“Estasi di un delitto” di Luis Buñuel

(Messico, 1955)

Molti sono gli aggettivi con cui da decenni si cerca di definire il geniale e visionario (più di ogni altro!) regista spagnolo-messicano Luis Buñuel. E forse quello che, guardando questo film, si avvicina di più è: sanguigno.

Ma non nel senso splatter o horror, sanguigno nell’accezione viscerale, carnale e irrefrenabile. Questo, unito al suo grande passato di cineasta surrealista, fanno di Buñuel uno dei grandi maghi della macchina da presa.

Ispirandosi al romanzo di Rodolfo Usigli, assieme a Eduardo Ugarte, Buñuel scrive uno dei capolavori del cinema noir, che tocca vertici di ansia e angoscia morbosa che solo il grande Hitchcock riesce a raggiungere. Sia per il racconto – colmo di destrutturazioni cronologiche – che per il potente linguaggio visivo.

Non è un caso quindi che il grande François Truffaut – autore fra l’altro di una delle più grandi interviste ad Hicthcock – citi quasi di sana pianta una scena di questo film nel suo “La camera verde”.

La storia dei grandi delitti pensati e bramati, ma nella realtà non commessi da Alessandro (Archibald in originale) De La Cruz è ancora oggi un capolavoro. Per Moravia il film rappresentava come pochi una grande allegoria dell’impotenza sessuale.

E poi il grande cineasta, come in ogni sua pellicola, non disdegna feroci frecciate al perbenismo cattolico, così ingerente nella sua Spagna (allora lontana) come in Messico, soprattutto quando parliamo di desideri e relativi sensi di colpa.

Da vedere, anche se poi carillon e manichini non saranno più gli stessi…

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