“Il fiuto di Sherlock Holmes” di Marco Pagot e Gi Pagot

(Italia/Giappone, 1984)

Da un’idea di Gi Pagot e Marco Pagot, grande cartoonist italiano nonché figlio di Nino Pagot – fondatore dello Studio Pagot creatore di numerosi e indimenticabili cortometraggi d’animazione come “Grisù il draghetto” e spot pubblicitari che hanno segnato la nostra cultura nazionale come quello che vedeva quale protagonista il pulcino Calimero – la RAI decide di realizzare una serie d’animazione composta da 26 episodi di circa 30 minuti ciascuno.

Il concept si ispira al mitico e inossidabile Sherlock Holmes creato da Arthur Conan Doyle quasi cento anni prima, ma per rendere il cartone più adatto ai piccoli telespettatori i personaggi hanno le sembianze di cani antropomorfi, a partire dal grande investigatore che ha i colori e le fattezze che ricordano quelle di una volpe, mentre il famigerato Professòr Moriarty quelle di un perfido lupo viola. A dirigere buona parte degli episodi viene chiamato il maestro Hayao Miyazaki che, insieme a uno staff italo-giapponese, realizza una delle migliore serie per ragazzi di sempre.

Viviamo così ventisei avventure nella Londra e nell’Inghilterra vittoriana – che spesso ha i colori della nostra splendida campagna – dove Holmes riesce inesorabilmente a sconfiggere il malefico Professòr costringendolo sempre alla fuga finale. Indimenticabili e geniali sono i piani dello stesso Moriarty che – ovviamente non è un caso – ricordano quelli che mette a punto e finalizza l’ineffabile pronipote di Arsenio Lupin nella mitica serie “Le avventure di Lupin III”, di cui qualche anno prima lo stesso Miyazaki fu regista. Ci troviamo però dall’altra parte della barricata a tifare per la Legge e non per i manigoldi, anche se tanto simpatici e accattivanti come Lupin.

Nonostante i numerosi anni trascorsi dalla sua prima messa in onda questa serie possiede ancora tutto il suo fascino e la sua magia, ennesima dimostrazione della grande arte e genialità dei suoi autori. Nella nostra edizione devono essere ricordati gli ottimi attori che prestano la voce ai protagonisti come gli indimenticabili Elio Pandolfi e Riccardo Garrone nei panni rispettivamente di Sherlock Holmes e il Dottor Watson; così come il bravissimo Mauro Bosco in quelli del perfido Moriarty con un divertente accento torinese, nonché Maurizio Mattioli che doppia Todd, uno dei due scagnozzi del Professòr. 

Ma un motivo in più per rivedere questa serie è per cogliere al meglio l’influenza del nostro Paese nella grande arte del maestro Miyazaki, nei cui film molto spesso paesaggi e atmosfere sono spesso riconducibili alla nostra Penisola. Non è un caso quindi che il protagonista dello splendido “Porco Rosso” che Miyazaki realizzerà nel 1992 guarda caso si chiami …Marco Pagot. 

Indimenticabile è anche la sigla, fra le migliori in assoluto degli anni Ottanta.

Da vedere.

“Johan Padan a la discoverta de le Americhe” di Dario Fo e Giulio Cingoli

(Italia, 2002)

L’idea originale che esplode nella testa del genio Dario Fo – come lo stesso premio Nobel ha poi raccontato – per prima cosa viene immortalata su carta sotto forma di disegni.

Ed è da questa sorta di storyboard che Fo trae il monologo teatrale diviso in due atti – nato nel 1991, proprio a ridosso del cinquecentesimo anniversario della scoperta di Cristoforo Colombo – che viene poi tradotto e rappresentato in tutto il mondo, anche in Indios.

Per questa sua genesi visiva l’opera di Fo sembra fatta a posta per essere trasformata in un lungometraggio d’animazione.

E Giulio Cingoli, con la collaborazione dello stesso Fo, ci riesce benissimo, grazie anche alla voce del protagonista che viene data da un bravissimo Rosario Fiorello e alla splendida colonna sonora firmata da Fabrizio Baldoni, Gino De Stefani e Paolo Re.

Se nell’opera originale Johan segue lo stesso Cristoforo Colombo nel suo quarto viaggio nel Nuovo Mondo, nel film di Cingoli invece il giovane Padan ci arriva su una nave al comando del perfido capitano Narvaez, in compagnia di Pedro Hésteban de Reva detto Trentatrippe (doppiato da un ottimo Maurizio Mattioli).

Ma chi è Johan Padan? “E’ un Arlecchino – scrive lo stesso Dario Fo – proiettato suo malgrado da Bergamo nelle Indie, su una nave di Colombo. A forza di far ridere, riesce a rovesciare il mondo. E anziché esser divorato dai cannibali, li guida ad appropriarsi del cavallo e della polvere da sparo. Così potranno «scoprire» l’America da soli, alla faccia dei conquistadores”.

Il mistero – stavolta davvero poco “buffo” – è la totale indifferenza con cui questo bel cartone animato è passato troppo rapido nelle nostre sale alla sua uscita, e la sua totale latitanza dal piccolo schermo.