“Dark Crystal – La Resistenza” di Jim Henson, Frank Oz, Jeffrey Addiss e Will Matthews

(USA/UK, 2019)

Il genio di Jim Henson è ancora vivo e attuale, nonostante le sue spoglie mortali se ne siano andate nel lontano 1990.

Per molti anni si era pensato ad un sequel del film “Dark Crystal” – di cui ho già parlato – diretto da Henson, assieme all’amico e stretto collaboratore Frank Oz, nel 1982 che di fatto consacrò il fantasy come genere cinematografico di tutto rispetto.

Ma senza il suo geniale ideatore, visti poi gli alti costi di produzione di un film del genere, il progetto è stato ripetutamente rimandato. Nel 2012 il francese Louis Leterrier – regista di “L’incredibile Hulk”, “Scontro tra titani” e “Now You Can See Me” – si unisce alla Jim Henson Productions per realizzare l’idea. Proprio studiando gli appunti e le idee che Henson aveva scritto durante al realizzazione del lungometraggio, Leterrier propone di realizzare un prequel. Vista poi la mole del materiale il regista francese ritiene che il formato ideale debba essere una serie televisiva, e non più un solo film, serie che poi viene acquistata da Netflix.

Toriniamo così su Thra molte trine prima degli eventi narrati nel film. Gli Skeksis controllano il pianeta visto che Madre Ogra è impegnata nello studio dell’Universo. I Gelfling, come tutti gli altri abitanti di Thra, regolarmente donano beni e tesori agli Skeksis, autoproclamatisi Signori e Custodi del Cristallo. Ma una forza oscura e terribile sgorga dalle viscere del pianeta…

Un altro fantastico viaggio nei sogni di Jim Henson.


“Non sono un uomo facile” di Eléonore Pourriat

(Francia, 2018)

Damien (Vincent Elbaz) è un ingegnere di successo, ha un bellissimo appartamento nel centro di Parigi, una splendida fuoriserie e numerose storie di una notte. Lui, e il resto del mondo, sono convinti che il successo con l’altro sesso sia dovuto soprattutto al suo bell’aspetto e al suo fascino…

E se invece il mondo si rovesciasse? Se Damien si risvegliasse improvvisamente nella sua stessa Parigi, ma dove le donne, da sempre, hanno il comando e gli uomini non possono far altro che adattarsi?

Cattivissima commedia che mette a nudo – con giusta cattiveria e feroce ironia – sia i piccoli che i grandi soprusi di genere che gli uomini compiono quotidianamente contro le donne nella nostra società, società che – colpevolmente – li continua a tollerare.

Scritto da Ariane Fert e Eléonore Pourriat, e diretto dalla stessa Pourriat – che nel film veste i panni della psicologa di Damien – questo film andrebbe fatto vedere gratis al cinema.

Come accade ormai da un pò di anni, ci si rammarica guardando questa divertente commedia francese, perché un tempo non così lontano la nostra cinematografia era capace di produrre film così pungenti e al tempo stesso necessari. Oggi al massimo li può copiare.

“After Life” di Ricky Gervais

(UK, 2019)

Il dolore è una brutta bestia. Sia quello fisico che quello morale tendono a svuotarci e a lasciarci senza speranza.

Così Tony (un sempre bravo e “fastidioso” Ricky Gervais) devastato dalla morte della moglie non intende più vivere. E prima di togliersi la vita decide di dire a tutti quelli che incontra cosa pensa di loro e delle loro schifose e miserabili esistenze.

Tutte le volte però che tenta di uccidersi, la sua cagna – un regalo che lui stesso fece alla moglie qualche anno prima – glielo impedisce. Così Tony è imprigionato in un’esistenza che non vuole ma di cui non riesce a disfarsi.

Anche se lui non lo riesce a vederlo però, al mondo ci sono persone a cui sta a cuore e che fanno di tutto pur di aiutarlo. Come suo cognato, il fratello di sua moglie, che è il direttore del piccolo giornale locale gratuito per cui lo stesso Tony lavora…

Gervais, che scrive e dirige la serie coprodotta da Netflix, ci porta per mano in un piccolo viaggio nel dolore della mancanza, nel mondo dei “sopravvissuti” che sono schiacciati dal senso di colpa per essere ancora vivi.

E fra un cattiveria e l’altra ci mostra come, grazie anche alle piccole cose, si può sopravvivere anche emotivamente.

Pochi giorni fa lo stesso Gervais ha annunciato l’avvio della seconda serie.

“Il ciclo del progresso” di Rayka Zehtabchi

(USA, 2018)

Netflix, insieme agli studenti di un campus di Los Angeles, produce questo piccolo ma al tempo stesso grandissimo documentario.

Siamo a circa sessanta chilometri da Nuova Delhi, e grazie al contributo fattivo degli studenti americani viene impiantata una piccola fabbrica a basso costo per assorbenti femminili. Nella grande India solo il 10% delle donne usa normalmente assorbenti, il resto usa panni o stracci, molti dei quali raccolti in strada o nei rifiuti.

Così come la pillola anticoncezionale, la libera diffusione degli assorbenti segna un punto importante nell’emancipazione sociale della donna. Seguiamo, infatti, le interviste a giovani ragazze che, non avevado mai visto un assorbente in vita loro, all’arrivo delle prime mestruazioni hanno dovuto abbandonare gli studi.

La nuova fabbrica, completamente gestita da donne, produce assorbenti a basso costo compatibili con le tasche di tutte, e permette alle sue lavoranti di ottenere indipendenza e rispetto da parte di padri, fratelli e mariti.

Come dice l’ingegnere inventore dei macchinari per la produzione degli assorbenti: “Non è la tigre, l’elefante o il leone l’animale più forte creato da Dio, ma la donna”.

23 minuti di grande amore, speranza e dignità. Alla faccia di quegli uomini piccoli piccoli che hanno il terrore che tutte le donne finalmente ne prendano atto.

Fra i numerosi premi vinti da questo corto – che in originale è “Period. End Of Sentence” – c’è anche l’Oscar come Miglior Cortometraggio Documentario 2019.

“La ballata di Buster Scruggs” di Joel e Ethan Coen

(USA, 2018)

Con questo “La ballata di Buster Scruggs”, presentato alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia, anche i fratelli Coen approdano su Netflix.

I fratelli pluripremiati del cinema americano scelgono di raccontare in sei episodi la storia della mitica “frontiera” e del cosiddetto Far West, le cui profonde radici sono ancora molto evidenti nell’America contemporanea.

I sei episodi, che all’inizio dovevano essere le puntate separate di una miniserie, sono frutto di scritti e appunti che i Coen hanno redatto in circa venticinque anni.

Se il primo, che dona il titolo al film, “La ballata di Buster Scruggs” può essere considerato “alla Coen” – con richiami palesi ad altre pellicole dirette dai due – gli altri spaziano più sui lati più intriganti dell’animo umano.

Così assistiamo alla sorte particolare del cowboy rapinatore interpretato da James Franco, per passare a quella più cruda dell’”Usignolo senza ali” con Liam Neeson, per assistere poi alle vicende del vecchio cercatore d’oro che ha il volto di Tom Waits, a quelle della giovane Alice Longabaugh interpretata da Zoe Kazan, nipote del grande Elia (episodio che preferisco), arrivando alla cupa corriera che con i suoi particolari passeggeri, nel buio più oscuro e misterioso della prateria, deve raggiungere Fort Morgan nell’ultimo episodio.

Le opere dei fratelli Coen lasciamo sempre il segno e così anche questa loro ultima fatica che omaggia, oltre le grandi pellicole western, anche la memorabile serie tv trasmessa a cavallo fra gli anni Cinquanta e i Sessanta, e che ha segnato profondamente il cinema hollywoodiano degli ultimi decenni: “The Twilight Zone” del mitico Rod Serling.

“Maniac” di Cary Fukunaga e Patrick Somerville

(USA, 2018)

Scritta da Cary Fukunaga e Patrick Somerville, e prodotta da Netflix, questa serie fantasy/grottesca tocca uno dei temi più spinosi della soceità umana: la famiglia.

Owen (un bravo Jonah Hill) è il figlio “stolto” e nevrotico della facoltosa famiglia Milgrim, il cui patriarca Porter (Gariel Byrne) poco accetta e sopporta. Ma Owen improvvisamente diventa fondamentale: la sua testimonianza può scagionare da una grave accusa – vera – di molestie sessuali suo fratello maggiore.

Se l’accusa venisse provata metterebbe in discussione l’intero impero dei Milgrim, e così Porter è disposto a far mentire suo figlio Owen in tribunale. Il giovane, sconvolto e turbato, decide di rifuggiarsi presso una grande casa farmaceutica che per qualche giorno sperimenterà su di lui un nuovo metodo per annullare il dolore morale ed emotivo delle persone.

Annie (una davvero brava Emma Stone) è una giovane donna tossicodipendente che è stata abbandonata, insieme alla sorella, dalla loro madre in tenera età.

Il suo martirio e la sua ossessione – e la sua droga – è assumere un nuovo farmaco sperimentale che le permette di rivevere il dramma del successivo distacco dalla sorella. Quando la sua scorta di pillole si esaurisce, Annie decide anche lei di fare da cavia per la sperimentazione del nuovo metodo contro il dolore morale ed emotivo. Ma…

Dieci puntate completamente fuori le righe, ma realizzate con grande maestrie e irrivenerenza. Con macroscopici riferimenti allo stile cinematografico e televisivo degli anni Ottanta, “Maniac” diverte fino all’ultima puntata.

Grande parte secondaria per una straordinaria Sally Field che mostra sempre la sua grande arte e il suo intramontabile fascino.

“Disincanto” di Matt Groening

(USA, dal 2018)

E’ arrivata su Netflix la nuova seria animata firmata dal papà de “I Simpson” Matt Greoning. Il geniale autore di Portland, ambienta la sua nuova creazione televisiva in un Medioevo molto speciale.

La protagonista è la principessa Tiabeanie – detta Bean – anticonvenzionale e con un serio problema di alcolismo, che è attratta dall’indipendenza e dalla libertà nonostante il suo ruolo nobile e le relative responsabilità.

Al suo fianco ci sono un elfo fuggito dal mondo fantastico e lo spirito maligno Lucienne Pendergast – detto Luci – che le da sempre il consiglio sbagliato al momento giusto.

Seguiamo così le improbabili e spesso sfortunate – e quasi mai “politicamente corrette” – avventure di Bean, che rischiano quotidianamente di mandare a gambe all’aria il regno del padre e il mondo intero, ma…

In piena tradizione Simpson, “Disincanto” mantiene le promesse del suo creatore.

“Jerry Before Seinfeld” di Michael Bonfiglio

(USA, 2017)

Jerry Seinfeld (classe 1954) è uno dei comici più famosi degli Stati Uniti, anche se nel nostro Paese – purtroppo – non ha la stessa popolarità.

La sua carriera decolla definitivamente nel 1981, quando partecipa al “Tonight Show with Johnny Carson”. Da quella serata si susseguono partecipazioni alle trasmissioni più importanti degli Stati Uniti fino al 1990, quando la NBC lo vuole al centro di una serie comica.

Insieme a Larry David (che Woody Allen vorrà come protagonista nel suo delizioso “Basta che funzioni”) crea la sit-com “Seinfeld” che ottiene un enorme successo tanto da battere tutti i record di ascolto e di compensi per i suoi autori. Nel 1999, nonostante la faraonica offerta della NBC per continuare la serie ancora di grande successo, Seinfled decide di chiuderla e di dedicarsi ad altre attività.

In questo speciale prodotto da Netflix, Jerry Seinfeld torna a esibirsi al Comic Strip Live (locale newyorkese leggendario, dove hanno mosso i loro primi passi comici come Robin Williams, Eddie Murphy o Ellen DeGeneres, e solamente per dirne alcuni) lo stesso nel quale una sera del 1976 iniziò ufficialmente la sua carriera di artista. A soli ventun anni Jerry venne selezionato e, senza compenso, si esibì su quel palco. Di giorno faceva il muratore, e la sera la passava a pensare e scrivere battute per poi recitarle fra quelle quattro mura.

Poco più di sessanta minuti di grande cabaret con battute fulminanti e strepitose per ripercorre gli inizi della sua fortunatissima carriera. Seinfeld, come sempre, non risparmia nessuno…

“Le nostre anime di notte” di Ritesh Batra

(USA, 2017)

Esattamente cinquant’anni dopo lo strepitoso “A piedi nudi nel parco” Robert Redford e Jane Fonda tornano insieme in una commedia dolce, romantica e crepuscolare.

La sceneggiatura de “Le nostre anime di notte” è tratta dall’omonimo romanzo dello scrittore americano Kent Haruf (1943-2014) che, nonostante soli sei romanzi (pubblicò la sua prima storia superati i quarant’anni) in patria è considerato fra i più noti narratori contemporanei.

Louis (Redford) è un anziano vedovo che vive solo, nella sua bella casa a Holt, una cittadina (immaginaria) del Colorado. Una sera bussa alla sua porta Addie (la Fonda), una sua storica vicina con un’insolita proposta. Visto che si conscono da decenni – le loro rispettive famiglie sono nate e cresciute una difronte all’altra – ed entrambi sono soli da anni (anche lei è vedova e come Louis ha il figlio lontano) perché non dormire insieme? Ma non per fare sesso, solo per parlare affrontando e superando la notte, che è il momento più difficile per una persona sola.

Louis rimane assai stupito dalla proposta, ma dopo qualche notte insonne chiama Addie per accettare. Ma i due non potranno fare a meno di dover affrontare gli sbagli commessi nelle rispettive esistenze…

Emozionante e struggente pellicola intimista con due protagonisti da Oscar, bravissimi e bellissimi nei panni di due anziani che vogliono solo passare il tempo che rimane loro assieme. Per i cuori più romantici.

“Stranger Things” di Matt Duffer e Ross Duffer

(USA, 2016)

Normalmente si associano gli anni Ottanta ai capelli cotonati, ai piumini, agli orecchini a cerchi, alle maniche a palloncino o alle spalline abnormi, e – …poveri noi –  alle scarpe ballerine (teribbili!). Ma negli anni Ottanta, fortunatamente, ci sono state anche altre cose. Come i film di Steven Spielberg o i grandi romanzi di Stephen King. E proprio a questi due grandi autori visionari, i fratelli Duffer si sono ispirati per realizzare questa serie tv prodotta da Netflix.

Ispirandosi anche alle atmosfere dello splendido “Super 8” di J.J. Abrams – altro grande omaggio a quegli anni – i Duffer ci portano a Hawinks, una piccola cittadina dell’Indiana, esattamente il 6 novembre del 1983, il giorno in cui scompare il dodicenne Will Byers (primo grande e irresistibile omaggione a “IT” di King).

Sulla piccola località cala l’ombra di qualcosa di oscuro e “straniero” che proviene da un laboratorio governativo segreto situato nelle vicinanze (e qui “L’ombra dello Scorpione” dove me la mettete?!) il cui responsabile è il dottor Martin Brenner (un Matthew Modine truccato da assomigliare tanto a Keys/Peter Coyote di “E.T. – L’’Extraterrestre”). Scattano le ricerche del piccolo, quelle ufficiali guidate dallo sceriffo Jim Hopper (David Harbour), mentre quelle personali da Joyce Byers (Winona Ryder) e da Jonathan (Charlie Heaton), rispettivamente madre e fratello di Will.

Le più fruttuose però sembrano essere quelle condotte da Mike, Dustin e Lucas (di nome non di cognome…) i tre compagni di scuola e amici del cuore del ragazzino (che vivono in simbiosi alle loro biciclette …eddaje!), che si imbattono in una strana e silenziosa loro coetanea. Ma tutti, comunque, troveranno misteri, enigmi e false piste fino a quando…

Godibilissima serie per amanti del brivido e amatori dei cult di trent’anni fa. Tanto per fare qualche esempio, nella camera di uno dei protagonisti c’è appesa al muro la locandina di “Dark Crystal” di Jim Henson e Frank Oz. Oppure un poliziotto di guardia legge distrattamente un libro con sulla quarta di copertina la foto di un giovanissimo Stephen King. Per arrivare al titolo del IV episodio “The Body”, esattamente come quello originale del racconto dello stesso King da cui è stato tratto il film “Stand By Me – Ricordo di un’estate” di Rob Reiner. E basta, altrimenti non la smetto più e vi parlo anche delle citazioni dal piccolo cult “Scarlatti – Il thriller” diretto da Frank LaLoggia nel 1988.

Se Steven Spielberg, in un’intervista di allora, affermò che “E.T. – L’extraterrestre” era ciò che lui sognava di vivere con un alieno, mentre “Poltergeist – Demoniache presenze“ (da lui scritto ufficialmente, e co-diretto ufficiosamente) era quello che invece temeva di vivere con una forma aliena, “Stranger Things” è la risposta…

Per la chicca: sigla di testa davvero anni …Ottanta paura!