“Uno sparo nel buio” di Blake Edwards

(USA, 1964)

Nel 1960 debutta a Parigi la commedia “L’idiote” del drammaturgo francese Marcel Achard, che ha come interprete principale Annie Girardot. Il successo è clamoroso tanto arrivare a interessare Hollywood quando, nel 1962, la commedia sbarca trionfalmente a Broadway, tradotta da Harry Kurnitz.

Per il suo adattamento cinematografico vengono scelti Anatole Litvak come regista, Sophia Loren e Walter Matthau come protagonisti. Ma il progetto rimane bloccato fino a quando non viene scritturato Peter Sellers al posto di Matthau. Lo stesso Sellers nota evidenti lacune nello script e chiede a Blake Edwards di occuparsi della sceneggiatura – cosa che farà insieme a William Peter Blatty – e della regia. “La Pantera Rosa” è stato appena terminato e non è ancora uscito nelle sale, ma i due decidono di adattare lo stesso il film come “seguito” delle avventure del maldestro ispettore Clouseau.

Il successo al botteghino de “La Pantera Rosa” accelera la produzione che individua come coprotagonista, per impersonare la procace italiana Maria Gambelli, la tedesca Elke Sommer. Per il ruolo dell’ispettore capo Dreyfus viene scelto Herbert Lom che aveva già recitato assieme a Sellers nello splendido “La Signora Omicidi” diretto da Alexander Mackendrick nel 1957.

L’altero George Sanders è il milionario Benjamin Ballon nella cui residenza viene commesso il primo di una lunga serie di omicidi, di cui è incolpata la bella Maria Gambelli. L’arrivo nella magione Ballon dell’ispettore di turno, l’ineffabile Clouseau, segna il film e la storia del cinema…

E pensare che per “La Pantera Rosa” in quel ruolo era stato scritturato Peter Ustinov che però a poche ore dall’inizio delle riprese lasciò per incomprensioni il set ed Edwards, come “ripiego”, chiamò in tutta fretta Sellers.

Ancora oggi le gag fisiche e verbali di Clouseau/Sellers sono irresistibili regalandoci momenti di puro divertimento. Nonostante il rapporto burrascoso fra l’attore inglese e il regista americano, i due realizzarono 5 film della seria “La Pantera Rosa”, tutti di enorme successo per non parlare poi del mitico “Hollywood Party“. Poco prima dell’inizio della lavorazione del sesto film con Clouseau – dal titolo provvisorio “L’amore della Pantera Rosa” – il 24 luglio del 1980 Peter Sellers morì a causa di un infarto.    

Così come l’interpretazione di Sellers, immortale è anche la colonna sonora firmata dal maestro Henry Mancini fra le più famose del cinema.

Noi italiani, inoltre, dobbiamo ricordare il grande Giuseppe Rinaldi che dona la voce a Sellers con un accento francese maccheronico ancora oggi inarrivabile.   

“Victor Victoria” di Blake Edwards

(USA, 1982)

Siamo agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, quando l’omosessualità da molti era ancora considerata una perversione e una “deviazione” del comportamento “normale” di un essere umano. Ma allo stesso tempo l’omosessualità, sia quella femminile ma soprattutto quella maschile, erano considerate “attraenti” e divertenti, naturalmente solo in centri ambiti …ristretti. Come quello dello spettacolo, che concedeva ospitalità a grandi artisti, ma solo sul palcoscenico. Fuori era un’altra cosa…. un pò come al leggendario “Cotton Club” degli anni Trenta dove a esibirsi erano immensi artisti come Cab Calloway, ma nello stesso locale non erano ammesse come clienti persone di colore.

Così Blake Edwards decide di puntare i riflettori – e la macchina da presa – su questa grande e vergognosa ipocrisia e si ispira al film “Vittorio e Vittoria” scritto e diretto dal tedesco Reinhold Schünzel nel 1933, cambiando non di molto la sceneggiatura originale.

Parigi, 1934. Victoria Grant (una brava Julie Andrews) è un ottimo soprano che però non riesce a trovare un ingaggio. Disperata e alla fame, per mangiare decide di portare nella borsa uno scarafaggio trovato nella camera in affitto in cui alloggia – e dalla quale è stata cacciata per non aver pagato la pigione – in un ristorante e metterlo nell’insalata finale sperando così di evitare di pagare il conto.

Nel locale la donna incrocia Toddy (Robert Preston), un cantante omosessuale anche lui finito in bolletta, a causa soprattutto del suo carattere scostante. Ed è proprio Toddy ad avere l’illuminazione: a Parigi nessun locale è interessato a un soprano donna, anche se di alta qualità; ma a un uomo che finge di essere un soprano donna nessuno saprebbe resistere. Lui può insegnarle tutto, ma…

Deliziosa commedia, nella grande e inimitabile tradizione di Blake Edwards, che ci racconta delle becere ipocrisie e dei falsi perbenismi sull’omosessualità – il gangster americano Re Marchand, interpretato da James Garner, finché froda il fisco e ammazza i rivali è rispettato e temuto, ma quando aleggia su di lui il sospetto di essere innamorato di un altro uomo, perde completamente di “rispettabilità”… – ambientata negli anni Trenta parigini, ma ben presenti, purtroppo, negli Stati Uniti – e naturalmente non solo – dei primi anni Ottanta.

Edwards e sua moglie Julie Andrews, così come tutti, non si aspettavano certo la tragedia che proprio mentre questo film veniva girato iniziava ad abbattersi sul genere umano: l’AIDS. Il virus, iniziando a falciare vittime fra le comunità gay, venne vergognosamente associato per interi anni solo all’omosessualità, ghettizzando ancora di più i suoi membri e facendo credere per molto tempo agli eterosessuali di esseri “immuni”. Il Presidente Reagan solo all’inizio del suo secondo mandato iniziò a parlare pubblicamente della pericolosità del virus per “tutti”.

Tornando al film, oltre alle ottime interpretazioni della Andrews e di Preston – entrambi candidati all’Oscar la prima come miglior attrice protagonista e il secondo come miglior attore non protagonista – deve essere ricordata anche la colonna sonora firmata da Henry Mancini, stretto collaboratore di Edwards e autore delle più famose musiche dei suoi film, come quella indimenticabile della serie “La Pantera Rosa”. Delle sette candidature ottenute dal film – fra cui anche la miglior sceneggiatura non originale – solo Mancini incredibilmente portò a casa la statuetta, e anche questo fu un triste segno di quei tempi.

Per la chicca: è indubbio che il personaggio dell’investigatore impacciato Charles Bovin, interpretato da Herb Tanney, incaricato di scoprire la vera sessualità di Victoria Grant alias Victor Grazinski, sia un esilarante omaggio al grande ispettore Clouseau ideato dallo stesso Edwards e incarnato in maniera sublime dal grande Peter Sellers, scomparso l’anno precedente l’inizio della lavorazione della pellicola.

“Due per la strada” di Stanley Donen

(UK, 1969)

Stanley Donen è una delle colonne del cinema americano. Classe 1924, ha iniziato la sua carriera giovanissimo come ballerino, periodo in cui conosce Gene Kelly, e proprio come coreografo approda a Hollywood negli anni Quaranta. Il salto dietro la macchina da presa è rapido e nel 1952 dirige il suo film forse più famoso: “Cantando sotto la pioggia”, co-dirigendolo assieme all’amico Kelly. Due anni dopo realizza uno dei film più belli del mondo: “Sette spose per sette fratelli”, e non aggiungo altro!

Alla fine del decennio approda alla commedia sofisticata con “Indiscreto” e “L’erba del vicino è sempre più verde”. Con l’arrivo dei Sessanta, Donen non perde smalto e capacità dietro la MDP e gira con una delle sua attrici preferite – già diretta più volte – Audrey Hepburn questo struggente “Due per la strada”.

Su una lunga striscia d’asfalto ripercorriamo la storia d’amore fra Joanna (la Hepburn) e Mark (Albert Finney). Con una lunga serie di flashback concatenati uno all’altro scopriamo come, poco più che ventenni, i due si sono conosciuti facendo l’autostop, come si sono sposati, come poi sono diventati genitori e come, alla fine, sono entrati in crisi…

Bellissima e toccante storia sentimentale, che anticipa la rivoluzione sociale che vede – fortunatamente – cambiare il ruolo della donna nella coppia e nella famiglia, rivoluzione che ancora oggi – purtroppo… – non è compiuta del tutto.

La sceneggiatura del film è scritta da Frederic Raphael e viene giustamente candidata all’Oscar, mentre la splendida colonna sonora è firmata dal maestro Henry Mancini.

Oltre alla storia e al modo in cui viene racconta, questo film deve essere rivisto per apprezzare ancora una volta la bellezza, il fascino e la bravura della Hepburn, icona davvero senza tempo.