“Zero Gravity” di Woody Allen

(La Nave di Teseo, 2022)

Dopo l’esilarante e al tempo stesso amara autobiografia “A proposito di niente”, il genio newyorkese Woody Allen torna a scrivere un libro. Questa volta si tratta di una raccolta di diciannove racconti, alcuni già comparsi sul “New Yorker”, altri invece inediti.

Tutti sempre divertenti e a volte malinconici che ci narrano di una società e una cultura che, quantomeno, lascia molto a desiderare. Cosa che ci ricorda l’intramontabile frase del grande Groucho Marx – sempre molto amato da Allen – che più o meno diceva così: “Non voglio far parte di un club che accetti tra i suoi soci uno come me”. Ecco, Woody Allen, con questi racconti sembra dirci che mal sopporta la cultura contemporanea, anche se volente o nolente lui stesso vi fa parte ed è considerato – giustamente! – una delle punte di diamante più rilevanti.

Se proprio devo scegliere, costretto davanti al plotone d’esecuzione, dico “Crescere a Manhattan”, bello e struggente che sfiora molti – se non tutti – argomenti e ambientazioni preferiti da sempre da Allen e narrati in numerose delle sue pellicole, a partire dalla città che non dorme mai: New York.

Arrivati all’ultima pagina, come capita solo coi grandi libri, ci intristiamo diventando nostro malgrado orfani di pagine e parole che ci hanno riempito l’anima e il cuore, facendoci ridere, sorridere a volte diventare malinconici.

Anche se Dio è morto, Marx (…Karl) è morto, tu Woody resisti e scrivi ancora …mi raccomando!

D’altronde, come diceva sempre il grande Marx (stavolta ancora Groucho): “All’infuori del cane, il libro è il migliore amico dell’uomo. Dentro il cane è troppo scuro per leggere”.

“La guerra lampo dei Fratelli Marx” di Leo McCarey

(USA, 1933)

Siamo nel 1933, in Germania sale definitivamente al potere Hitler, mentre il Italia Mussolini è il capo assoluto del governo da oltre dieci anni.

Il pericolo di un secondo conflitto mondiale comincia a stagliarsi all’orizzonte. Ma nessuno, o quasi, vuole davvero vederlo. E come capita spesso in queste – tragiche – occasioni, è la satira la prima a gridare che il Re è nudo!

Così i geniali Fratelli Marx realizzano uno dei loro capolavori indiscussi, che ancora oggi rappresenta una delle più riuscite opere antimilitariste della storia del cinema. I quattro comici newyorchesi mettono alla berlina, e giustamente senza pietà, l’arroganza, l’ipocrisia e soprattutto la vigliaccheria dei fautori della guerra.

Con gag – come quella allo specchio fra Groucho e Harpo, o quella del cappello fra lo stesso Harpo, Chico e il venditore di limonate – ancora oggi irresistibili e ancora oggi stracopiate.

Come era prevedibile un film così comicamente innovativo e nettamente schierato non poteva essere apprezzato dal pubblico del 1933, molto del quale – anche negli Stati Uniti – considerava Mussolini e Hitler due “uomini forti” che tanto bene avrebbe fatto al mondo e alle loro fortunate nazioni.

Le decine di milioni di morti e feriti che i due “uomini forti” provocarono con le loro scellerate e drammatiche decisioni hanno segnato la storia del Novecento e travolto molte altre nazioni oltre le loro. Ma forse oggi in troppi considerano il Novecento solo come “il secolo scorso”, come qualcosa di passato che non tornerà più.

E se il Novecento potrà tornare effettivamente solo fra poco meno di mille anni, la guerra e soprattutto i suoi ipocriti, arroganti e vili fautori invece sono sempre pronti a tornare, e a fomentare lo scontro fra le persone e i popoli.

Per questo, questa esilarante pellicola, andrebbe fatta vedere a scuola.      

“Noci di cocco” di Robert Florey e Joseph Stanley

(USA, 1929)

L’uscita nelle sale cinematografiche de “Il cantante di Jazz”, il primo film completamente sonoro avvenuta nel 1927, cambia completamente il cinema. Come raccontato deliziosamente in “The Artist” di Michel Hazanavicius, finisce la prima epoca d’oro del cinematografo. Improvvisamente i dialoghi, che fino ad allora era quasi accessori, diventano fondamentali, così come le colonne sonore e le canzoni.

Solo pochi grandi riusciranno a sopravvivere alla rivoluzione della settima arte, fra cui spicca il genio assoluto di Charlie Chaplin che, nonostante i capolavori “parlati” che dirigerà negli anni successivi, considererà sempre il sonoro un’innovazione ingombrante e al tempo stesso “limitante” (così come molti considerano “limitante” la versione cinematografica di un libro).

Se questa nuova tecnica decreta la fine della carriera di molti artisti, al tempo stesso lascia spazio a nuovi talenti che fino a quel momento erano lontani dal cinema. I produttori hanno bisogno infatti di attrici e attori che sappiano recitare, ballare e cantare. E così si cercano nuovi divi nel teatro di rivista, dove i dialoghi e la gag non possono essere solo fisiche.

La Paramount Pictures decide perciò di adattare per lo schermo lo spettacolo teatrale che sta riscuotendo un ottimo successo in tutti gli Stati Uniti. I protagonisti sono i quattro Fratelli Marx che usano le classiche tecniche della comicità fisica unite a quella verbale di cui Groucho Marx è un vero geniale pioniere.

Come nei grandi spettacoli musicali del periodo, la trama è davvero molto banale, ma quello che conta sono le coreografie, le canzoni e soprattutto la comicità totale, e perfettamente integrata, di Harpo, Chico, Zeppo e Groucho. Harpo, che per scelta non parla mai, interpreta straordinariamente quella classica delle “vecchie” comiche controbilanciando quella verbale e irresistibile di Groucho.

Il film ebbe un successo clamoroso al botteghino, tanto da avviare definitivamente la carriera cinematografica dei Marx, nonostante i quattro, finite le riprese e vista l’anteprima, fecero di tutto per bloccarne l’uscita.

L’edizioni nelle nostra lingua oggi disponibili sono poche e di bassa qualità, ma questo film merito lo stesso di essere visto anche solo per capire che geni comici sono stati i Marx e quanto hanno influenzato e ancora influenzano la comicità planetaria.