“El Conde” di Pablo Larraín

(Cile, 2023)

L’11 settembre del 1973 il generale Augusto Pinochet (1915-2006), capo dell’esercito cileno mise sotto assedio il palazzo Presidenziale per rovesciare il governo guidato da Salvador Allende – a cui lo stesso Pinochet aveva prestato solenne giuramento – democraticamente eletto tre anni prima, e instaurare una delle più feroci dittature del Novecento che causò la morte di oltre 60.000 persone accertate e la tortura e la mutilazione di centinaia di migliaia di oppositori; dittatura assoluta che durò circa vent’anni.

Il golpe di Pinochet venne sostenuto apertamente da molti paesi occidentali, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Vaticano che, nel corso degli anni, allacciarono rapporti economici e finanziari molto stretti col dittatore, nonostante le grandi proteste delle società civile.

Nel cinquantenario dell’assalto al palazzo Presidenziale – compiuto anche con bombardieri di fabbricazione britannica – Pablo Larraín racconta la storia di un vecchio Pinochet che, non essendo morto veramente nel 2006, vive assieme alla moglie e al suo fedele “servo”, relegato in un’isola cilena.

El Conte (Jaime Vadell), come esige essere chiamato in privato Pinochet, non è morto e non può morire come gli altri esseri umani perché in realtà è un vampiro, nato nel ventre di Parigi col nome di Claude Pinoche nella seconda metà del XVIII secolo. Divenuto un soldato al servizio di Luigi XVI, allo scoppio della rivoluzione fugge via, ma giura a se stesso di vendicarsi contro tutti i rivoluzionari che incontrerà sulla sua strada. Negli anni Trenta del XX secolo si stabilisce in Cile dove cambia nome e compie una folgorante carriera militare che lo porta a diventare capo dell’esercito cileno e poi despota assoluto.

Ormai però, passati i 250 anni d’età, è stanco e vuole morire veramente, così decide di smettere di bere il sangue e mangiare il cuore del suo popolo. Ma sua moglie Lucia (Gloria Münchmeyer) e i suoi cinque figli – nessuno dei quali è un vampiro come lui – esigono ad ogni costo che prima consegni loro tutti i numerosi e consistenti beni che ha messo da parte e nascosto nel corso della sua dittatura.

Anche la Chiesa Cattolica Romana vuole una parte di quell’immenso patrimonio, e così riesce a far mandare sull’isola Carmencita (Paula Luchsinger), una giovane suora esperta di esorcismi ma soprattutto di bilanci e finanza…

Scritto da Larrìn assieme a Guillermo Calderón (premiati alla Festa del Cinema di Venezia per la loro sceneggiatura) questo film ripercorre in maniera indiretta, surreale e cruda la ferocia e la tirannia di Pinochet, e l’oscura e terribile eredità che ha lasciato ai suoi connazionali. Probabilmente non esiste metafora migliore, per tratteggiare un dittatore, di un famelico vampiro assetato di sangue. Perché, oltre alla violenza e alla cattiveria, un dittatore per arricchire se stesso affama e dissangua il proprio Paese.

Con immagini surreali, oniriche crude e violente, girate in un bianco e nero davvero d’effetto, Larraín ci racconta una storia del nostro recente passato che purtroppo rischia, anche non troppo lontano dai nostri confini, di diventare futuro. E poi ci sottolinea come sia importante ricordare le atrocità di Pinochet anche solo per rendere omaggio alle sue vittime, soprattutto a quelle che sono sparite nel nulla, probabilmente bruciate e poi gettate dagli elicotteri nel mare, che non avranno mai una tomba.

Come è giusto ricordare chi, per anni, lo sostenne consentendogli di rimanere al potere e poi lo difese quando venne processato per i suoi gravi crimini contro l’umanità come, ad esempio, l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher.

Terrificante e sanguinario, proprio come una dittatura.