“Willow” di Ron Howard

(USA, 1989)

Sono molti gli elementi che rendono questo film un vero e proprio cult.

Il primo è la storia scritta da George Lucas e sceneggiata da Bob Dolman che, col passare degli anni, diventa sempre più affascinante e coinvolgente. Altro rilevante elemento è il suo profondo legame con mondo fantasy creato da J.J.R. Tolkien dal quale attinge ispirandosi – e non certo copiando –  e al quale poi, dopo un decennio, ridarà molto.

E’ indiscutibile, infatti, che la storia del “piccolo” nelwyn – di statura ma non certo di cuore –  Willow Ufgood (interpretato da Warwick Davis) richiami alla mente quella di Frodo Baggins che, suo malgrado, viene coinvolto nella lotta atroce e violenta fra il bene e il male. E fin dall’inizio: il villaggio nelwyn dal quale Willow parte e alla fine della storia ritornerà, come ambiente sembra proprio la Contea descritta da Tolkien.

Ma “Willow” non ha solo “preso” da Tolkien: le immagini girate da Howard ispireranno in maniera sensibile Peter Jackson quando porterà sullo schermo la trilogia dell’Anello. La casa di Bilbo e la Contea hanno tanto in comune con la casa e il villaggio di Willow.

I vasti e svariati paesaggi attraverso i quali Willow passa lungo il suo viaggio, sono tanto simili a quelli che userà Jackson nei suoi film (non è un caso che la pellicola di Howard è stata girata fra il Galles e la Nuova Zelanda).

Così come i combattimenti hanno molto in comune fra i film, soprattutto quello fra Gandalf e Saruman ne “La Compagnia dell’Anello” ha azioni incredibilmente simili a quello finale di “Willow” fra Raziel e la perfida regina Bavmorda. Ripeto, non parliamo di plagio o furba copia: ma di pura e semplice ispirazione.

Ron Howard non ha mai nascosto che per tutta la durata delle riprese ha avuto accanto, come mentore e riferimento, lo stesso George Lucas. E sempre grazie alle geniali intuizioni di Lucas, di fatto “Willow” è il primo film nella storia in cui appare il morphing grazie alla computer grafica, allora solo agli albori. Anzi, è proprio durante la realizzazione del film che viene coniato il termine.

Il fascino della pellicola è anche in questo, effetti speciali a metà fra il passato e il futuro. La scena in cui Willow trasforma Raziel ha fatto storia. Da lì sono partiti i presupposti per poi realizzare film come “The Abyss” o “Terminator 2 – Il Giorno del Giudizio”  di James Cameron, o “Jurassic Park” di Steven Spielberg. Ma allo stesso tempo in “Willow” ci sono effetti realizzati alla “vecchia” maniera, con pupazzi e fondali finti.

Ma anche non volendo considerare tutto ciò, “Willow” è semplicemente un film delizioso come solo George Lucas sapeva scrivere, e ho usato il passato perché adesso ha deciso di occuparsi di altro …sob.  

“L’uomo che fuggì dal futuro” di George Lucas

(USA, 1971/2004)

C’è una particolare teoria che aleggia fra alcuni cinefili assai chic che asserisce che lo strepitoso e imperituro successo di “Guerre Stellari”, se è vero che da una parte ci ha regalato un universo fantastico e inesauribile – di cui io sono un fan sfegatato – dall’altra ci ha privato di un grande cineasta come George Lucas.

Perché di fatto il problematico rapporto fra Luke Skywalker e suo padre Anakin (e adesso dite che la saga più famosa del cinema non si può sintetizzare anche così…) che ha incantato e continua a incantare generazioni su generazioni, sembra aver soffocato il genio del suo autore.

E’ vero che dopo “Guerre Stellari” Lucas ha scritto pellicole di clamoroso successo come quelle con Indiana Jones per esempio, ma è vero anche che dietro la macchina da presa c’è tornato solo per girare i tre prequel della saga, che continuano a prendere in giro (giustamente) anche in “The Big Bang Theory”.

Per tagliare la testa al toro, allora, basta guardare questo “L’uomo che fuggì dal futuro” esordio dietro la MDP del giovane Lucas, prodotto da Francis Ford Coppola, basato su una idea originale di Lucas e sceneggiato assieme a Walter Murch, fra i più importanti maghi del montaggio di Hollywood, e vincitore tra l’altro di due premi Oscar proprio come montatore per “Apocalypse Now” e “Il paziente inglese”.

Il titolo originale è “THX 1138” che è il nome del suo protagonista (impersonato da un bravissimo Robert Duvall, oltre che la sigla del sistema di qualità audiovisiva che Lucas brevetterà qualche anno dopo) che nel XXV secolo vive in un futuro dispotico e claustrofobico, dove non esistono privacy e intimità, ma tutto è dettato da leggi ferree atte apparentemente a rendere la vita semplice e poco faticosa, ma che in realtà avallano il controllo totale di ogni individuo. Ma…

Grande film visionario che contiene ottime e suggestive sequenze, nonostante sia stato girato a basso costo. Anche la versione del 2004 Director’s Cut rispetta questa filosofia, e gli interventi di computer grafica fatti da Lucas sono mirati non tanto a rendere più spettacolare il film, ma a realizzare alcuni particolari che nel 1971 non riuscì a fare a causa della tecnologia sperimentale di allora.

Per chi ama il genere e non solo. 

Per la chicca: Woody Allen, e dico Woody Allen, ne gira una strepitosa parodia nel 1974 e la chiama “Il dormiglione“, con i poliziotti vestiti uguali e come protagonista il povero Miles Monroe proprietario del ristorante vegetariano “Il sedano allegro”…

“Star Wars: Il risveglio della forza” di J.J.Abrams

(USA, 2015)

Prima di tutto è importante chiarire che qui nessuno rileverà nulla della trama del VII e attesissimo episodio della saga più stellare del cinema.

Nel nostro Paese ci sono già troppi debosciati che pensano che per parlare di un film basta raccontare il plot …poracci!

Ma tornando all’opera di J.J. Abrams (che a me ha dato grande gusto), nonostante le galattiche aspettative planetarie, riesce a mantenere le promesse e a superare la sfida di raccontare qualcosa di nuovo sulla famiglia Skywalker, quando neanche il suo creatore George Lucas c’era riuscito davvero.

E’ stata una grande emozione rivedere sullo schermo l’inossidabile Harrison Ford nei panni di Han Solo (che è sempre stato il mio personaggio preferito), Carrie Fisher in quelli di Leia e Mark Hamill in quelli di Luke.

Per il resto spettacolarità, colpi di scena come se piovesse e citazioni palesi e sottili da veri intenditori.

Fiducioso mi preparo ora il prossimo episodio che è già in preproduzione…

….CHE LA FORZA SIA CON TE!

“Indiana Jones e predatori dell’arca perduta” di Steven Spielberg

(USA, 1981)

Se all’incirca il 13% dei maggiori blockbuster hollywoodiani porta la firma di Steven Spielberg e George Lucas ci sarà un motivo!

E quando il primo decide di realizzare un’idea del secondo, le cose diventano ancora più spettacolari, e “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta” è il migliore degli esempi.

Spielberg riesce a portare sul grande schermo la storia geniale creata da Lucas, scritta insieme a Philip Kaufman e Lawrence Kasdan, sul professore universitario e archeologo d’azione che deve combattere i nazisti, creando un nuovo linguaggio visivo che cambia per sempre il cinema d’avventura.

Il tutto farcito con una deliziosa e sorniona ironia che con il passare degli anni non perde un colpo.

Non voglio parlare dei sequel, fra cui l’unico all’altezza è “Indiana Jones e l’ultima crociata”, per non rovinare tutto (del quarto merita un pensiero solo l’affascinante caschetto nero della bella e crudele Cate Blanchett).

E pensare che per il ruolo da protagonista Spielberg voleva Tom Selleck, che però si era appena impegnato in maniera esclusiva nella serie “Magnum P.I.”, e Harrison Ford fu una sorta di “ripiego” suggerito da Lucas…

Quanto questo film ha inciso nell’immaginario collettivo? …Dopo averlo visto, dite la verità, i ruderi maya non sono più gli stessi!