“Il cattivo poeta” di Gianluca Jodice

(Italia/Francia, 2021)

Personalmente non ho mai avuto una grande empatia con Gabriele D’Annunzio, non tanto per le sue opere, alcune delle quali indiscutibilmente immortali, ma per il suo modo d’essere e per il fatto – per me imperdonabile – di aver querelato Eduardo Scarpetta per una sua parodia de “La figlia di Iorio”, scandalo e causa legale che alla fine fecero smettere allo stesso Scarpetta di scrivere per il teatro.

Ma se all’inizio D’Annunzio fu un esempio per Benito Mussolini, già a metà degli anni Trenta era diventato un vero e proprio problema. Perché il poeta, che aveva guardato con passione ed entusiasmo Mussolini Presidente del Consiglio, col passare degli anni e con la gestione mediocre e miope del potere (per non parlare dell’uso vile e feroce della violenza) diventa il primo e inesorabile critico del Duce. E la sua voce di Vate è davvero difficile da contenere o zittire.

Siamo nel 1936 e ormai da molti anni D’Annunzio (uno straordinario Sergio Castellitto) è rinchiuso nel suo Vittoriale sul Lago di Garda. Mussolini lo paragona a un dente marcio: “…O lo si ricopre d’oro …o lo si estirpa” dice ai suoi fedelissimi.

Il baratro della Seconda Guerra Mondiale si sta materializzando all’orizzonte e Hitler stringe per portare definitivamente Mussolini nella sua sfera di potere, nonostante confidi ai suoi collaboratori, riferendosi a noi italiani: “…Questa feccia ci tradirà”.

D’Annunzio, nonostante l’isolamento, la cocaina e le donne che a fiumi arrivano nel suo Vittoriale, ha intuito cosa vuole dire un’alleanza con Berlino, per Mussolini e soprattutto per gli italiani.

Così il Ministro Achille Starace invia il giovane e promettente Federale di Brescia Giovanni Comini (Francesco Patané) a sorvegliare e contenere il Vate, per impedirgli di esternare i suoi dubbi sull’Asse di Ferro senza al tempo stesso: “…farlo incazzare”.

L’incontro e la frequentazione con D’Annunzio apriranno gli occhi all’ingenuo Comini su Mussolini e sul Fascismo, soprattutto sui suoi metodi – fin troppo spesso violenti e sanguinari – che subdolamente si infilano nei rapporti personali sia coi propri familiari che con le persone che si frequentano.

Il giovane Federale Comini ricorda in questo quel Primo Arcovazzi, magistralmente interpretato da Ugo Tognazzi ne “Il Federale” di Luciano Salce, che suo malgrado si ritrova complice e al tempo stesso disilluso da un sistema fatto per lo più di gretta prepotenza e vile arroganza. Prepotenza e arroganza che molti vogliono far passare tragicamente per grandezza.

Nonostante le aggressive divise nere, con stemmi e teschi che richiamano quelle delle SS, gli alti gerarchi fascisti, a partire da Mussolini, temono più di ogni altra cosa un uomo dal pensiero libero che può far cadere il velo che nasconde un potere ormai corrotto e burattino nelle mani di un folle sanguinario.

Se D’Annunzio non riuscirà a farlo, e sulla sua morte cade l’ombra addirittura di Hitler che pochi giorni dopo annetterà alla Germania l’Austria, sarà la Seconda Guerra Mondiale a squarciare il velo e mostrare la cruda e amarissima verità.

Se qualcuno ancora dice che però i treni allora arrivavano in orario, magari può vedersi questo bel film…