“Un eroe dei nostri tempi” di Mario Monicelli

(Italia, 1955)

Si possono scrivere interi saggi sullo stile di vita del nuovo Millennio, o sulle generazioni.com, ma i tratti distintivi – anche se è sempre sbagliato fare di tutta l’erba un fascio – di un popolo rimangono sempre gli stessi.

Sono passati esattamente 63 anni dall’uscita nelle sale italiane di questo capolavoro diretto dal maestro Mario Monicelli che rimane uno dei documenti storici e sociali più rilevanti, nonostante siano caduti muri e repubbliche, per capire il nostro Paese di oggi.

Alberto Menichetti, protagonista del film, è uno dei personaggi più feroci, riusciti e veritieri della cultura italiana del Novecento. E con lui tutta quella miriade di piccoli personaggi meschini o ipocriti che popolano il film, dal Direttore alla bella e verace parrucchiera.

Alberto Sordi, la cui modernità recitativa sorprende ancora oggi, ci regala il primo grande ritratto dell’italiano medio disposto a vendere parenti, amici e colleghi pur di primeggiare o quanto meno cavarsela. Memorabili sono anche i duetti con l’immensa Franca Valeri, che ci preparano ad un altro capolavoro che i due gireranno quattro anni dopo, “Il vedovo” di Dino Risi.

Scritto da Rodolfo Sonego assieme allo stesso Monicelli “Un eroe dei nostri tempi” dovrebbe essere visto e studiato nelle scuole con la sua battuta finale: “…Ci sarà pericolo?”.

Per la chicca: nel ruolo dell’integerrimo Direttore di Menichetti – che ha poi per amante la sua procace segretaria – c’è il regista Alberto Lattuada, mentre in quello di Ferdinando, il manesco fidanzato della bella parrucchiera Giovanna Ralli, c’è un gigante dal fisicaccio: Carlo Pedersoli, senza barba e ancora lontano dal prendere lo pseudonimo di Bud Spencer.

“La ragazza con la pistola” di Mario Monicelli

(Italia, 1968)

Di questo capolavoro del maestro Mario Monicelli non se ne parla mai abbastanza. Se è vero che forse l’ambientazione, e soprattutto le musiche e i costumi, sono strettamente legati agli anni in cui venne girato, la sceneggiatura, l’interpretazione dei protagonisti e la mano graffiante del regista sono ancora poderosamente attuali.

Scritto da Rodolfo Sonego e Luigi Magni, con la penna ovviamente anche di Monicelli, questa pellicola consacra definitivamente Monica Vitti fra le più grandi attrici comiche e brillanti della storia del cinema. Una grande attrice comica di una bellezza luminosa e seducente, con delle gambe e uno sguardo che ancora incantano.

In un piccolo paesino siciliano Assunta Patanè (la Vitti che sfoggia una treccia castano scuro lunga fino ai fianchi) viene erroneamente fatta rapire dal fascinoso Vincenzo Macaluso (Carlo Giuffrè) invaghito della cugina. Visto che Assunta si dichiara da sempre innamorata di lui, Vincenzo soprassiede all’errore e passa una notte d’amore con lei. All’alba però Assunta si ritrova sola, sedotta e abbandonata. Vincenzo per non riparare è scappato in Scozia. Ad Assunta, ormai emarginata e svergognata, non rimane altro che lavare col sangue il disonore, visto poi che non ha parenti maschi.

Parte così per il Regno Unito con una valigia di cartone e una pistola nella borsa. Ma da Edinburgo a Bath, Macaluso riesce sempre a sfuggirle per un soffio. E proprio a Bath Assunta incappa nel Dottor Osborne, un medico chirurgo che decide di aiutarla. Assunta inizia a studiare come infermiera e lentamente si integra in una società così diversa dalla sua. Ma l’ossessione per Macaluso la riassale quando lo incontra per caso e tenta vanamente di ucciderlo.

Ancora una volta Osborne la soccorre, ma la costringe a tornare in Italia con un aereo che fa scalo nella capitale inglese. Il richiamo della “Swinging London” però è irresistibile e così, qualche tempo dopo Osborne incontra Assunta a Londra, ormai totalmente integrata nella società. Oltre a cantare in un locale la sera, Assunta fa la modella per varie pubblicità. E proprio notandola su un cartellone pubblicitario Macaluso la inizia a cercare…

Lo scontro-incontro fra la nostra cultura più chiusa e quella moralmente molto più aperta anglosassone sembra all’inizio avere caratteristiche macchiettistiche. Ma ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, non c’è poi così tanto da ridere. Soprattutto sul ruolo e il riconoscimento sociale della donna. Possiamo parlare di molte cose, è vero, ma il nostro Paese ha comunque una media tragicamente alta di femminicidi: quasi uno al giorno.

E Monicelli ci spiega magistralmente come: alla fine (e per una volta spoileriamo pure) quando Assunta seduce e abbandona Vincenzo per seguire il suo amore emancipato e alla pari col medico inglese (altro che pistola, è l’emancipazione l’arma davanti alla quale i “veri” uomini tremano..) per Vincenzo lei non è altro che: “…una bottana!”.

Perché Assunta/Vitti non è Agnese/Sandrelli di “Sedotta e abbandonata”, la cultura anglosassone l’ha emancipata e lei sa bene quello che vuole e soprattutto quello che non vuole. L’irresistibile maschio latino, però, non può essere rifiutato o abbandonato, e se accade è ovviamente solo colpa infame della donna…

Da vedere e far vedere agli aspiranti “veri” maschi latini.

Per la chicca: spettacolare sequenza di una partita di rugby a Bath, città storica della palla ovale inglese.

“Guglielmo il Dentone” di Luigi Filippo D’Amico

(Italia, 1965)

“I complessi” di Luigi Filippo D’Amico, Dino Risi e Franco Rossi è uno dei migliori film ad episodi della nostra cinematografia.

Se “Il complesso della schiava nubiana”, di Franco Rossi con Ugo Tognazzi, è quello meno incisivo ed evidentemente più datato, gli altri due segmenti costituiscono una delle migliori pietre miliari della commedia all’italiana.

Ancora non riesco a vedere “Una giornata decisiva”, di Risi con Nino Manfredi, senza farmi prendere dalla rabbia: la timidezza vile del protagonista che non riesce ad afferrare il proprio destino che è lì a portata di mano proprio mi manda in bestia (forse perché anch’io sono un timido).

E per questo guardo estasiato tutte le volte l’ultimo episodio: il grande e inarrivabile “Guglielmo il Dentone”. Solo per questa interpretazione Alberto Sordi avrebbe meritato il David di Donatello e l’Oscar nella stessa sera.

Scritto da Rodolfo Sonego, con la partecipazione anche di Sordi, “Guglielmo il Dentone”  è un inno a chi affronta la vita con ottimismo e in piena sintonia e fiducia con se stesso. E Sordi lo interpreta con una bravura che ha pochi pari nel mondo del cinema.

Sublime la scena in cui Romolo Valli, nei panni di Padre Baldini membro della commissione che deve scegliere il nuovo speaker del TG, tenta in ogni modo di parlare a Guglielmo dei suoi dentoni, ma lui – puro come l’acqua di una fonte – sentitosi colto in fallo accenna timido a una lieve imperfezione del suo naso…

Da vedere a intervalli regolari.