“Enola Holmes 2” di Harry Bradbeer

(UK/USA, 2022)

I danni morali e materiali del patriarcato pesano come tossici macigni sulla storia, anche contemporanea, della civiltà umana e sulla salute del nostro pianeta. Indipendentemente da quello che ancora pateticamente – ma allo stesso tempo anche ferocemente – qualcuno oggi cerca di sostenere, dalla cultura alla politica, il modello di società patriarcale è un pericoloso e radioattivo fallimento.

Se grazie ad esso un gruppo sempre più sparuto di persone sta diventando inesorabilmente più ricco mentre un gruppo sempre più ampio si sta tragicamente impoverendo, i sostenitori del patriarcato non possono negare che il nostro vecchio e debole pianeta è gravemente malato soprattutto a causa del modello che loro persistono a difendere a spada tratta. Certo, in realtà si può negare tutto, soprattutto a voce. Io, per esempio, mi ricordo molto bene quando ero piccolo, negli anni Settanta, che noti e integerrimi statisti italici affermavano indignati, anche in sedi ufficiali come quella di un tribunale, che: “…La mafia non esiste!”.

Ma, guarda caso, anche la mafia è un terribile e sanguinario esempio di patriarcato, cioè di prevaricazione con la forza fisica e mentale di un piccolo gruppo di persone su un altro molto più numeroso. E questo può valere naturalmente per nazioni o continenti.

Nel nostro Paese il percorso per le eque pari opportunità – che coinvolgono non solo la differenza di genere legata al sesso, ma anche quelle legate alle debolezze materiali e morali dei diversi individui – è ancora molto lungo.

Se arrivati a questo punto di questo post c’è ancora qualcuno che è convinto che il contrario di “patriarcato” sia il “femminismo” inteso come spostare semplicemente il “potere” dagli uomini alle donne, lo invito con il massimo rispetto e la più sincera cortesia a smettere di leggerlo, per buona pace di tutti, sopratutto della mia. Visto poi che drammaticamente non sono poche, nel nostro Paese, le donne che assecondano e aderiscono totalmente al patriarcato.

Se preferite rimanere chiusi nelle vostre idee obsolete e un tantino ristrette – invece di volere una equilibrata e paritaria collaborazione dei due sessi, che è uno dei cardini del femminismo – buon per voi. Altrimenti, se desiderate sforzarvi un tantino, potete iniziare a leggere, anche in ordine sparso, i libri dei maestri Gianni Rodari e Roald Dahl.

Poi, se proprio non amate leggere, cosa che spiegherebbe di molto la vostra propensione al patriarcato, allora potete rivolgervi al cinema o alla televisione, e vedervi un film avvincente e divertente come questo. Ma occhio, è uno di quelli che fra un colpo di scena e l’altro, fra una battuta e l’altra …un pochino vi fanno pensare. Siete stati avvertiti.

Ispirandosi alla serie di romanzi che a partire dal 2006 ha pubblicato Nancy Springer la cui protagonista è la giovane Enola Holmes, sorella minore di Mycroft e Sherlock Holmes, Harry Bradbeer ha scritto il soggetto e il sempre bravo Jack Thorne la sceneggiatura di questo “Enola Holmes 2”, seguito dell’altrettanto piacevole e intrigante “Enola Holmes” del 2020.

Nell’austera e patriarcale (…eh lo so, ma era davvero così!) Londra vittoriana, la giovane Enola Holmes (Millie Bobby Brown), dopo aver risolto brillantemente il caso della scomparsa del giovane Lord Tewkesbury (Louis Partridge) decide di aprire una sua agenzia investigativa. Ma tutti i clienti, una volta accertatisi con sdegno che lei è “solo” una giovane donna, finiscono per chiederle di intercedere per loro col fratello maggiore Sherlock.

Proprio mentre Enola, rassegnata, sta abbandonando il locale che aveva affittato per la sua agenzia, si presenta alla sua porta una ragazzina che, offrendole alcuni penny in cambio, le chiede di ritrovare la sua sorellastra Sarah Chapman (Hannah Dodd), nonché sua collega nella fabbrica di fiammiferi grazie alla quale riescono miseramente a sopravvivere, scomparsa da qualche giorno.

Enola non ci pensa due volte e accetta il caso, iniziando a investigare proprio nella fabbrica di fiammiferi Lyon, intanto suo fratello maggiore Sherlock Holmes (Henry Cavill) è sotto scacco del misterioso e inafferrabile Moriarty…

Nella parte di Eudoria, la madre di Enola, Sherlock e Mycroft Holmes c’è la bravissima Helena Bonham Carter.

Fra le migliori opere liberamente tratte dagli scritti frutto del genio di Arthur Conan Doyle.

“Wonder” di Stephen Chbosky

(USA, 2017)

Nel 2012 esce “Wonder” il primo romanzo della scrittrice americana R.J. Palacio (il cui vero nome è Raquel Jamarillo), libro per ragazzi incentrato sul bullismo, soprattutto quello feroce e spietato contro le diversità.

L’esperienza della scrittrice è “diretta”, perché l’esigenza di scrivere il libro le nasce dopo una gita al parco coi figli. Mentre gioca col minore, nelle vicinanze giunge una bambina affetta da una grave malformazione facciale. Il primo istinto della futura scrittrice è quello di allontanarsi per paura che i suoi figli possano rimanere impressionati. La sua reazione ottusa e insensibile, e soprattutto il turbamento che questa le provoca nel profondo, portano la Palacio a scrivere “Wonder”, primo di una serie di sette libri.

Così entriamo nella vita di August “Auggie” Pullman (un bravissimo Jacob Tremblay) un bambino di dieci anni affetto dalla sindrome di Treacher Collins che, oltre a deformargli il cranio, lo ha costretto a ben 27 importanti interventi chirurgici per consentirgli di respirare e sentire.

Auggie, a causa della sua malattia e dei relativi lunghi ricoveri, non è mai andato a scuola e della sua istruzione se ne è sempre occupata la madre Isabel (un’altrettanto brava Julia Roberts). Ora però, secondo Isabel e nonostante i dubbi del padre Nate (Owen Wilson), è giunto il momento per Auggie di frequentare la prima media.

Isabel e Nate sanno però che il primo impatto con il mondo esterno potrebbe essere devastante. Ma senza provare che senso avrebbe per Auggie, così appassionato per lo studio e con una vera e propria propensione per le scienze, la vita passata sempre chiuso in una bolla di vetro?

Come è capitato a tutti noi – tranne ai bulli ovviamente… – Auggie dovrà scontrarsi col bullismo che per lui purtroppo sarà più violento, fatto di atteggiamenti subdoli e ipocriti, atroci prese in giro e insulti belli e buoni.

Come i libri della Palacio, il film ci racconta anche le drammatiche e dure esperienze delle persone che amano e vivono accanto ad Auggie, come sua sorella maggiore Olivia (Izabela Vidovic) che dal giorno della nascita del fratello minore ha sempre vissuto “in punta di piedi” per non creare ulteriori problemi ai suoi genitori. O quelle di Julian, facoltoso compagno di classe di Auggie che identifica in lui il “mostro” da schifare e insultare quotidianamente.

Ma parafrasando Auggie: “Ognuno di noi conduce una guerra contro il mondo, e per questo meriterebbe nella vita almeno una standing ovation”. E la disabilità, fra gli altri gravi problemi, rende questa guerra più evidente e dura.

Sceneggiato dallo stesso Chbosky – autore della discreta pellicola “Noi siamo infinito” – insieme a Steve Conrad e al bravissimo Jack Thorne (che la Rowling ha scelto per scrivere “Harry Potter e la maledizione dell’erede” e autore di script per ottimi film come: “Radioactive” della Satrapi, “Enola Holmes” di Bradbeer e “Il giardino segreto” di Munden) “Wonder” è davvero un inno alla vita struggente ed emozionante.

Da vedere e far vedere nelle scuole.

“Il giardino segreto” di Marc Munden

(UK/Francia/USA/Rep. Pop. Cinese, 2020)

E’ disponibile su Prime Video e in dvd il nuovo adattamento cinematografico dello storico romanzo di Frances Hodgson Burnett “Il giardino segreto“.

A scrivere l’ottima sceneggiatura è Jack Thorne, lo stesso autore di quelle di pellicole come “Radiocative” e “Enola Holmes“, che aggiorna il romanzo originale apportando alcune modifiche sostanziali.

L’azione si svolge nel 1947, poco dopo la fine del secondo conflitto planetario, proprio mentre si sta verificando la drammatica separazione fra l’India, il Pakistan Orientale e quello Occidentale. La piccola Mary (una bravissima Dixie Egerickx) rimane sola e abbandonata nella sua grande tenuta in India, dopo che i suoi genitori sono morti di colera in poche ore.

Una volta trovata dai militari britannici, la piccola viene spedita dall’unico parente in vita, il signor Archibald Craven (Colin Firth) cognato di sua madre. L’arrivo in Inghilterra e soprattutto quello presso la tenuta Craven è davvero molto freddo e duro. Ad attendere la piccola infatti c’è solo la governante, signora Medlock (Julie Walters) che in maniera assai brusca e altera la porta nella camera che le è stata destinata. E soprattutto la diffida nel guardare negli occhi il signor Craven e soprattutto la deformazione di cui è vittima, quando lo incontrerà.

Il padrone di casa è afflitto, infatti, da una deformazione del torace dovuta ad alterazioni ipercifotiche della colonna vertebrale, che volgarmente molti chiamano “gobba”. Naturalmente il carattere viziato e arrogante di Mary la portano, al loro primo incontro, non solo a guardare negli occhi suo zio ma ad osservare con attenzione la sua escrescenza sulle spalle.

Il clima nella casa è molto triste e algido perché il padrone di casa non si è mai ripreso dalla morte della moglie – sorella della madre di Mary – avvenuta a causa di una grave malattia qualche anno prima. E la sua enorme magione sembra essere rimasta congelata ai quei giorni tristi.

La notte Mary sente dei lontani e misteriosi lamenti che tutti però, a partire dalla indisponente signora Madlock, imputano al fischiare del vento. Ma la piccola scopre che invece sono i lamenti di Colin, il figlio del signor Craven, suo coetaneo e quindi anche suo cugino. Il piccolo è costretto a letto da una misteriosa quando terribile malattia…

Grazie alla bravura di Thorne e a quella di un cast davvero di primo livello – fra cui spicca il sempre bravo Colin Firth che nonostante i suoi quasi 190 centimetri di altezza rendere credibile la sua deformità – riviviamo al meglio uno dei romanzi per ragazzi più famosi di sempre.

Da vedere.

“Enola Holmes” di Harry Bradbeer

(UK/USA, 2020)

Nel 1929 la grande Virginia Woolf nel suo splendido “Una stanza tutta per sé”, descrivendo le immense e troppo spesso insormontabili difficoltà che una donna scrittrice – e non solo – ha incontrato nel corso dei secoli in una società spudoratamente maschilista come quella britannica – …e non solo – ci parla di Judith, l’ipotetica sorella dell’immortale William Shakespeare che, anche dotata del suo stesso inarrivabile ingegno, non sarebbe mai potuta diventare famosa o scrivere tutte le opere che firmò il fratello perché stritolata e soffocata “a causa” della sua condizione di bambina prima, e donna dopo.

La scrittrice americana e docente di scrittura creativa Nancy Springer nel 2006, sulla scia ideale della Judith Shakespeare della Woolf, pubblica “The Case of the Missing Marquess” (primo di una serie, ad oggi, di sei romanzi) la cui protagonista è la giovane Enola Holmes, l’ipotetica sorella minore di Mycroft e Sherlock Holmes.

La sedicenne Enola Holmes (Millie Bobby Brown) vive felicemente con la madre Eudoria (Helena Bonahm Carter) nella grande villa in campagna della famiglia Holmes. Il padre è morto poco prima che lei nascesse e i suoi fratelli Mycroft (Sam Caflin) e Sherlock (Henry Cavill) hanno lasciato la magione da anni. In realtà il vero proprietario è Mycroft, il primogenito, che però ha concesso alla madre e alla sorella di vivere nella villa fino al sedicesimo compleanno di Enola.

Così, proprio la mattina del suo sedicesimo compleanno, Enola scopre che sua madre se ne è andata per sempre. Ma Eudoria non l’ha educata come le altre ragazze (a differenza di Judith): le ha insegnato il combattimento corpo a corpo, la chimica, la scienza e soprattutto la voglia di imparare e scoprire. Grazie ad alcuni indizi la giovane ipotizza che la madre si sia trasferita a Londra. Quando tornano nella villa i suoi due fratelli maggiori, con Mycroft che vuole rinchiuderla in un austero collegio femminile, Enola decide di ritrovare la madre da sola. Ma sulla sua strada inciamperà in un ragazzo…

Sfizioso e godibilissimo film con una protagonista insolita e avvincente, anche per i pignoli amanti del grande Sherlock Holmes come me. La sceneggiatura è firmata da Jack Thorne (autore di quella dell’ottimo “Radioactive” di Marjane Satrapi) ed evidenzia in maniera ironica e intelligente il geniale contrasto creato dalla Springer nel dare all’investigatore più misogino della letteratura planetaria una sorella bella e intelligente come lui …o forse di più.

Insieme a “Vita privata di Sherlock Holmes” di Billy Wilder, “La soluzione sette per cento” di Nicholas Meyer, “Piramide di paura” di Barry Levinson, “Senza indizio” di Thom Eberhardt e alla serie “Sherlock” di Mark Gatiss, Steven Moffat e Steve Thompson, “Enola Holmes” è una delle migliori opere liberamente ispirate al personaggio immortale creato dal grande Arthur Conan Doyle.

“Radioactive” di Marjane Satrapi

(UK/Ungheria/Rep. Pop. Cinese/Francia/USA, 2020)

Maria Salomea Skłodowska è stata una delle personalità più rilevanti del Novecento, e non solo. La Skłodowska, grazie al suo genio e alla sua costanza di scienziata, ha segnato il suo tempo e quello successivo alla sua morte avvenuta nel 1934.

Ma la Skłodowska aveva un grande e imperdonabile “difetto”, secondo la stragrande maggioranza dei suoi contemporanei: era una donna. Basta pensare che il mondo non la ricorda col suo vero nome, ma con quello francesizzato di Marie, e col cognome del marito Pierre Curie.

Perché la Skłodowska nasce a Varsavia, allora Polonia Russa, nel 1867 e nel 1891 si trasferisce a Parigi per studiare e conseguire la laurea in fisica e matematica. E’ in questa fase della sua vita che inizia il racconto del film “Radioactive”, diretto dalla franco-iraniana Marjane Satrapi, scritto da Jack Thorne e tratto dal graphic novel “Radioactive. Marie e Pierre Curie. Una storia d’amore e contaminazione” dell’americana Lauren Redniss.

A causa del suo carattere forte e indipendente – che allora dotti medici e sapienti chiamavano vergognosamente “isteria” – e nonostante il suo genio indiscusso di scienziata, Maria Salomea Skłodowska (interpretata da una bravissima Rosamund Pike da Oscar) è mal tollerata alla Sorbona, dove mezzi e risorse vengono dedicati soprattutto ai suoi colleghi maschi. All’ennesima richiesta di spazi e fondi la Skłodowska viene invitata a lasciare il suo laboratorio.

L’unico che le offre un posto è Pierre Curie (Sam Riley) ben conscio delle grandi capacità di scienziata della donna. In breve tempo i due uniscono le loro ricerche e le loro vite, sposandosi e dividendo il laboratorio. Insieme i Curie scopriranno due nuovi elementi chimici, il radio e il polonio – chiamato così in onore alla terra natia di Marie – perfezionando anche il concetto di radioattività.

Il mondo scientifico cambia in maniera rapida e inarrestabile e la coppia di scienziati è acclamata e applaudita ovunque. Ma quando arriva il Premio Nobel per la Fisica, sulla menzione c’è scritto solo il nome di Pierre Curie. Sia perché ha appena partorito, ma soprattutto perché indignata per la cosa, Marie non accompagna il marito a Stoccolma a ritirare il prestigioso premio.

Lo studio del radio e della sua radioattività inizia a provocare gravi danni agli scienziati che lo maneggiano e i Curie cominciano a domandarsi se l’umanità fosse stata davvero pronta per una scoperta così importante.

Quando, investito da una carrozza, nel 1906 Pierre muore, Marie rimane sola con i suoi dubbi ed i suoi demoni. E così, affrontando la vita sempre da donna libera e indipendente – causando fin troppo spesso le ire e le proteste dei più ipocriti benpensanti – Marie non potrà fare a meno di incrociare l’equipaggio dell’Enola Gay che lancerà la bomba su Hiroshima nel 1945 o il pompiere che per primo entrerà nel reattore danneggiato a Chernobyl nel 1986. Ma incrocerà anche, però, il bambino che per primo a Cleveland nel 1957 si sottoporrà alla radioterapia per sconfiggere il cancro che lo sta uccidendo…

Un bel film su una grande scienziata che ha rivoluzionato il mondo, e non solo quello della scienza, senza mai tradire la sua natura di donna libera.

Da vedere e da far vedere a scuola.

“Harry Potter e la maledizione dell’erede” di J.K. Rowling, John Tiffany e Jack Thorne

(Salani, 2016)

Che J.K. Rowling sia una delle più geniali scrittrici degli ultimi vent’anni non è una novità, e così non c’è da stupirsi che quest’ultima avventura di Harry Potter non deluda le attese e le aspettative.

E il genio della Rowling sta anche nel voler collaborare con altri due autori e non caricarsi da sola una così grande responsabilita (come accadde per esempio a George Lucas). La scrittrice scozzese ha saggiamente scelto uno specializzato nello scrivere per il teatro come Jack Thorne, e un affermato regista teatrale e cinematografico come John Tiffany.

Questo nuovo episodio è stato pensato e scritto non per essere un libro, ma uno spettacolo teatrale, e così il testo è in formato storybook – così come è evidenziato nella copertina – che noi italiani chiamamo semplicemente …sceneggiatura.

Non ho la minima intenzione di raccontare la storia o parte di essa, riporto solo quello che è scritto in quarta di copertina: “L’ottava storia. Diciannove anni dopo”. E’ chiaro quindi che entra in scena una nuova generazione…

Fra colpi di scena geniali e atmosfere cupe e mortali, torniamo nel mondo di Hogwarts e della sua splendida, ma a volte letale, magia. E il bello è che lo facciamo tutti con qualche anno in più, compresi gli autori. E non storcete il naso: invecchiare non vuol dire diventare per forza più noiosi… anzi!

Chiudo col ridordare che lo spettacolo che ha esordito a Londra lo scorso giugno è tutto esaurito fino alla fine del prossimo 2017. E che già si parla di un adattamento cinematografico in tre film, anche se il testo in realtà è composto solo da due atti.

Speriamo che stavolta scelgano meglio il giovane attore che impersonerà il protagonista, visto che nella serie dei film multimilionari, a mio personale parere, era davvero l’unico grande punto debole. Adesso potete storcere il naso…