“Flee” di Jonas Poher Rasmussen

(Danimarca/Francia/Svezia/Norvegia/Paesi Bassi/UK/USA/Finlandia/Italia/Spagna/Estonia/Slovenia, 2022)

La traduzione del verbo inglese to flee è, nella nostra lingua, fuggire. E la storia che questo bellissimo e durissimo film d’animazione ci racconta è quella lunga e straziante di una fuga dalla propria casa, dal dolore e alla fine anche da se stesso di Amin, un giovane e molto apprezzato docente universitario danese, con un passato da migrante e rifugiato politico.

Amin ha 36 anni e sta per sposarsi col suo compagno, che intende comprare una casa in comune nella campagna presso Copenaghen. E forse è anche per questo, di fronte ad un evento così importante, che Amin sente l’esigenza di raccontare la sua storia, quella vera, e non quella che è scritta nel suo fascicolo.

Così accetta di fare una lunga intervista ad un suo ex compagno delle superiori divenuto nel frattempo un regista, chiaro alter ego di Jonas Poher Rasmussen. Amin è nato negli anni Settanta a Kabul. Durante la sua infanzia in Afghanistan avviene il colpo di stato che porta il Partito Comunista nazionale a prendere il potere. Suo padre, pilota militare, viene epurato e pochi mesi dopo viene arrestato come nemico del popolo.

Tre mesi dopo la famiglia di Amin perde definitivamente le sue tracce, perché l’uomo è letteralmente scomparso nel nulla. Qualche anno dopo la situazione politica dell’Afghanistan cambia nuovamente e le truppe dell’U.R.S.S. che lo avevano invaso iniziano i loro ritiro, lasciando sempre più campo ai talebani armati indirettamente degli Stati Uniti. Col passare del tempo il pericolo di feroci e sanguinarie ritorsioni è concreto, e così la famiglia di Amin decide di lasciare definitivamente il Paese. L’unica nazione disposta a fornire loro un visto turistico è la ex Unione Sovietica che è appena tornata a chiamarsi Russia.

Amin, sua madre, le sue due sorelle e il fratello più grande vengono sistemati in un piccolo appartamento popolare a Mosca, in attesa di raggiungere il fratello maggiore in Svezia, che è anche l’unica fonte di reddito di tutti. E sarà lui, dall’Europa, a contattare e pagare i mercanti di essere umani cercando disperatamente di riunire in Svezia tutta la famiglia.

Intanto, scaduto il permesso di soggiorno, la vita a Mosca diventa terribile perché la corruzione detta legge in ogni ambito pubblico, soprattutto fra la Polizia che va letteralmente a caccia dei migranti clandestini per ricattarli, prendergli i soldi o …la dignità.

Iniziano così per Amin e i suoi cari i cosiddetti i viaggi della “speranza” che si rivelano sempre atroci e terrificanti sfruttamenti di esseri umani che fuggono da situazioni altrettanto tragiche e terribili. Quando, finalmente, Amin ancora minorenne riesce a raggiungere l’Europa, e in particolare la Danimarca, come ordinatogli dall’uomo che lo ha aiutato a viaggiare clandestinamente, racconta a chi lo accoglie che tutta la sua famiglia è stata uccisa in Afghanistan e lui è rimasto solo al mondo…

La storia di Amin (il cui nome è fittizio per tutelarne la privacy e la sicurezza) è una vicenda ancora tragicamente attuale. I nostri mari sono divenuti e continuano a diventare la tomba senza fondo di numerosi esseri umani che tentano di raggiungere la nostre coste con la speranza di poter iniziare una nuova esistenza, fuggendo da una realtà atroce e sanguinaria.

Per non parlare dell’Afghanistan la cui storia attuale ricalca esattamente quella raccontata da Amin e risalente a tre decenni fa. Le immagini delle migliaia di persone in fuga che cercano di seguire disperatamente le truppe americane che si ritirano lasciando il Paese in mano ai talebani, risalgono solo a due anni fa.

Le enormi disparità sociali ed economiche che ancora contraddistinguono il nostro Pianeta sono il motore delle enormi migrazioni umane che hanno come terra promessa soprattutto l’Occidente. Occidente che è al tempo stesso il grande responsabile di tali disparità, e che troppo spesso come unica risposta alza muri e chiude porti.

E per far accettare tale strategia all’opinione pubblica è necessario che i migranti che arrivano siano una massa anonima e informe, da contenere e isolare. Questo film, invece, raccontandoci la storia di un ragazzino ci illumina, rompendo l’ipocrisia della “massa informe” che a tanti fa così comodo per chetare la propria coscienza.

Così, anche nel nostro Paese che ha indiscutibilmente radici cristiane tolleranti e d’accoglienza, c’è ancora chi usa lo spauracchio degli immigrati per i propri scopi politici o economici. Il problema ancora più grave è chi asseconda tali soggetti.

“Flee” ha vinto, giustamente, molti premi in numerose manifestazioni in tutto il mondo fra cui spiccano: il Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival e tre candidature agli Oscar.

Da vedere e far vedere a scuola.

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