“Gloria – Una notte d’estate” di John Cassavetes

(USA, 1980)

A partire dai fantastici titoli di testa, questa è una delle più belle pellicole del cinema americano indipendente, firmata e diretta dal suo maestro indiscusso John Cassavetes.

In una fatiscente palazzina del Bronx, la famiglia di un piccolo contabile della criminalità organizzata è sotto assedio. L’uomo, in un momento di follia e pensando davvero di cavarsela, ha sottratto un libro mastro.

Prima che i sicari del suo capo vengano a sterminare tutta la famiglia del contabile, la giovane moglie del ragioniere fa appena in tempo a portare dalla loro vicina Gloria (una bellissima e bravissima Gena Rowlands) il loro figlio minore Phil (John Adames).

Gloria, un’avvenente donna di mezz’età, è un ex ballerina che ha avuto una storia con uno dei boss della città, e forse per questo è riuscita a mettersi un piccolo gruzzolo da parte. Il piccolo Phil arriva proprio mentre lei si sta preparando a ritirarsi per godersi i soldi risparmiati.

Le basterebbe una telefonata per consegnare il bambino e andarsene via più ricca, visto che il contabile lavorava proprio per il suo ex. Ma l’animo umano è pieno di contraddizioni, e la sua natura è spesso indomabile, così per salvare la vita al piccolo Phil, a cui lei non sta neanche simpatica, Gloria sfida la criminalità di un’intera città…

Leone d’Oro come miglior film alla Mostra del Cinema di Venezia, mentre Gena Rowlands (compagna di vita di Cassavetes), giustamente colleziona la candidatura all’Oscar e al Golden Globe come migliore attrice protagonista.

Le similitudini con il “Leon” di Luc Besson non sono casuali, soprattutto perché il cineasta francese è un dichiarato amante del cinema americano. Nel 1997 Sidney Lumet gira il remake con Sharon Stone nel ruolo della protagonista.

“Un’altra donna” di Woody Allen

(USA, 1988)

In un’intervista fatta per la presentazione del bellissimo “Blue Jasmine” – film che sotto molti punti di vista è paragonabile a questo – Woody Allen ha dichiarato di sentirsi soprattutto “un autore di tragedie piuttosto che di commedie, anche se il mondo ormai lo ha etichettato così…”

Questa arguta provocazione del genio newyorkese ha in realtà radici profonde e ben piantate, visto che quando Allen scrive e dirige pellicole drammatiche lo sa fare magistralmente e come pochi altri cineasti.

In questo bello e amaro film assistiamo al bilancio drammatico e sentimentalmente tragico della cinquantenne Marion Post (una splendida Gena Rowlands) preside della Facoltà di Filosofia di una prestigiosa università americana.

L’elemento scatenante l’alluvione dei ricordi che invaderà Marion è il casuale origliare alcune sedute di psicoanalisi che le capita di ascoltare nell’appartamento adiacente a quello che ha preso in affitto per scrivere il suo ultimo libro.

Le esperienze che la donna racconta al suo analista, e che lei spia, le richiameranno alla mente episodi cruciali della sua vita sentimentale nella quale lei ha sempre scelto la ragione e mai seguito il cuore.

Dopo “Interiors”, il più bergmaniano film di Allen che qui chiama a dirigere la fotografia Sven Nykvist, collaboratore di Bergman per ben venti film e più volte premio Oscar; questa bella pellicola conferma ancora oggi Woody Allen il più femminino dei cineasti americani, e non solo.