“Radio America” di Robert Altman

(USA, 2006)

A Prairie Home Companion” (che è anche il titolo originale del film) è stato per oltre quarant’anni uno dei programmi radiofonici dal vivo più noti degli Stati Uniti, trasmesso su oltre 690 stazioni con picchi fino a quattro milioni di ascoltatori settimanali. Noto sia per i suoi ospiti musicali, in particolare musicisti folk e tradizionali, che per i “drammi” radiofonici a base di ironia e comicità classica.

A condurlo e scriverlo, dal 1974 al 2016, è stato il poliedrico Garrison Keillor. E’ lo stesso Keillor che propone al grande Robert Altman una sua sceneggiatura ispirata al programma. Ma nello script il programma è arrivato alla sua ultima puntata, perché i proprietari della WLT (che produce lo spettacolo e possiede anche il teatro da dove si trasmette, sito in una cittadina del Minnesota) hanno venduto tutto ad una compagnia texana. I nuovi proprietari hanno già deciso di chiudere lo show e realizzare un ampio parcheggio al posto del teatro.

Così seguiamo, quasi in tempo reale, l’ultima puntata di uno show già “defunto”, dove gli autori, i musicisti, così come i tecnici fino al rumorista, non possono opporsi all’inevitabile.

Con un cast straordinario su cui spiccano Meryl Streep, John C. Reilly, Kevin Kline, Woody Harrelson, Lily Tomlin e lo stesso Garrison Keillor (nel ruolo di GK) “Radio America” è anche – purtroppo – l’ultima opera di Altman che scomparirà per una lunga malattia pochi mesi dopo l’uscita della pellicola nelle sale.

Non è un caso, quindi, il personaggio della “donna pericolosa” che si aggira per lo studio, una sorta di “angelo della morte” che con calma e serenità prepara tutti all’ineluttabile. Delizioso e malinconico, questo film ci ricorda che gran regista di classe era Altman, maestro – come pochi altri – di film corali

Il dvd contiene una ricca sezione degli extra con un gustoso “Making of” e le interviste a tutti i protagonisti della pellicola, compreso anche Altman.

“Dalle 9 alle 5 orario continuato” di Colin Higgins

(USA, 1980)

Sono passati esattamente trentanove anni dall’uscita nelle sale di questa pungente commedia sul maschilismo becero e imperante nel mondo del lavoro, e noi ancora parliamo di “quote rosa”.

Quando Patricia Resnick e lo stesso Colin Higgins – che poi lo dirigerà – iniziarono a scrivere la sceneggiatura di questo film, negli Stati Uniti così come nel resto dell’Occidente, si respirava un’aria di cambiamento. Le lotte sociali degli anni precedenti sembravano aver creato l’atmosfera giusta per portare le donne, per la prima volta nella storia, a chiedere e pretendere le stesse possibilità degli uomini anche nell’ambito lavorativo.

Ma l’ipocrita e subdolo maschilismo è sempre stato una brutta bestia, viscida e infida, e così gli autori dovettero comunque creare una storia con tinte grottesche per permettere a tre donne di gestire – molto meglio degli uomini, ovviamente – un intero reparto di una grande compagnia multinazionale americana.

Se negli Stati Uniti, così come in alcuni altri grandi paesi industrializzati, negli ultimi quarant’anni sono brillate manager capaci e innovative, nel nostro Paese, escludendo la compianta Marisa Bellisario (che per le sue rare e incredibili doti manageriali era chiamata vilmente da alcuni suoi colleghi ometti – evidentemente invidiosi e con più che giustificati sensi di inferiorità – “la signora coi baffi”, soprannome che la dice lunga sulla nostra cultura, troppo spesso miope e femminicida, che non riesce ancora ad accettare completamente doti e capacità solo al femminile, tanto che fra i termini più usati per descrivere qualcuno molto abile, intelligente e preparato usa il termine “cazzuto”…) non è stato concesso loro lo spazio necessario. Basta pensare al fatto che il primo Ministro degli Interni donna, nella storia della Repubblica Italiana, è stata Rosa Russo Iervolino che giurò il 21 ottobre del 1998.

Ma torniamo al film di Higgins: Judy Bernly (una sempre brava, ammaliante e permanentata Jane Fonda) è stata lasciata dal marito, per la sua giovane e procace segretaria, dopo oltre quindici anni di matrimonio. Sola e senza figli, Judy è costretta a entrare nel mondo del lavoro alla soglia dei quarant’anni, come anonima segretaria nella sede di Los Angeles di una grande compagnia internazionale.

Viene assegnata nel reparto gestito da oltre cinque anni dalla capace e competente Violet Newstead (Lily Tomlin) il cui capo e il dirigente è Franklin M. Hart Jr. (un bravo quanto antipatico Dabney Coleman), suo ex collega che lei stessa ha aiutato a far carriera, ma che adesso la sfrutta con arroganza e meschinità.

La procace segretaria di Hart è Doralee Rodhes (un’esordiente davanti alla MDP Dolly Parton) che lo stesso dirigente fa credere a tutti essere la sua amante. Le tre donne, stanche dei soprusi arroganti e sessisti del loro capo, decidono di passare insieme una serata fantasticando su come, ognuna di loro, lo ucciderebbe il più crudelmente possibile.

La mattina dopo, mentre Violet prepara il caffè per Hart – fra i suoi esaltanti compiti quotidiani… – erroneamente invece dello zucchero ci mette del micidiale veleno per topi. L’uomo, poco prima di bere il caffè avvelenato però sbatte casualmente la testa perdendo i sensi e subito viene portato all’Ospedale per accertamenti.

Quando Violet si rende conto dello scambio che ha fatto e vede portar via l’uomo in ambulanza si convince di averlo avvelenato. Con Judy e Doralee corre in ospedale ma…

Higgins dirige una godibilissima commedia che ancora oggi ci fa riflettere, indignare e anche sorridere.

Per la chicca: Jane Fonda, per interpretare il ruolo di Judy, volle prima intervistare decine di donne entrate nel mondo del lavoro tardi, rispetto ai canoni di allora, per motivi legati al divorzio o alla morte del coniuge.