“Una faccia piena di pugni” di Ralph Nelson

(USA, 1962)

Rod Serling (1924-1975) è stato uno dei primi grandi autori televisivi americani. E’ stato lui, insieme a pochi altri, a dare al nuovo mezzo di comunicazione di massa quella identità che andava oltre la semplice “ripresa in diretta”.

Fra le sue numerose creazioni, spicca senza dubbio la serie “Ai confini della realtà” andata in onda dal 1959 al 1964 che, oltre a segnare un’epoca, ha inciso l’immaginario di molti adolescenti che poi, nei decenni successivi, sarebbero diventati fra i più importanti cineasti americani, come George Lucas o Steven Spielberg.

Per questo i sui script per il cinema sono assai pochi rispetto all’enorme produzione per il piccolo schermo. Ma quasi tutte le sue sceneggiature sono diventate ottimi film, come per esempio “I giganti uccidono” o questo “Una faccia piena di pugni” che il suo autore aveva scritto in origine per la televisione.

A 37 anni suonati Louis “Macigno” Rivera (uno stratosferico Anthony Quinn) sale sul ring contro il grande Cassius Clay (quello vero). Rivera resiste ben sette round, ma poi crolla sotto i colpi implacabili del suo grande e molto più giovane avversario. Riportato a braccio negli spogliatoi, il medico lo visita ed emette la sentenza: Macigno si riprenderà, ma non potrà mai più boxare, visto che la funzionalità del suo occhio sinistro è quasi compromessa.

Al suo capezzale ci sono Maish il suo manager (un grande Jackie Gleason, in uno dei suoi rari ruoli oscuri) e Army (un altrettanto bravo Mickey Rooney) il suo secondo, ex peso piuma anche lui costretto a smettere anni prima per lo stesso motivo.

Da diciassette anni, infatti, Maish e Army sono l’unica famiglia di Macigno che sul ring ha sempre dato tutto per il suo manager. Ma adesso le cose dovranno cambiare per forza, visto che Louis non potrà mai più combattere. Ripresosi, il boxer – o meglio l’ex boxer – si reca all’ufficio di collocamento per trovarsi un nuovo lavoro ed incappa in Miss Miller (Julie Harris) che rimane colpita dalla sua ingenuità. Così gli propone un lavoro come preparatore atletico in un campo estivo per ragazzi.

Macigno, entusiasta, racconta ad Army e Maish la bella novità. Mentre il primo è felice, il secondo no. Non sono molte le cose redditizie che un ex pugile può fare: non tutti hanno la possibilità di aprire un locale di lusso come il grande Jack Dempsey. E così Maish ha preso accordi con un impresario della lotta (che ormai noi da decenni chiamano wrestling, e che allora era considerato al pari quasi del circo).

Macigno, all’apice della sua carriera è arrivato al 5° posto nel ranking dei pesi massimi e così il suo nome sarebbe alquanto accattivante per la lotta. Gli fornirebbero anche un simpatico costume da indiano, con tanto di piume e ascia finta. Però, tutto quello che è rimasto a Macigno è il suo nome e la sua dignità conquistata a suon di pugni, presi e dati, sul ring, e così…

Struggente e crepuscolare pellicola sulla boxe, ma soprattutto sul mondo misero e disperato in cui precipitano i “perdenti” che non hanno la forza di distaccarsene. Diretto da un grande artigiano di Hollywood (che l’anno seguente firmerà un altro gioiello cinematografico come “I gigli del campo”) come Ralph Nelson, ed interpretato da un cast davvero superbo “Una faccia piena di pugni” è davvero un film immortale.

Per capire l’impatto duraturo che nel tempo il film ha avuto sull’immaginario americano, basta ricordare che il suo titolo originale è “Requiem for a Heavyweight” (che letteralmente sarebbe “Requiem per un peso massimo”), titolo al quale si è ispirato lo scrittore Hubert Selby per scrivere nel 1978 il suo romanzo “Requiem for a dream”, e dal quale nel 2000 Darren Aronofky ha tratto il suo omonimo adattamento cinematografico “Requiem for a dream”, con Jared Leto, Jennifer Connelly ed Ellen Burstyn.

“Erik il vichingo” di Terry Jones

“Erik il vichingo” di Terry Jones

(UK/Svezia, 1989)

Il poliedrico Terry Jones (1942-2020) oltre ad essere stato uno dei fondatori dei mitici Monty Python, è stato uno scrittore, uno sceneggiatore e un regista assai prolifico. Fra le sue molte opere, spicca la sceneggiatura del bellissimo “Labyrinth – Dove tutto è possibile” diretto da Jim Henson nel 1986.

Nel 1974 nasce Sally, la sua prima figlia, per la quale scrive una serie di racconti fantastici dedicati all’esploratore Erik il Vichingo che, con le illustrazioni di Michael Foreman, vengono pubblicati nella raccolta “The Saga of Erik the Viking” nel 1983.

Sulla scia del successo dei Monty Phyton e soprattutto di “Labyrinth – Dove tutto è possibile” viene chiesto a Jones di adattare e dirigere per il grande schermo i suoi racconti. 

La terra dei vichinghi è ormai da decenni avvolta in un manto perenne di nuvole: è calata l’era del Ragnarok. Il clan di Erik (Tim Robbins) vive saccheggiando senza pensare al domani, solo lui cerca di capire il vero senso della propria esistenza, suscitando le perplessità di suo nonno (Mickey Rooney). 

Così Erik interroga la strega Freya che gli rivela il compito che il fato ha in serbo per lui: ritrovare il grande corno magico e suonarlo tre volte. Con la prima verrà portato ad Asgaard, la dimora di Odino, di tutti gli altri Dei e dei vichinghi morti eroicamente in battaglia. Con la seconda soffiata sveglierà gli Dei ponendo fino all’era del Ragnarok. Con la terza potrà finalmente tornare nel suo villaggio. Ma per trovare il corno magico, Erik con il suo drakkar dovrà attraversare un mare …di pericoli.

Probabilmente, proprio perché autore dei racconti e della sceneggiatura, Jones non riesce a dare come regista quel ritmo continuo e incalzante che invece Henson dona a “Labyrinth”. Così il filo narrativo di “Erik il vichingo” in alcune scene sembra perdersi o arenarsi. Ma la pellicola possiede comunque il suo fascino. 

Primo perché gli effetti speciali e i “mostri” che incontra Erik nel suo viaggio fantastico sono fatti “a mano”, con trucchi e macchinari “pre” era digitale. Poi perché come protagonista Jones sceglie un giovane Tim Robbins che di lì a breve sarebbe diventato uno dei più rilevanti attori/registi di Hollywood. E poi perché il film è costellato da battute e gag tipiche dei Monty Python.

Negli extra del dvd è presente un gustosissimo “Making of” in cui vengono illustrati i vari effetti speciali usati nella pellicola; oltre a un breve documentario con le interviste al regista e ai vari protagonisti fra cui Robbins e il grande John Cleese che veste i panni del terribile vichingo Halfdan il Nero. A proposito dell’influenza dei Monty Phyton nel film, Cleese nel documentario racconta in maniera irresistibile come, per interpretare lo spietato e avido Halfdan che vuole uccidere tutti i bambini del villaggio di Erik, si sia ispirato …ad un noto e flemmatico banchiere inglese.