“L’ultima minaccia” di Richard Brooks

(USA, 1952)

Richard Brooks scrive e dirige uno dei migliori film sul giornalismo della storia del cinema. E si ispira alle vicende realmente accadute fra gli eredi, dopo la morte di Joseph Pulitzer, che portarono alla vendita prima e alla chiusura poi del “New York World” il giornale, più di ogni altro, attraverso il quale Pulitzer rinnovò il giornalismo fin dalle sue fondamenta.

L’incrollabile Ed Hutcheson (un duro dal cuore d’oro Humprey Bogart, in una delle sue migliori interpretazioni) è il direttore del “The Day” il quotidiano fondato dal compianto John Garrison, che da quasi cinquant’anni vigila sui fatti e soprattutto sui misfatti della città di New York, e non solo.

Le inchieste pubblicate sulle sue pagine sono sempre state a favore dei più deboli e dei più indifesi; così come erano quelle vere del “New York World” che più di una volta denunciò la drammatica situazione nei cosiddetti manicomi (realizzato realmente dalla coraggiosa giornalista Nellie Bly che si fece ricoverare per una settimana), o lo sfruttamento degli immigrati da parte dei grandi proprietari edilizi che speculavano affittando e subaffittando i proprio immobili a numerose famiglie contemporaneamente, in condizioni igieniche vergognose. Cosa che nell’estate del 1883 provocò, a causa di un terribile innalzamento delle temperature, la morte di numerosi bambini immigrati, tragedia che il N.Y.W. denunciò in tutto il Paese.

Hutcheson ha dedicato tutto se stesso al giornalismo, sacrificando anche il suo matrimonio con Nora (Kim Hunter) rispettando quel patto di correttezza e sincerità coi lettori che Garrison stesso scrisse nel primo numero del “The Day”. Ma la figlia minore di Garrison, Kathrine, ha raggiunto la maggiore età e, secondo le disposizioni testamentarie, insieme alla sorella maggiore Alice e alla madre Margaret (Ethel Barrymore) può vendere il giornale.

L’editore Lawrence White (figura ispirata a quella di William Randolph Hearst, fra i maggiori competitori di Pulitzer, nonché protagonista non dichiarato dello splendido “Quarto potere” di Orson Welles) è disposto, infatti, a rilevare ad un prezzo molto allettante il “Day” per poi chiuderlo, eliminando così la concorrenza più calzante.

Nel frattempo nell’Hudson viene rinvenuto il corpo senza vita, e con in dosso solo una pelliccia di visone, della giovane Sally Gardner che porta segni evidenti di percosse. La Polizia scopre poco dopo che il vero nome della Gardner era Bessie Schmidt, e che con l’anziana madre e il fratello minore qualche anno prima era immigrata negli Stati Uniti dall’Europa centrale.

Hutcheson e il suo collaboratore Frank Allen (Ed Begley) fiutano qualcosa di losco e molto sospetto quando un loro giovane reporter viene selvaggiamente picchiato mentre faceva domande sulla Schmidt. In breve scoprono che la ragazza era stata per molto tempo nelle grazie di Rodzich, un immigrato croato che, grazie al sindacato di autotrasportatori che dirige, sta diventando sempre più “importante” in città, e che a picchiare il giornalista sono stati proprio alcuni dei suoi scagnozzi.

Anche se Rodzich ha amici potenti e mezzi poco ortodossi, Hutcheson decide di metterlo sotto pressione rivolgendo quasi tutte le energie del giornale su di lui. Ma l’unico testimone che sembrava poterlo inchiodare, il fratello di Bessie, viene ucciso dagli uomini di Rodzich proprio fra le rotative del “The Day”. Nonostante la firma apposta sul contratto preliminare con White, Margaret Garrison, vista l’inchiesta che coraggiosamente sta conducendo il giornale fondato e diretto per decenni dal suo compianto marito, chiede al giudice di bloccarne la vendita. Ma…

Con una scena finale memorabile – sia per il mondo del cinema che, soprattutto, per il mondo del giornalismo – “L’ultima minaccia” è ancora una pietra miliare della cinematografia planetaria. Infatti Brooks riesce, come pochi, a farci entrare nella mente e nel cuore di chi il giornalismo lo vive come una vera e propria missione, più che come un lavoro.

Da far vedere a scuola, soprattutto in quelle di giornalismo!

Per la chicca: purtroppo i distributori italiani erano impegnati a pettinare le loro preziose bambole quando preparano questa pellicola per il nostro mercato. A partire dal titolo che in originale è “Deadline – U.S.A.” e che si riferisce sia alla scadenza della vita del “The Day”, sia al fatto che quando un giornale d’inchiesta viene chiuso per togliere di mezzo la concorrenza, di fatto si supera una linea di demarcazione molto infida e pericolosa per tutta la società. I nostri distributori invece, e qui mi butto sulle ipotesi, ritenevano evidentemente i giornali come quello del film “l’ultima minaccia” per i disonesti come Rodzich. E proprio sul personaggio di Rodzich fecero anche meglio, visto che in originale non si chiama così e non è croato ma un l’italo americano di nome Tomas Rienzi, che ricorda tanto Al Capone. D’altronde, fino a non troppi decenni fa, abbiamo avuto esimi e ancora oggi tanto amati e ricordati alti esponenti del nostro Governo che in varie sedi processuali hanno sempre candidamente dichiarato che: “…la Mafia non esiste”.         

“Il tempo si è fermato” di John Farrow

(USA, 1948)

Qui parliamo di uno degli esempi più riusciti di noir americano anni Quaranta.

La vicenda in cui viene coinvolto, suo malgrado, George Stroud (un bravissimo Ray Milland) si intreccia con quella del perfido e ambiguo magnate dell’editoria Earl Janoth (un Charles Laughton d’annata) che ricorda tanto – forse pure troppo – il famoso William Randolph Hearst, re dell’editoria scandalistica di quegli anni e ispiratore anche del Charles Foster Kane di “Quarto potere” di Orson Welles.

Stroud è il responsabile della rivista dedicata alla criminologia che fa parte dell’impero editoriale “Janoth”, fondato e guidato senza il minimo scrupolo dal perfido e glaciale Earl Janoth.

La mattina dell’ultimo giorno di lavoro prima di una vacanza che a casa moglie e figlio aspettano da cinque anni, Stroud viene convocato dallo stesso Janoth. Le ferie devono essere nuovamente rimandate: il giornale diretto da Stroud deve indagare su un nuovo caso.

Quando George si rifiuta di cedere Janoth lo licenzia. Prima di tornare a casa dalla moglie, George Stroud decide di bere un sorso in un affollato locale. Lì viene raggiunto da Pauline York (Rita Johnson), un’appariscente modella, anche lei in conflitto con Janoth. La bella donna ha un piano per vendicarsi…

Tratto dal romanzo di Kenneth Fearing e sceneggiato da Jonathan Latimer, “Il tempo si è fermato” è strutturato come il meccanismo perfetto di un orologio di alta precisione – non a caso il titolo originale è “The Big Clock” – condito da piani sequenza alquanto arditi per l’epoca grazie alla regia di John Farrow (papà di Mia), un meccanismo successivamente molto copiato (“Senza via di scampo” con Kevin Costner e diretto da Roger Donaldson nel 1987, solo per dirne uno).

Piccola e irresistibile parte anche per Elsa Lanchester, moglie nella vita di Laughton, che con la sua battuta fulminante chiude il film, tagliata nella vecchia versione italiana.

Un gioiellino, ancora oggi, perfettamente funzionante.

“Quarto potere” di Orson Welles

(USA, 1941)

Ispirato alla vita al magnate dell’informazione William Randolph Hearst – e nonostante l’età – “Quarto potere” è un film che va visto e rivisto periodicamente.

L’ascesa e la caduta politica e sociale di Charles Foster Kane sono fra le migliori fotografie del secolo breve. E come capita spesso per i capolavori che anticipano i tempi, la pellicola d’esordio di Orson Welles fu un clamoroso flop al botteghino, e le ire che suscitò a Hollywood – soprattutto quelle dello stesso Hearst – segnarono per sempre la sua carriera cinematografica.

Tanto per chiarire, il nome Rosebud (in italiano Rosabella) che nel film è la slitta con cui giocava da bambino il protagonista – elemento chiave nella narrazione – nella realtà dei fatti era l’appellativo con cui Hearst chiamava le parti intime della sua amante.

Per comprendere meglio Welles e il suo capolavoro consiglio di vedere il film per la tv  “RKO 281 – La vera storia di Quarto potere” (1999) di Benjamin Ross, che ricostruisce dettagliatamente la sua genesi.

Non è un caso, quindi, che il film che ripercorre le vicende di Julian Assange si intitoli “Il quinto potere”.

Immortale.