“A ciascuno il suo” di Leonardo Sciascia

(Adelphi, 1988)

Quando il 20 novembre del 1989 Leonardo Sciascia ci lasciava, ammetto che non compresi davvero l’entità della perdita che la cultura italiana stava affrontando.

Oggi parlare di mafia è considerato un dovere e un diritto, ma Sciascia, durante la sua vita, dovette confrontarsi con una società e, soprattutto, con uno Stato che granitico affermava indignato che: ”LA MAFIA NON ESISTE!”.

Ma oltre a questo grande merito sociale, di cui non si parla mai abbastanza, i libri di Sciascia sono sublimati dall’ironia, quell’ironia che è uno degli indiscutibili pregi della Sicilia, che ha contribuito a rendere così famoso anche il commissario Montalbano di Camilleri (che di Sciascia si è sempre dichiarato un discepolo).

Tutta l’ironia di “A ciascuno il suo” – ma soprattutto quella della sua ultima pagina – rappresenta uno degli apici della nostra letteratura.

“Favole al telefono” di Gianni Rodari

(1962, Einaudi)

Il ragionier Bianchi di Varese, per il suo lavoro, è costretto a fare il pendolare tutta la settimana. Ma la sua figlioletta non riesce a prendere sonno e così il ragioniere ogni sera, alle nove in punto, le racconta una favola al telefono.

La fantasia e l’amore di Bianchi sono così belli che perfino le centraliniste si mettono in pausa per ascoltarli.

E’ uno dei libri che ha segnato la mia infanzia, come quella di milioni di altri piccoli ascoltatori/lettori; e che deve stare in ogni casa dove ci sono bambini e grandi che si ricordano quando sono stati bambini.

Uno dei più alti esempi della letteratura italiana del Novecento.

La mia preferita è “La strada che non andava in nessun posto”: ci ripenso ancora oggi ogni volta che devo prendere una decisione importante.

Da leggere.