“La parola ai giurati” di Sidney Lumet

(USA, 1957)

Il 13 aprile del 1957 usciva nella sale statunitensi lo splendido “La parola ai giurati” diretto dall’esordiente Sidney Lumet.

Reginald Rose, nato a New York nel 1920, appena congedato dall’esercito americano decide di guadagnarsi da vivere scrivendo soggetti per il nuovo e singolare mezzo che inesorabilmente sta prendendo sempre più piede nelle famiglie americane: la televisione.

Nei primi anni Cinquanta inizia a collaborare con la CBS firmando drammi da un’ora per la serie Studio One. Una mattina gli viene recapitata la convocazione per far parte della giuria in un processo per omicidio.

Il giovane rimane impressionato dalle dinamiche legali, e soprattutto da quelle umane, che si avvicendano durante tutte le sedute. Quando, dopo le arringhe dei legali, è chiuso nella stanza della giuria assistendo al dibattito, capisce di avere davanti agli occhi “il dramma perfetto” da raccontare.

In poco tempo Rose scrive lo script de “La parola ai giurati” che, svolgendosi tutto nella stanza di una giuria, sembra perfetto per il teatro e per l’allora fiction televisiva che ad esso si ispirava. L’episodio di un’ora viene trasmesso nel 1954. Il successo è davvero grande e così la produzione decide di realizzare un adattamento cinematografico.

Allo stesso Rose viene affidato il compito di scrivere la sceneggiatura, mentre al giovane, ma già esperto regista di drammi televisivi, Sidney Lumet viene affidata la regia.

Se nel ruolo del protagonista viene chiamata una stella di prima grandezza come il sempre bravo Henry Fonda, per quelli dei comprimari vengono scelti alcuni fra migliori caratteristi di Hollywood, che poi diverranno protagonisti o coprotagonisti di numerose serie televisive di successo, meno famosi ma che con la loro bravura renderanno la pellicola una delle più belle della storia del cinema.

Nella piccola stanza di un tribunale la giuria, formata da dodici individui che non si conoscono, deve scegliere se dichiarare il giovane imputato presunto parricida colpevole o innocente. Il caso sembra semplice, tutti gli indizi sono a sfavore del ragazzo, ma alla prima votazione salta fuori un giurato contrario alla condanna.

Si tratta del giurato n.8 (un Henry Fonda davvero luminoso) che ammette di non essere affatto certo dell’innocenza dell’imputato, e per questo quindi non può essere sicuro della sua colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”.

L’uomo viene quasi aggredito verbalmente dagli altri giurati, molti dei quali vorrebbero tornare rapidamente alle loro occupazioni quotidiane, ma il giurato n. 8 inizia a smontare ogni indizio che fino a quel momento sembrava davvero ineccepibile…

Strepitosa pellicola, girata in uno splendido bianco e nero, che di fatto fonda (non l’attore!) il genere legal drama, e che ci pone una delle domande basiche della nostra società: quanto riusciamo a essere obiettivi e imparziali, nonostante le nostre esperienze personali?

Da antologia.

Il film, oltre ad essere candidato a tre premi Oscar e quattro Golden Globe, vince l’Orso d’Oro al Festival di Berlino.

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