“Il paese senza cielo” di Giorgio Scerbanenco

(Alberti Editore, 2002)

Alla fine degli anni Trenta, Cesare Zavattini e Federico Pedrocchi (il primo papà del Paperino italiano) commissionano al giovane Giorgio Scerbanenco un romanzo di fantascienza per ragazzi da pubblicare a puntate sulle riviste edite da Mondadori: “L’Audace”, “Topolino” e “Paperino”. Le illustrazioni verranno firmate dagli artisti Giuseppe Ingegnoli e Giovanni Scolari.

Nell’aprile del 1939 esce sulle tre testate la prima puntata de “Il Paese senza cielo” che di fatto inaugura la letteratura contemporanea italiana di fantascienza per ragazzi. Le ferree regole dell’editoria sotto il regime fascista esigono che i “malfatti” non possano consumarsi sul puro e giusto suolo italico, così come i “criminali” non possano essere figli della Lupa. 

Ci troviamo così nella Milano del 2002 dove il giovane Elio Aprile, poco più che un adolescente, suo malgrado viene coinvolto in una vicenda internazionale fatta di spie, delitti e pericoli mortali tutti però commessi all’estero e soprattutto negli Stati Uniti. Infatti il Grande Rapace, ultimo discendente dei nativi americani – che allora si chiamavano con poco rispetto “pellirosse” – grazie al genio scientifico del colonnello Glub ha popolato di oltre otto milioni di suoi cloni le enormi grotte e gallerie che si trovano nel sottosuolo a stelle e strisce.

Doma Everom, il nome del Paese senza cielo, è però tecnologicamente avanzato – soprattutto in campo bellico – e si sta preparando a invadere e conquistare la superficie. Il Presidente degli Stati Uniti, venuto a conoscenza dell’imminente pericolo, invia le sue truppe all’ingresso della caverna che conduce a Doma Everom per capovolgere la situazione. Siamo così sull’orlo dello scoppio di una guerra sanguinaria che travolgerà milioni di vite umane, ma che Elio e il suo manipolo di amici potrebbero evitare…

Godibilissimo romanzo di fantascienza che ci racconta, molto più efficacemente di molti saggi e cronache dell’epoca, come era la nostra società in quegli anni, mentre camminava spavalda verso l’abisso. Se suscitano ilarità mista anche a una certa tristezza le ingenuità legate ai riferimenti di una presunta supremazia scientifica (nel libro infatti tutte le più grandi innovazioni tecniche che hanno fatto progredire il pianeta sono state firmate soprattutto da studiosi italiani) sociale (la moda più comune fra gli uomini più “in gamba” è quella di portare la testa completamente rasata…) e morale del nostro Paese rispetto a tutti gli altri, sono invece ancora assai affascinanti le invenzioni che dominano il quotidiano nel presunto 2002 immaginato da Scerbanenco, molte delle quali poi si concretizzeranno davvero. In ogni casa c’è un macchinario molto simile al nostro televisore, così come esistono autoradio – nel senso di veicoli che si muovono grazie a onde radio – o dischi “video” che è possibile visionare a proprio piacimento la sera in salotto.

Ma in ogni pagina Scerbanenco ci parla anche, con ansia e angoscia, della catastrofe sempre più imminente che si staglia all’orizzonte, e soprattutto lo scrittore ci grida che è una catastrofe evitabile e lo fa alla generazione più giovane, la stessa che pagherà il prezzo più alto del conflitto, come poi tragicamente accade sempre.

Per comprendere al meglio quali furono gli spunti ai quali attinse Scerbanenco per scrivere il romanzo basta ripercorrere brevemente la storia della prima parte della sua esistenza. Nato a Kiev nel 1911, ancora bambino, dovette abbandonare l’Ucraina per le conseguenze della Rivoluzione d’Ottobre e dell’avanzata delle truppe nel suo Paese, cosa che lo rese orfano di padre e lo portò a trasferirsi con la madre e senza mezzi di sostentamento a Milano, dove alla fine italianizzò il suo cognome.

Al di là dei tragici corsi e – nonché attualissimi e sanguinari – ricorsi storici, è facile intuire che il Paese senza cielo si rifà non troppo velatamente all’Unione Sovietica e al suo comunismo dove tutti dovevano essere implacabilmente e negativamente “uguali”. Ma a rileggerlo oggi, nonostante i “dovuti” ammiccamenti al regime fascista, Scerbanenco considera anche l’allora Regno d’Italia un Paese senza cielo, che per l’ottusità e l’arrogante scelleratezza del suo dittatore sta per precipitare nel baratro di un conflitto planetario.        

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