“I gigli del campo” di Ralph Nelson

(USA, 1963)

Questa storica pellicola uscì nelle sale statunitensi il 1° ottobre del 1963, poco meno di due mesi prima dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy a Dallas.

La politica dichiaratamente antirazzista del primo Presidente cattolico degli Stati Uniti aveva creato non pochi attriti all’interno della società americana, ma quel lungo percorso di integrazione – purtroppo non ancora definitivamente compiuto, ma che nel 2008 ha portato a eleggere alla Casa Bianca il primo Presidente afroamericano della storia – era ormai avviato; così come ci ha raccontato, fra gli altri, “Green Book” di Peter Farrelly.

In un giorno afoso e torrido, il manovale Homer Smith (un grande Sidney Poitier) attraversa il deserto dell’Arizona per raggiungere la costa occidentale dove è convinto di poter trovare un buon lavoro.

Ma il radiatore della sua macchina, al tempo stesso casa e laboratorio, ha disperatamente bisogno di acqua. Così si ferma nell’unica fattoria nelle vicinanze dove trova, inaspettatamente, cinque suore cattoliche provenienti da una congregazione della Germania Est, a cui il vecchio proprietario del terreno ha lasciato tutti i suoi beni.

Solo la Madre Superiora Maria (Lilia Skala) parla un limitato inglese con il quale offre al nuovo venuto, dopo averlo rifornito di acqua, un lavoro: riparare il tetto della fattoria. L’uomo accetta ma quando il giorno dopo, finito il lavoro, chiede la paga si accorge che le cinque religiose vivono in profonda indigenza, visto che i loro campi ancora non producono niente.

Smith è deciso a riprendere il suo viaggio, ma Madre Maria lo ferma sostenendo che lui è stato mandato dal Signore per realizzare il sogno dell’intera comunità cattolica della zona: costruire una piccola cappella lì nel deserto. Homer, che dichiara subito di essere di rito battista, quasi indignato sale sulla sua auto e parte, ma…

Tratta dal romanzo di William Edmund Barrett, questa pellicola ci parla con particolare eleganza di tolleranza, integrazione e rispetto. Non a caso lo stesso Poitier conquisterà l’Oscar come migliore attore – il primo nella storia assegnato a un afroamericano – oltre al Golden Globe e l’Orso d’Argento a Berlino; e in tutto il film verrà candidato a cinque statuette, fra cui quella come miglior film e come miglior attrice non protagonista per l’interpretazione di Lilia Skala (che qualche decennio dopo interpreterà l’ex ballerina mentore di Alex/Jennifer Beals in “Flashdance”).

Il compositore, musicista e maestro di coro, nonché attore, Jester Hairston curò l’arrangiamento della canzone gospel “Amen” che Poitier canta insieme alle religiose, diventata poi un’icona del film e uno degli inni all’integrazione del Novecento.

Per la chicca: il titolo del film, che in originale è “Lilies of the Field”, si rifà – come quello in italiano – a due citazioni dei Vangeli che si scambiano Smith e Madre Superiora Maria, quando l’uomo dopo aver aggiustato il tetto chiede di essere pagato cita: “S. Luca 10:7, «L’ operaio è degno della sua mercede»”. Madre Maria gli risponde con i versi: “S. Matteo 6:28-29, «Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.»”.

Da vedere e ascoltare.