“Natale in casa d’appuntamento” di Ugo Moretti

(Vallecchi Editore, 1963)

Non sono molti gli scrittori capaci di raccontare in maniera sottile il mondo femminile, soprattutto quello che è costretto a vivere ai margini della società. Ugo Moretti è uno di questi, in “Natale in casa d’appuntamento” sa descrivere in maniera elegante e anche cruda la vita di alcune giovani donne che si prostituiscono.

Le storie di Nira, Rossana, Rosi, Roxi e Senine ruotano intorno al loro lavoro, che certo non amano, ma che è l’unico che la società perbenista permette loro di fare.

Ma se “il mestiere più antico del mondo” alla fine è sempre uguale a se stesso, le storie e i motivi che le hanno portate a vendersi sono differenti.

L’unica cosa in comune che hanno le ragazze descritte da Moretti è una: un uomo, dai mille volti, che vigliaccamente le ha tradite e ingannate approfittando della loro ingenua e spesso infantile fiducia. Padre o presunto fidanzato che sia.

Moretti, nel 1963, ci racconta con amore e rispetto le loro storie, come solo pochi scrittori sanno fare, toccando un argomento fino a poco tempo prima assolutamente e ipocritamente tabù.

Ed è inevitabile pensare a Marinella o Bocca di Rosa, prostitute raccontate da un altro nostro grande autore del Novecento, Fabrizio De André, cantore dei più deboli e di quelli che sono al margine e, come Moretti, capace di ridare loro quella dignità che la società bigotta, perbenista e colpevole vuole negare.

Nel 1976 Armando Nannuzzi dirige l’adattamento cinematografico del romanzo di Moretti – che collabora alla sceneggiatura – ma che patisce l’influenza del genere erotico appena esploso, e concentra così lo sguardo più sulle nudità delle protagoniste che sulle loro anime.

“Doppia morte al Governo Vecchio” di Ugo Moretti

(Longanesi, 1977)

Ugo Moretti è una delle figure più sfuggenti della cultura italiana del Secondo Dopo Guerra. Classe 1918, esordisce nel 1949 con “Vento caldo” che vince il Premio Viareggio. Successivamente firma numerosi romanzi, anche sotto pseudonimo, e altrettante sceneggiature cinematografiche. Scrive oltre venti gialli, ma questo “Doppia morte al Governo Vecchio”, la cui prima edizione risale al 1960, è forse il più famoso.

Dindo – Armando all’anagrafe – Baldassarre è un uomo che ama la pittura e l’arte in generale. Ma la vita lo ha portato a entrare nella Polizia di Stato. La sua carriera però si è interrotta bruscamente dieci anni prima, quando nel cuore della notte ha aiutato involontariamente un plurimo omicida a scappare. Scongiurato per un soffio il licenziamento, Baldassarre è stato trasferito all’Archivio Corpi di Reato che si trova nel cuore del centro storico di Roma. Scopre così, casualmente, che il suo predecessore – morto sul lavoro per aver confuso una pastiglia di cianuro con una di optalidon – aveva uno smercio clandestino, e alquanto fruttuoso, di reperti criminali che teneva gelosamente in un piccolo appartamento a pochi passi dall’ufficio.

Baldassarre prende così le redini dell’Archivio e del piccolo commercio, e lo usa per alimentare la sua passione: dipingere. Nessuno al mondo, nemmeno sua moglie Adriana, è a conoscenza del suo piccolo studio, fino al giorno in cui nell’antico e storico palazzo adiacente muoiono due persone: il vecchio principe, padrone del palazzo, e Romolo lo stagnaro, compagno di tresette dello stesso Dindo.

Baldassarre ha così l’opportunità di tornare a indagare, e forse quella di salvare la sua carriera, visto che se all’inizio le due morti sembrano un incidente, l’autopsia svela che si tratta di un duplice omicidio. Dindo indagherà sfruttando le sue amicizie locali che lo credono solo un viziato pittore e non un pubblico ufficiale, e in sole ventinove ore risolverà l’intricato caso…

Singolarissimo e sfizioso giallo con un protagonista che anticipa di molto gli investigatori che poi invaderanno la nostra editoria. Scritto in maniera insolita e irriverente “Doppia morta al Governo Vecchio” è davvero da leggere.

Nel 1977 Steno ne dirige “Doppio delitto” la riduzione cinematografica con Marcello Mastroianni nei panni di Baldassarre, e lo stesso Moretti partecipa alla stesura della sceneggiatura.

“Doppio delitto” di Steno

(Italia, 1977)

Tratto dal romanzo “Doppia morte al Governo Vecchio” di Ugo Moretti questo film, la cui sceneggiatura è scritta da Age, Furio Scarpelli e lo stesso Steno, è uno dei migliori esempi della commedia gialla all’italiana.

Siamo alla vigilia di uno degli eventi più drammatici della storia della Repubblica Italiana: il rapimento e l’uccisione del Presidente della DC Aldo Moro e il massacro delle sue guardie del corpo in via Cesare Fani a Roma. Nonostante l’evento sia ovviamente imprevedibile, nel film si respira un’aria di quiete prima della tempesta. La contestazione sta mutando forma e quella rivoluzione che doveva cambiare il mondo non arriva mai. I poliziotti, anche al cinema, cominciano ad avere un volto e un comportamento molto più umano e fallibile rispetto a solo poco tempo prima.

Infatti, il commissario Bruno Baldassare (un sempre bravo e fascinoso Marcello Mastroianni) è noto fra gli ambienti della Polizia romana per aver fatto sette anni prima la cosiddetta “stronzata”, che gli ha bruciato di fatto la carriera. Per fare il bello davanti al figlio di sei anni Baldassarre, erroneamente, ha aiutato un assassino a fuggire su una motocicletta rubata.

Da quel giorno è stato trasferito all’Archivio dei Corpi di Reato, che si trova in uno dei quartieri storici della capitale, ufficio alquanto “tranquillo” dove è assistito dall’agente Cantalamessa (un bravissimo Gianfranco Barra).

La triste routine di Baldassarre viene interrotta un giorno, durante un fragoroso temporale estivo, quando mangiando nella solita trattoria sente gridare dal portone del vicino Palazzo dell’Orso. Accorrendo, sulle scale dell’antico edifico, trova il corpo senza vita dell’anziano principe Prospero dell’Orso, apparentemente vittima di un fulmine caduto sul tetto e passato poi nell’antico corrimano delle scale in ferro battuto al quale era aggrappato il nobile.

Mentre Baldassarre cerca di chiamare i soccorsi le urla della giovane Teresa (Agostina Belli) lo raggiungo. Al piano superiore la ragazza ha appena trovato il corpo senza vita dello zio Romolo, un elettrotecnico che stava montando un’antenna sul tetto del palazzo e che rientrando per la pioggia si è evidentemente appoggiato anche lui al corrimano nel momento fatale.

Ma qualcosa non torna, il fulmine ha avuto una precisione a dir poco chirurgica e oltre alle due morti, non ha causato nessun danno materiale al palazzo. Baldassarre, spinto da Teresa, riesce a far aprire un’inchiesta e, soprattutto, a farsela assegnare. Gli inquilini dello stabile sono uno più sospetto dell’altro, come la giovane e bellissima principessa dell’Orso (Ursula Andress) e i pochi parenti del principe che erediteranno una vera e propria fortuna, o Henry Hellman (un sublime Peter Ustinov) sceneggiatore hollywoodiano in declino e amico intimo della principessa…  

Tutti i personaggi del film cominciano a fare i conti con la fine di un periodo che aveva promesso tanto e che ormai, si capisce, non manterrà nulla. Conoscendo l’arte e il genio degli autori non ci si stupisce che siano inseriti nella pellicola anche degli accenni – apparentemente involontari – a eventi drammatici che segneranno il nostro Paese di lì a poco tempo. L’azione si svolge fra i vicoli del centro storico di Roma tanto simili a via Caetani, dove verrà ritrovato il corpo di Moro.

E poi il personaggio interpretato da Ustinov sta scrivendo la sceneggiatura del film “La croce e la svastica” dedicato agli oscuri rapporti fra il Vaticano e il Terzo Reich, film che viene bloccato proprio dalla Santa Sede attraverso pressioni a vari istituti di credito. Poco dopo l’uscita del film scoppiò il caso del Banco Ambrosiano e dei suoi presunti legami con lo IOR…    

Da ricordare inoltre le interpretazioni, anche se in ruoli secondari, di Mario Scaccia nelle vesti del libraio vera “radioserva” del quartiere, e Giuseppe Anatrelli (già immortale per aver impersonato il Geom. Calboni nei primi “Fantozzi”) in quelli del capo di Baldassarre.