“Stand By Me – Ricordo di un’estate” di Rob Reiner

(USA, 1986)

Nel 1986 arriva sul grande schermo il terzo adattamento cinematografico di un’opera del maestro Stephen King all’altezza dell’originale. Dopo “Shining” diretto da Stanley Kubrick nel 1980 e “La zona morta” realizzato David Cronenberg nel 1983, Rob Reiner decide di portare al cinema “The Body” pubblicato dal Re nella strepitosa raccolta di quattro racconti intitolata “Stagioni diverse” pubblicata per la prima volta nel 1982.

Tanto per la cronaca gli altri tre racconti sono: “La redenzione del carcere di Shawshank” che nel 1994 Frank Darabont porterà sul grande schermo col titolo “Le ali della libertà”, “L’allievo” di cui Bryan Singer realizzerà l’omonimo adattamento nel 1998, e “il metodo di respirazione” che, purtroppo, per il tipo di storia narrata è davvero molto difficile trasformare in un film.

Il regista Rob Reiner non ha mai nascosto la grande empatia che ha sempre provato per Gordie Lachance, il protagonista del racconto “The Body” ambientato nel 1959, quando lui e lo stesso Stephen King (entrambi classe 1947) avevano più o meno la sua età.

Approdiamo così nell’afosa estate del 1959 a Castel Rock – che poi diverrà anche il nome della casa di produzione della stesso Reiner – piccola cittadina dell’Oregon dove vive Gordon “Gordie” Lachance (Will Weathon) un piccolo dodicenne dotato di una grandissima fantasia che ha appena terminato le scuole medie. Ma a casa sua nessuno festeggia, solo quattro mesi prima suo fratello maggiore Danny (John Cusack), promessa nazionale del football, è morto in un incidente automobilistico e i suoi genitori sono così annichiliti dalla tragedia tanto da trascurare anche Gordie.

Ma il giovane, fortunatamente, ha tre amici coetanei con cui passa le torride giornate: Chris (River Phoenix), Teddy (Corey Feldman) e Vern (Jerry O’Connell), anche se è soprattutto col primo, che apprezza come nessun altro i suoi racconti e le sue storie, che ha il legame più profondo.

La solita routine estiva dei quattro viene interrotta da Vern con una notizia incredibile: ha sentito casualmente suo fratello maggiore Billy parlare con un amico di Ray Brower, un coetaneo dei quattro che tre giorni prima era andato a raccogliere mirtilli e di cui si sono perse le tracce. Billy e l’amico, la sera precedente, avevano rubato un’automobile ed erano andati a nascondersi in una stradina fuori città nei pressi della ferrovia. Proprio mentre si godevano la macchina rubata, avevano scorto il corpo di Brower vicino ai binari morto evidentemente investito da un treno. Ma, data la situazione e non potendo andare alla Polizia, erano scappati.

Senza pensarci Gordie, Chris, Teddy e lo stesso Vern decidono di raggiungere il povero Brower e denunciare loro il ritrovamento alla Polizia, diventando famosi in tutto il Paese. Così nel primo pomeriggio i quattro iniziano un viaggio che nessuno di loro dimenticherà mai più…

Splendida pellicola di formazione diretta con tatto e maestria da Reiner, e scritta per il grande schermo da Bruce A. Evans e Raynold Gideon, che non a caso verranno candidati all’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Il film è di fatto uno dei più rappresentativi degli anni Ottanta, perché come in altre sue opere – “Harry ti presento Sally” su tutte – Reiner sceglie un cast davvero di prim’ordine, cosa non facile per la giovane età dei protagonisti, e una colonna sonora indimenticabile fatta dei grandi classici anni Cinquanta e Sessanta, fra i suoi personalmente preferiti, come la bellissima “Stand By Me” di Ben E. King che dona anche il titolo al film.

Sempre a proposito di cast, in ruoli secondati, Reiner sceglie gli allora semi sconosciuti John Cusack e Kiefer Sutherland che da questo film in poi decolleranno come attori di prima grandezza, sia al cinema che in televisione.

Indimenticabile: uno dei dieci film da portare sull’isola deserta.

“Harry ti presento Sally” di Rob Reiner

(USA, 1989)

La storia d’amore fra Harry Burns (Billy Crystal) e Sally Allbright (Meg Ryan) è di quelle che hanno segnato la storia del cinema. Eppure l’idea del film nacque da un dramma personale vissuto proprio dal regista Rob Reiner che nella seconda metà degli anni Ottanta dovette affrontare un divorzio.

Lo stesso Reiner, in un’intervista, raccontò come i disagi nel tornare single e frequentare donne anche solo per un’avventura lo portarono a pensare a un film sul tema. Così, insieme al produttore e amico Andrew Scheinman, contattò la sceneggiatrice Nora Ephron alla quale propose il progetto. La Ephron iniziò a scrivere la sceneggiatura ispirandosi soprattuto ai racconti personali che lo stesso Reiner le faceva, ma anche al suo vissuto, soprattutto quello legato al suo matrimonio con Carl Bernstein, col quale fu sposata dal 1976 al 1980, giornalista che insieme a Bob Woodward svelò i retroscena del caso “Watergate” che portò alle dimissioni del Presidente americano Richard Nixon, vincendo il premio Pulitzer nel 1973.

Così presero vita e corpo Harry Burns, alter ego del regista, e Sally Allbright, alter ego della sceneggiatrice. A partire dai loro cognomi capiamo subito il loro carattere e il loro modo di approcciarsi al mondo: “Burns” che si può tradurre in “ustioni” o “scottature” e Allbright in “tutto bene” o “tutto a posto”.

Sulla trama e sul loro incontro e scontro che dura all’incirca dodici anni c’è poco da aggiungere, con scene intramontabili e battute immortali. Ma Reiner ebbe anche il merito di rinnovare il modo concepire la colonna sonora. Su indicazione dello stesso Crystal, infatti, chiamò Marc Shaiman – che suonava le tastiere nelle dirette del “Saturday Night Live” mentre lo stesso Crystal interpretava i suoi monologhi – che riarrangiò alcuni grandi classici della musica jazz e swing americana dando alla pellicola un tocco davvero magico.

Reiner, inoltre, fu estremamente bravo nello scegliere il cast, oltre a Crystal suo storico e intimo amico, scelse Bruno Kirby – altra sua personale frequentazione – per il ruolo di Jess l’amico di Harry, l’indimenticabile Carrie Fisher in quello di Marie l’amica della protagonista, e soprattutto Meg Ryan in quello di Sally.

La Ryan, nonostante la sua giovane età, veniva da una lunga gavetta in televisione e al cinema dove aveva avuto solo ruoli secondari, ma Reiner, nonostante anche la visibile differenza di età rispetto a Crystal e al resto del cast, le diede fiducia offrendole il primo ruolo da protagonista assoluta. Anche per questo il film è una alchimia cinematografica perfetta, grazie anche alla fotografia diretta da Barry Sonnenfeld, che a partire dagli anni Novanta diventerà uno dei registi più visionari di Hollywood.

Non sono per il revisionismo storico o per il politically correct estremista, ma bisogna riconoscere che ci sono delle grandi opere d’arte che subiscono le influenze – non sempre sane – del momento storico in cui vengono realizzate. Così è doveroso riconoscere che ci sono grandi film, che io amo profondamente, che possiedono toni o semplici accenni sessisti, come questo che oggi vedrebbe – giustamente! – ferocemente criticato e additato il suo protagonista come arrogante maschilista.

Godiamocelo lo stesso, pensando a quanto la società è fortunatamente andata avanti.

Per la chicca: nella famigerata scena del ristorante in cui Sally finge di avere un orgasmo per dimostrare a Harry che tutte le donne prima o poi hanno finto anche con lui, la cliente che pronuncia la battuta finale è la vera madre di Rob Reiner. La cosa è ancora più divertente se consideriamo che, come raccontò lo stesso Crystal, il regista impersonò Sally simulando un rumoroso e incontenibile orgasmo per mostrare alla Ryan come affrontare la scena. E mentre si preparavano a girare la scena, Reiner sussurrò imbarazzato all’amico: “…Billy ho appena avuto un’orgasmo davanti a mia madre!”.

Da vedere ad intervalli regolari.

“Getta la mamma dal treno” di Danny DeVito

(USA, 1987)

Questa spassosa commedia rappresenta l’esordio alla regia per il grande schermo di Danny DeVito.

Chi lo considera un semplice comico caratterista sbaglia, e anche di grosso. DeVito è uno degli uomini di cinema più importanti degli ultimi 20 anni. La sua carriera inizia come attore, è vero, ma già dagli anni Settanta inizia parallelamente anche la sua esperienza di produttore.

Questo grazie anche all’amicizia che lo lega al suo coinquilino di quegli anni, un affascinante piacione, che si è messo in testa di fare il produttore cinematografico per seguire le impronte paterne: il giovane Michael Douglas.

Nel 1975 Douglas produce “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, film a cui partecipa come attore DeVito, e che trionfa al botteghino e agli Oscar. DeVito continua a fare l’attore e il comico di successo, ma il suo interesse per ciò che c’è dietro della MDP è sempre più importante, e prima di arrivare a dirigere un vero e proprio lungometraggio continua la sua gavetta fino a questa pellicola, per arrivare poi a forse la sua migliore in assoluto: “Matilda 6 Mitica” del 1996.

“Getta la mamma dal treno”, infatti, anche a distanza di quasi 30 anni è una commedia molto divertente e ben riuscita, che ammicca al grande Hitchcock e prende in giro il mondo degli scrittori.

Negli anni Novanta poi arriva al definitiva consacrazione anche come produttore: finanzia giovani autori esordienti  – o quasi – dietro la MDP come Ben Stiller in “Giovani, carini e disoccupati”, e soprattutto crede in un giovane sceneggiatore squinternato ma geniale e gli produce la sua seconda opera che di fatto rivoluzionerà il modo di scrivere cinema: “Pulp fiction”.

Fra le altre pellicole, DeVito produce: “Gattaca – La porta dell’universo”, “Man on the Moon”, “Erin Broncovich – Forte come la verità” e “Diventeranno famosi”, tanto per citarne alcuni.

Insomma, Danny DeVito è un grande uomo di cinema, e in questa sua opera prima già lo si percepisce.

E adesso un piccola chicchetta: lo spassoso protagonista del film è Billy Crystal, che in una scena litiga con il suo ex agente interpretato dal regista Rob Reiner. I due, neanche un paio di anni dopo saranno rispettivamente protagonista e regista di un capolavoro record d’incassi: “Harry ti presento Sally” …pura coincidenza?

“Joyland” di Stephen King

(2013, Sperling & Kupfer)

E’ inutile tentare anche solo di alzare un dito per ribattere: il Re è sempre il Re.

In questo crepuscolare e sentimentale romanzo King ci racconta come nel 1973 un ragazzo – che all’epoca aveva più o meno la sua età, con il suo aspetto fisico e, molto probabilmente, con il suo carattere – a vent’anni è diventato grande. E come accade nella realtà, la cosa non è stata facile né indolore.

Ho letto alcune recensioni di lettori che si lamentano perché non ci sono i “bei mostri” di una volta. A parte che i mostri ci sono e fanno pure paura, e come sempre quelli più terrificanti non sono figli della fantasia ma presi pari pari dalla realtà.

Ma soprattutto non è un caso che fra i film di maggior successo – e incasso – tratti dalle opere letterarie di King ci siano “Le ali della libertà” (diretto da Frank Darabont nel 1994), “Stand By Me – Ricordo di un’estate” (di Rob Reiner del 1986) e “Shining” (del maestro Stanley Kubrick, 1980), e in nessuno di questi si parla di mostri fantastici o venuti da un altro mondo, ma di quelli – molti più temibili e spietati – che fanno parte della razza umana.

Un bel romanzo di formazione da leggere, per gli amanti di King e non solo.

“Quando Brendan incontra Trudy” di Kieron J. Walsh

(GB/Irlanda, 2000)

Qui ci sarebbe da parlare del genio dei distributori italiani per anni…

Perché questa dolce e romantica storia d’amore, farcita di deliziose citazioni cinematografiche, è incappata in qualche genio incompreso della distribuzione nostrana che ne ha tradotto il titolo senza vederlo o – più probabilmente… – senza capirlo.

Perché il titolo originale è “When Brendan Met Trudy” che richiama esplicitamente il “When Harry Met Sally” di Rob Reiner del 1989, che da noi – un altro grande genio, e non ditemi che è lo stesso che non ci credo – ha tradotto in “Harry ti presento Sally”.

Bene, quindi la logica e il buon senso avrebbero dovuto portare a tradurre il titolo del film di Walsh in: “Quando Brendan incontra Trudy”, ma no! …Troppo difficile!

Probabilmente, dati i gravosi impegni, c’è stato solo il tempo di usare al volo il traduttore di Google per trovare il titolo in italiano. Geniale! A parte ciò, questo delizioso e romantico film, scritto da Roddy Doyle, è da vedere, soprattutto per chi ama il cinema.

Delizioso.