“La lunga notte del ‘43” di Florestano Vancini

(Italia, 1960)

In uno degli anni più importanti del cinema italiano (lo stesso in cui uscirono “La dolce vita” di Federico Fellini, “La ciociara” di Vittorio De Sica, “L’avventura” di Michelangelo Antonioni, “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti, “Tutti a casa” di Luigi Comencini e “Kapò” di Gillo Pontecorvo, tanto per citare solo i più famosi) esordisce alla regia Florestano Vancini con un film tratto da un racconto di Giorgio Bassani e sceneggiato da Pier Paolo Pasolini e Ennio De Concini insieme allo stesso Vancini.

Oltre alla drammatica vicenda che quasi tutto il film racconta, la sommaria e ingiustificata fucilazione di 11 antifascisti come rappresaglia per l’assassinio del capo dell’ufficio federale fascista della città (in realtà freddato da un sicario inviato da Carlo Aretusi, fascista della prima ora, che così riacquista il potere locale), la cosa che a distanza ancora colpisce come un pugno allo stomaco è la scena finale.

Ambientata nel 1960, in maniera quasi profetica, ci descrive l’Italia del boom economico così incredibilmente vicina a quella del “nuovo miracolo italiano”.

Gino Cervi, nei panni dell’Aretusi, ci regala un’interpretazione indimenticabile. Premio Miglior Opera Prima alla Mostra del Cinema di Venezia.

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