista, in quella originale, anche per apprezzare le ottime interpretazioni di McDowell e della Newman. Nel cast va ricordato anche Bernard Lee, che veste i panni dello zio Bob di Bruce, primo attore ad interpretare il famigerato “M” nella saga di 007.

“An Inspector Calls” di Guy Hamilton

(UK, 1954)

Inghilterra, 1912. La famiglia Birling si considera una delle più in vista della città, o meglio, i suoi membri vorrebbero diventare fra i più invidiati e rispettati della aristocrazia cittadina. A partire dal patriarca, nonché ex sindaco, Mr. Birling (Arthur Young) che con pugno duro e spietato dirige la sua fabbrica; così come Mrs. Birling (Olga Lindo) che come Presidente di una società caritatevole per giovani “sfortunate” sa bene cosa è giusto e cosa è sbagliato, e soprattutto chi si merita il suo aiuto e chi no.

Anche i due figli: Eric (Bryan Forbes) e Sheila (Eileen Moore) seguono la scia segnata dai genitori, il primo lavorando nella ditta di famiglia ma con una smodata passione per le ragazze e l’alcol, e la seconda felice promessa sposa di Gerald Croft (Brian Worth), figlio di Lady Croft, una delle persone più influenti della contea.

Proprio durante il festeggiamento per il fidanzamento dei due, in casa Birling piomba l’enigmatico ispettore Poole (Alistair Sim) che, suo malgrado – così almeno afferma lui – deve porre alcune domande sulla giovane Eva Smith (Jane Wenham) che solo un paio di ore prima è spirata in ospedale dopo aver ingerito del disinfettante.

Mr. Birling, indignato, protesta per l’arroganza dell’ufficiale della Polizia che per la morte di una “insignificante” sconosciuta si è permesso di disturbare una famiglia in vista come la sua, ma Poole, mostrando personalmente a ogni convitato la foto della giovane, dimostra che tutti i presenti hanno avuto contatti con lei. Ripercorriamo così, in una serie di flashback, l’ultima parte della vita di Eva Smith che alla fine, disperata e sola, ha deciso di farla finita. Ma…

Con un colpo di scena finale indimenticabile, “An Inspector Calls” rimane fra i migliori adattamenti cinematografici dell’omonima pièce teatrale firmata da John Boyton Priestley. Nonostante la più che evidente natura teatrale dell’opera, Guy Hamilton (che a partire dal 1964 diventerà fra i registi di spicco della saga dedicata all’agente 007 James Bond) riesce a realizzare un film che non rimane semplicemente teatro filmato, ma acquista profondità e una propria ragione d’essere.

Bisogna tornare all’epoca in cui approdò nelle sale britanniche, per comprendere perché quest’ottima pellicola non raggiunse mai le nostre. Perché questo film, incredibilmente, non è mai stato distribuito nel nostro Paese e non ne esiste una versione ufficiale originale doppiata in italiano.

La prima assoluta di “An Inspector Calls” di Priestley (opera teatrale che da noi venne tradotta col titolo “Un ispettore in casa Birling”) avvenne il 6 luglio del 1945 al teatro Kamerny di Mosca. Il luogo del suo debutto, le dichiarate posizioni socialiste del suo autore, e soprattutto la feroce critica a quella parte della società più reazionaria e ottusa che lancia il dramma, fecero evidentemente preoccupare i nostri distributori che preferirono evitare …”beghe” politiche. La denuncia di Priestley era diretta indiscutibilmente contro la “vecchia” e egoista aristocrazia vittoriana ed edoardiana, che col suo aggressivo capitalismo, assieme all’imperialismo senza scrupoli, si era arricchita rendendo al tempo stesso più povere le classi meno abbienti del proprio Paese.

L’unica possibilità di “salvezza”, per l’autore, erano le nuove generazioni: le uniche capaci di strapparsi i paraocchi e vedere senza filtri la dura realtà. Applicare questa critica al Belpaese di quegli anni, molto probabilmente, avrebbe portato a discutere del ventennio fascista chiusosi da poco e delle responsabilità della Chiesa Cattolica Romana nella Seconda Guerra Mondiale, nonché della sua ingerenza nella vita politica della neonata Repubblica Italiana. Ma sopratutto avrebbe spezzato numerose lance a favore delle idee socialiste e comuniste che nel secondo dopoguerra stavano sempre più facendo seguaci anche nel nostro Paese.

D’altronde è dello stesso anno il film di Carlo Lizzani “Cronache di poveri amanti” che venne accolto trionfalmente al Festival di Cannes ma che – riportano molte cronache dell’epoca – non fu premiato con la Palma d’Oro per un presunto intervento del nostro Governo, vista la storia narrata e il fatto che il suo regista fosse un membro attivo del Partito Comunista Italiano.

Ma anche tralasciando queste considerazioni, “An Inspector Calls” è ancora oggi una bella pellicola da rivedere.