“Il ragazzo e l’airone” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 2023)

Tornano al cinema, dopo oltre in decennio, il maestro Hayao Miyazaki e la sua arte con un nuovo ed inedito lungometraggio animato.

Le genesi di questo film è stata molto lunga e travagliata – ci si è messa anche la pandemia, per esempio – ma il genio giapponese alla fine è riuscito a regalarci un’altra storia fantastica ed indimenticabile, piena di sublimi citazioni e auto citazioni che mandano in estasi gli amanti dello Studio Ghibli, come me.

Il maestro Miyazaki, a cui la produzione – a cui ha partecipato anche lo Studio Ponoc – non ha messo alcun vincolo di tempo o di trama – rendendo questa pellicola di fatto una delle più costose del cinema giapponese – scrive e dirige una storia che ha accenni autobiografici ambientata in un periodo ricorrente per il regista: la Seconda Guerra Mondiale, che per il Giappone, più che per altri paesi, ha segnato un momento tragico devastante e sanguinario.

Tokyo 1943, il piccolo Mahito – che nei tratti e nell’abbigliamento ricorda molto Seita, il protagonista dello struggente “La tomba delle lucciole” diretto nel 1988 da Yasao Takahata, stretto e storico collaboratore di Miyazaki – viene svegliato nella notte dalle sirene che urlano a causa del grande incendio che sta divorando l’ospedale dove è ricoverata sua madre.

Nonostante i soccorsi e la corsa disperata del padre Shoichi e dello stesso Mahito, la donna muore arsa dalle fiamme, così come molti altri pazienti. L’anno successivo, insieme a suo padre noto ingegnere aeronautico, Mahito si trasferisce nell’antica tenuta di campagna della famiglia di sua madre, non lontana dalla fabbrica che Shoichi ha iniziato a dirigere.

Nella tenuta ad attenderli c’è Natsuko, la sorella di sua madre che ora è la nuova consorte di Shoichi e da lui aspetta un bambino. Mahito, che non ha minimamente superato la morte della madre e il senso di colpa nel non essere riuscito a salvarla, stenta ad ambientarsi fino a quando non scopre un’antica torre costruita dal pro zio della madre.

Le persone di servizio presso la residenza gli raccontato che quello strano edificio è stato costruito intorno ad un misterioso meteorite caduto dal cielo. Molti anni prima una ragazza era scomparsa nei suoi pressi ed era tornata solo l’anno successivo, in perfetta salute e apparentemente non invecchiata di un giorno. Per questo gli accessi alla torre sono stati tutti murati. Ma uno strano e aggressivo airone cenerino inizia a inseguire Mahito, attirandolo proprio in quella torre misteriosa…

Ancora una volta Miyazaki ci regala 124 minuti di vera struggente e memorabile poesia in movimento, con una storia di formazione dolorosa ma allo tempo stesso splendente. I riferimenti alla sua cinematografia come alla letteratura sono numerosi e bellissimi; possiamo goderci, infatti, quelli a Dante, così come quelli dichiarati al romanzo “E voi come vivrete?”, scritto da Genzaburō Yoshino nel 1937, e ispirazione primaria per la stesura dello script del film.

Fantastici, come sempre, anche quelli visivi a partire dal quadro “L’isola dei morti” che l’artista svizzero Arnold Böcklin realizzò a partire dal 1880. E proprio nel quadro di Böcklin, Miyazaki ambienta un nodo narrativo cruciale, che connota alla pellicola un’atmosfera cupa, sia per l’ombra sempre più opprimente della Seconda Guerra Mondiale – che direttamente però non appare mai – sia per il lutto che rappresenta l’abbandono definitivo dell’infanzia, lutto che avviene per l’inesorabile passare del tempo o per la perdita di un affetto caro, come nel caso di Mahito.

Chi ama il cinema, l’arte e la fantasia non può non vedere questa nuova pellicola del genio giapponese, che rende il nostro mondo – che sta vivendo un momento storico particolarmente tragico e drammatico, tanto e troppo simile al periodo narrato – meno duro e più sopportabile.

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