“La casa dei Krull” di Georges Simenon

(Adelphi, 2017)

Il maestro Georges Simenon ci racconta la storia di una casa ai margini di una piccola cittadina fluviale francese.

Cornélius Krull, il patriarca della famiglia, arrivò molti decenni prima dalla Germania stabilendosi in una baracca, ad intrecciare le sue ceste di vimini, fuori dal piccolo centro abitato che ruotava intorno alla chiusa del fiume, sul quale quotidianamente passavano le chiatte. Col passare del tempo il piccolo paese è diventato una piccola cittadina e che ha inglobato la casa dei Krull.

Ma anche se Cornélius, sua moglie e i suoi tre figli sono ufficialmente naturalizzati francesi, molti li considerano dei “crucchi” e così preferiscono camminare anche qualche chilometro piuttosto che servirsi da loro. L’ombra della guerra (la prima) è ancora forte e il razzismo porta tutti, o quasi, a considerare i Krull gente strana e inaffidabile, e così il loro spaccio è frequentato soprattutto da marinai di passaggio e dai meno abbienti della zona.

La cosa, naturalmente, ha influito e influisce pesantemente nella vita di tutti. Ma se Cornélius e la moglie Maria sembrano essercisi rassegnati, i loro tre figli Anna, Joseph e l’adolescente Elisabeth sembrano invece non riuscirci. Soprattutto Joseph Krull, a cui manca poco per laurearsi in medicina, che da sempre vive male la sua patologica timidezza nei confronti dell’altro sesso.

Un giorno alla porta della casa si presenta Hans, il figlio di Wilhelm Krull fratello di Cornelius, in cerca di ospitalità. A differenza dei suoi parenti, Hans non nasconde affatto le sue origine tedesche e non cerca di integrarsi senza attirare troppa attenzione. Ha un carattere scostante e arrogante, e ama godersi la vita e sedurre tutte le donne che gli capitano a portata di mano.

Le cose precipitano quando nel fiume, a pochi metri dalla casa dei Krull, viene rinvenuto il corpo di una ragazzina che è stata strangolata e poi violentata prima di essere gettata nelle acque. Tutti, a partire dagli inquirenti, non possono fare a meno di pensare che l’efferato delitto abbia le sue radici in quella “dannata” casa…

Pubblicato per la prima volta nel 1938, e in Italia nel 1965, questo breve ma coinvolgente romanzo ci parla del becero e subdolo razzismo dietro al quale si nascondo sempre ignoranza, grettezza e soprattutto tornaconti personali. E’ per questo che Hans: “Intuiva forse che adesso toccava a lui essere la Straniero, la causa di tutti i mali del mondo?”.

Simenon ci racconta così, in maniera superba e travolgente, l’accendersi della miccia di una ottusa e razzista rivolta popolare contro una famiglia “straniera” e mai accettata, che diventa il comodo e facile capro espiatorio dei mali di una cittadina e di una società. Dinamiche che ricordano molto quelle descritte dal grande John Wainwright (autore non a caso amato dallo stesso Simenon) nel suo “Anatomia di una rivolta” nel 1982.

Drammaticamente attuale.

“L’ultimo atto” di John Wainwright

(Mondadori, 1979)

Pubblicato per la prima volta nel 1977 col titolo originale “The Day of Peppercorn Kill”, questo duro romanzo del maestro Wainwright ci parla di come il carcere può definitivamente distruggere un individuo invece che redimerlo.

Soprattutto poi se l’uomo ha commesso sì un atto grave, ma non il terribile reato di violenza carnale ai danni di una minorenne per il quale è stato condannato a diciannove anni di carcere, scontandone dodici, a causa di un poliziotto corrotto…

Wainwright, grazie alla sua esperienza ventennale come agente nello Yorkshire, conosce fin troppo bene le dinamiche che portano un uomo a tradire il proprio distintivo, i propri colleghi e soprattutto le persone che invece dovrebbe difendere e tutelare. Ma se c’è una “mela marcia” ci sono molti altri poliziotti che nonostante le difficoltà compiono con serietà e responsabilità il proprio dovere.

Ma, purtroppo, la persona vittima del sopruso difficilmente si riprenderà e potrà tornare alla propria precedente esistenza, dopo tanti anni di carcere e una vita personale distrutta. Così come nelle nostre, in quegli anni nelle carceri di Sua Maestà era quasi impossibile il riscatto di un detenuto.

Non a caso lo scrittore inglese fa ricordare al Sovrintendete Capo Lennox – capace alla fine di “risolvere” il caso – che i medici e i sociologi considerano al massimo quattro anni il tempo di detenzione nel quale un individuo riesce a conservare gran parte della propria personalità. Dopo di essi il detenuto sarà irrimediabilmente un’altra persona. E’ ovvio che ci sono delitti così atroci per i quali chi li commette deve essere senz’altro tenuto a distanza dalla società per il bene di tutti. Ma se parliamo di carcere come mezzo di redenzione …è tutto un altro discorso.

Reputo vergognoso per la nostra cultura che questo splendido romanzo noir – costruito su una lunga serie di flashback incrociati che ci inchiodano fino all’ultima tragica riga – sia ormai fuori catalogo da decenni nel nostro Paese. E che, come altri splendidi libri non solo di Wainwright, sia reperibile con molta fortuna soltanto nel mondo dell’usato.

Da leggere.

“Anatomia di una rivolta” di John Wainwright

(Paginauno, 2019)

Nel 1982, proprio quando al 10 di Downing Street c’è la coriacea Margaret Thatcher, il grande narratore britannico John Wainwright pubblica “Anatomy of a Riot”, che descrive in maniera cruda e fin troppo calzante la genesi e l’esplosione di una violenta rivolta, nella piccola – e fittizia – cittadina inglese di Beechwood Brook, scoppiata a causa dell’omicidio di un ragazzo di colore per mano di due agenti che volevano …solo “dargli una lezione”.

La rabbia e la disperazione sono la paglia, l’ottusità ed il razzismo di alcuni poliziotti sono i fiammiferi che, assieme, accendono il fuoco in uno dei quartieri più degradati della cittadina. Così Wainwright ci racconta con maestria e perizia il lento ed inesorabile percorso verso l’abisso. Lui che per vent’anni è stato davvero un agente di Polizia nello Yorkshire.

La famiglia di Benny Swale proviene dalle cosiddette Indie Occidentali. Benny ha consumato i suoi primi ed unici due decenni di vita all’ombra delle bottiglie bevute dal padre e della ghettizzazione della sua gente vista da molti come “minaccia sociale”, a partire proprio dall’allora Primo Ministro Margaret Thatcher. Ma nulla giustifica il fatto che Benny sia diventato un piccolo e arrogante criminale locale, spacciatore di marijuana e capo di una gang.

Così due agenti della Polizia di Beechwood Brook, incontrandolo da solo nel cuore della notte, pensano di dargli una “raddrizzata”. Ma Benny, per le violente percosse, muore.

“Pregiudizi razziali, consapevoli o accidentali. Danni reali o immaginari. Arroganza. Una rozza stupidità. Permalosità. Assenza di umorismo. Credenze stravaganti. Una mancanza di pazienza. E naturalmente, la pelle. Pelle di colori diversi, e pelle di diverso spessore…” ci racconta Wainwright, sono fra le cause delle violenze che sfociano in veri e proprio scontri “razziali”.

Anche se oggi gli studiosi, soprattutto quelli di Antropologia, negano che l’essere umano sia diviso in razze perché – al di là delle immani tragedie che tale ottusa e arrogante divisione ha portato nella storia – le migliaia di anni dall’apparizione dell’Homo Sapiens ad oggi sono oggettivamente poche per consentirne un’evoluzione tale da creare vere e proprie razze diverse a differenza di altre specie animali, c’è ancora chi, in preda a misere paure o per meri e beceri interessi personali, ci si aggrappa.

Nonostante gli anni passati dalla sua prima pubblicazione, questo ottimo romanzo ci ricorda come non solo gli Stati Uniti siano ancora oggi dilaniati dalla piaga del razzismo, ma anche la Gran Bretagna che, a causa del suo spregiudicato imperialismo, da secoli ospita comunità provenienti dai luoghi più disparati della Terra, e nonostante questo è ancora il teatro di intolleranze e tragiche relative violenze.

Non è un caso quindi che anche durante lo scorso Torneo delle Sei Nazioni di rugby, durante il minuto di raccoglimento contro ogni tipo di razzismo voluto dalla Federazione Internazionale, alcuni giocatori del XV inglese si siano inginocchiati in segno di “scusa”, così come hanno fatto molti rappresentati della Polizia e del Senato americani.

Il volume contiene anche un’interessante postfazione di Carlo Osta che ripercorre le violenze razziali consumatesi nel Regno Unito a partire dal Secondo Dopoguerra, comprese quelle avvenute nel 1981 a Brixton, un quartiere di Londra, evento al quale si è ispirato Wainwright. Episodi tragici e drammatici quasi sempre preceduti e seguiti da accorate dichiarazioni di esponenti radicali del Partito Conservatore Britannico – fra cui spicca la stessa signora Thatcher – assai preoccupati dalla presenza di comunità straniere sul suolo natio di Sua Maestà.

Tragicamente attuale.

“Vicolo cieco” di John Wainwright

(Arnoldo Mondadori Editore, 1984)

John Duxbury possiede una fiorente tipografia in un piccola cittadina nella provincia inglese, che gestisce insieme all’amato figlio Harry. Stimato dai suoi concittadini, John ha un rapporto complicato solo con Maude, sua moglie.

Nel suo diario John cerca di spiegare a se stesso i motivi del naufragio privato del suo matrimonio. In pubblico, infatti, i signori Duxbury sono inccepibili, ma in casa vivono fredde vite separate. Fino a quando, durante una breve vacanza, Maude precipita da una scogliera.

Il coroner chiude l’inchiesta come un triste incidente, ma alcuni giorni dopo presso il commissariato di zona si presenta il professor Foster che, sconvolto, confessa di aver visto Duxbury spingere volontariamente la moglie. Al sergente Harry Harker l’arduo compito di dipanare la complicata matassa…

Straordinario noir che non a caso il maestro Georges Simenon definì “indimenticabile”. Da molti considerato non a torto il capolavoro di John Wainwright. Davvero un libro da leggere.

Se è incredibile che un romanzo del genere in Italia sia fuori cataologo da anni, fortunatamente è possibile scovarlo nel mondo dell’usato nell’edizione del 1984 del Giallo Mondadori. Purtroppo si tratta di un’edizione economica e così ci sono due colonne in ogni pagina.

Ma la stessa edizione porta alla fine un raro e “preziosissimo” articolo dedicato proprio a John Wainwright – autore fra i più schivi di sempre – che ci racconta le contingenze che da vero poliziotto lo hanno portato a diventare scrittore di gialli.

Segue un articolo dedicato alla programmazione televisiva del dicembre 1984 dedicata ai film gialli e infine un breve racconto di Alan Legg scritto nel 1978 dal titolo “Ultime notizie 23 gennaio 2012” che leggerlo oggi è tutto un programma.

Da veri collezionisti insomma.

“Stato di fermo” di John Wainwright

(Paginauno, 2015)

L’inglese John Wainwright (1921-1995) è stato uno dei migliori autori di noir e gialli del Novecento, tanto da avere pubbliche lodi anche dal grande Georges Simenon. Nello specifico, l’autore britannico è stato fra i più geniali creatori di “Police procedural”, ovvero di romanzi incentrati sui processi interni alle investigazioni, filone nato negli anni Quaranta e a partire dai Novanta approdato con enorme successo in televisione.

Nel 1977 Wainwright – con un vero passato nella Polizia – pubblica “Brainwash” che in italiano viene tradotto “Stato di fermo”, fra i più bei romanzi noir e “Police procedural” di sempre.

Poco dopo l’ora di cena viene convocato nella stazione di Polizia di una cittadina dello Yorkshire George Barker, un anonimo burocrate locale. L’uomo, in un boschetto qualche settimana prima, ha rinvenuto il corpo di Gwendolen Roberts, una bambina che prima di essere stata strangolata è stata stuprata.

Gli investigatori sono sicuri che la povera Gwendolen è la terza vittima di un feroce pedofilo che ha commesso nei mesi precedenti altri due atroci delitti simili. I movimenti e la totale mancanza di alibi portano gli inquirenti a sospettare pesantemente di Barker, e all’esperto detective Lyle viene affidato il compito di torchiare il sospetto fino a farlo cedere e crollare…

Meraviglioso romanzo che incalza e trascina come pochi, scritto con abilità e competenza, “Stato di fermo” è uno di quei libri che difficilmente si dimenticano.

Da leggere.

Per la chicca: nel 1981 il francese Claude Miller firma “Guardato a vista” uno splendido adattamento cinematografico – di cui mi è già capitato di parlare – del libro, ambientato a Parigi, con protagonisti Lino Ventura, nei panni del detective, Michel Serrault in quelli dell’indiziato e Romy Schneider in quelli della moglie di quest’ultimo.

Nel 2000 Stephen Hopkins dirige “Under Suspicion”, adattamento hollywoodiano del libro, questa volta ambientato a Puerto Rico con protagonisti Morgan Freeman, Gene Hackman e Monica Bellucci.

“Guardato a vista” di Claude Miller

(Francia, 1981)

Nonostante quasi tutta l’azione del film si svolga dentro una stanza, la sceneggiatura di questo bellissimo film è tratta da un romanzo e non da un’opera teatrale, come verrebbe da pensare. Il romanzo è “Stato di fermo” di John Wainwright (1921-1995) prolifico scrittore inglese. L’adattamento cinematografico è scritto da Jean Vautrin e dallo stesso Claude Miller che poi lo dirige, e i dialoghi sono scritti da Michel Audiard, fra i più noti autori di Francia. E ad impersonare i due protagonisti ci sono due monumenti del cinema mondiale come Michel Serrault e Lino Ventura.

E’ la sera di San Silvestro, esattamente le ore 21.00, e Jerome Martinaud (uno stratosferico Serrault) noto e ricco notaio di una facoltosa cittadina della Normandia è convocato al commissariato per l’ennesimo chiarimento sulla sua deposizione. Martinaud, infatti, qualche giorno prima ha rinvenuto nei pressi di un boschetto ai margini della città, il corpo straziato di una bambina che prima è stata strangolata e poi violentata. A condurre l’interrogatorio è l’ispettore Gallien (un altrettanto stratosferico Ventura) che sembra non credere completamente alle dichiarazioni del notaio. E poi, una settimana prima del tragico ritrovamento, lo stesso Martinaud era nei pressi di una spiaggia dove poche ore dopo venne rinvenuto il corpo di un’altra bambina strangolata e poi violentata.

La posizione di Martinaud oscilla sempre più, ma la sua dialettica e le indiscrezioni che concede a Gallien sulla sua vita privata lasciano forti dubbi sulla sua colpevolezza. A cambiare le sorti dell’interrogatorio giunge, nel cuore della notte, Chantal Martinaud (una sempre elegante ma già molto fragile Romy Schneider) moglie del notaio, che fornisce a Gallien una prova che sembra essere quella decisiva sulla colpevolezza del marito. Ma all’alba del nuovo anno…

Strepitoso noir che ci regala la sublime prova di due attori di gran classe davvero immortali. Una splendida pellicola per chi ama davvero il cinema. Onore anche a Glauco Onorato e Manlio De Angelis che doppiano magistralmente rispettivamente Ventura e Serrault nella nostra versione.