“Il tempo si è fermato” di John Farrow

(USA, 1948)

Qui parliamo di uno degli esempi più riusciti di noir americano anni Quaranta.

La vicenda in cui viene coinvolto, suo malgrado, George Stroud (un bravissimo Ray Milland) si intreccia con quella del perfido e ambiguo magnate dell’editoria Earl Janoth (un Charles Laughton d’annata) che ricorda tanto – forse pure troppo – il famoso William Randolph Hearst, re dell’editoria scandalistica di quegli anni e ispiratore anche del Charles Foster Kane di “Quarto potere” di Orson Welles.

Stroud è il responsabile della rivista dedicata alla criminologia che fa parte dell’impero editoriale “Janoth”, fondato e guidato senza il minimo scrupolo dal perfido e glaciale Earl Janoth.

La mattina dell’ultimo giorno di lavoro prima di una vacanza che a casa moglie e figlio aspettano da cinque anni, Stroud viene convocato dallo stesso Janoth. Le ferie devono essere nuovamente rimandate: il giornale diretto da Stroud deve indagare su un nuovo caso.

Quando George si rifiuta di cedere Janoth lo licenzia. Prima di tornare a casa dalla moglie, George Stroud decide di bere un sorso in un affollato locale. Lì viene raggiunto da Pauline York (Rita Johnson), un’appariscente modella, anche lei in conflitto con Janoth. La bella donna ha un piano per vendicarsi…

Tratto dal romanzo di Kenneth Fearing e sceneggiato da Jonathan Latimer, “Il tempo si è fermato” è strutturato come il meccanismo perfetto di un orologio di alta precisione – non a caso il titolo originale è “The Big Clock” – condito da piani sequenza alquanto arditi per l’epoca grazie alla regia di John Farrow (papà di Mia), un meccanismo successivamente molto copiato (“Senza via di scampo” con Kevin Costner e diretto da Roger Donaldson nel 1987, solo per dirne uno).

Piccola e irresistibile parte anche per Elsa Lanchester, moglie nella vita di Laughton, che con la sua battuta fulminante chiude il film, tagliata nella vecchia versione italiana.

Un gioiellino, ancora oggi, perfettamente funzionante.