“Avvenne domani” di Renè Clair

(USA, 1944)

L’irlandese Lord Dunsany (1878-1957) – il cui vero nome era Edward John Moreton Drax Plunkett, Barone di Dunsay – è stato uno scrittore e drammaturgo noto per le sue opere fantastiche, che molti paragonano al suo contemporaneo e giustamente più famoso Herbert George Wells.

Il suo atto unico “Jest of Haha Laha” suscita l’interessa del mondo del cinema tanto che anche Frank Capra pensa di adattarlo, ma alla fine arriva sul tavolo di Renè Clair che assieme a Dudley Nichols (autore di script di film come “Ombre rosse” o “Il traditore” diretti dal grande John Ford) scrive la sceneggiatura di quello che diverrà uno dei film più famosi del regista francese realizzati sul suolo americano.

L’opera di Dunsany, come molte del maestro H.G. Wells, pone un quesito ancestrale nella storia dell’essere umano: davvero, potendo, vorremmo conoscere il nostro futuro?

Siamo agli inizi degli anni Quaranta, pronti ad assistere ai festeggiamenti per le nozze d’oro che gli anziani Larry (Dick Powell) e Sylvia (Linda Darnell) vogliono condividere assieme a tutti i loro discendenti. Ma Larry non può fare a meno di raccontare come “incredibilmente” loro due si sono conosciuti qualche decennio prima… quando Lawrence “Larry” Stevens, scapolo impenitente, è solo un modesto scrittore di necrologi per il giornale locale.

Il suo sogno è quello di fare lo scoop dell’anno e poter diventare una firma da prima pagina. Una sera, insieme ad alcuni colleghi, assiste allo spettacolo dell’”incredibile Oscar” (Jack Oakie) un illusionista che assieme alla sua giovane e avvenente nipote Sylvia (Linda Darnell) afferma di poter leggere il futuro.

Tornati in redazione i colleghi lo prendono costantemente in giro perché Larry continua a sognare di poter conoscere il futuro per scrivere un pezzo memorabile e diventare un giornalista famoso. Sentendolo parlare, il vecchio archivista Pop Benson (John Philliber) memoria storica della testata fin dai tempi lontani della sua fondazione, gli chiede a quattrocchi se è davvero disposto a conoscere il futuro e così, senza che gli altri se ne accorgano, gli consegna un copia del giornale …del giorno dopo.

Larry non prende troppo sul serio Pop e afferra distratto il foglio che l’anziano gli pone, ascoltando distrattamente gli avvertimenti che poi gli sussurra sul pericolo mentale e fisico di conoscere il proprio futuro. Solo rientrato nella sua camera in affitto Larry legge attentamente il giornale e scopre che in prima pagina c’è un suo articolo dedicato alla rapina che la mattina successiva verrà commessa al teatro dell’Opera…

Deliziosa commedia fantastica che con garbo e ironia ci parla di uno dei desideri più profondi e al tempo stesso più pericolosi che, almeno una volta nella vita, ogni essere umano ha espresso. Copiata e citata innumerevoli volte, questa pellicola è stata anche di ispirazione di altri capolavori cinematografici, come l’immortale “Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis, tanto per citarne solo uno.

Da vedere, anche se si è letto prima …il finale!

“Un colpo di fortuna” di Preston Sturges

(USA, 1940)

Preston Sturges (1898-1959) è stato il primo grande sceneggiatore e regista di Hollywood. Ha firmato script di pellicole deliziose e allo stesso tempo graffianti, colme di satira verso la parte più opulenta e viziata della società, e non solo quella americana.

Dopo il suo folgorante esordio dietro la macchina da presa con “Il grande McGinty” (sempre del 1940 e frutto di un accordo economico molto favorevole alla casa di produzione, che lo rese però di fatto assai libero e con poche ingerenze) Sturges scrive e dirige questa deliziosa commedia dedicata al successo e ai suoi lati più oscuri e ridicoli, tratta dal suo script “A Cup o Coffee” che poi prenderà il titolo originale “Christmas in July”.

New York, Jimmy MacDonald (Dick Powell) lavora come contabile presso la Baxter Ltd, una grande azienda che produce numerosi prodotti fra cui anche il caffè. Nello stesso edificio lavora Betty Casey (Ellen Drew) sua storica vicina di casa nell’allora molto povero West End, e sua fidanzata. Ma i soldi sono pochi e non bastano per metter su famiglia e così Jimmy sogna di vincere il lauto premio di 25.000 dollari che ha messo in palio la Maxford Ltd per trovare il nuovo slogan della campagna pubblicitaria per promuovere il suo caffè. Concorso a cui hanno partecipato oltre due milioni di persone e che tiene col fiato sospeso tutto il Paese.

Mentre la giuria della Maxford non riesce a mettersi d’accordo per premiare lo slogan migliore, tre colleghi di Jimmy, sentendo del suo sogno e della sua partecipazione al concorso, per burlarlo, preparano un finto telegramma che lo proclama vincitore.

Ma Jimmy, preso dall’euforia, non dà il tempo ai tre di confessare e dopo aver chiamato Betty sale sulla sua scrivania e annuncia a tutti, compresi il capoufficio e il signor Baxter in persona, la sua clamorosa vittoria. Il suo successo, a cascata, ne trascina altri. Infatti Baxter lo promuove seduta stante nuovo responsabile della pubblicità della ditta.

Anche quando, ingenuamente, Jimmy si presenta da Maxford per ritirare l’assegno, questi contento che finalmente il concorso abbia un vincitore, va poco per il sottile e gli consegna la lauta somma. Denaro col quale Jimmy e Betty corrono subito a fare i regali a tutti gli abitanti della loro strada. Ma…

Deliziosa e immortale commedia che ci racconta molto bene le dinamiche del successo e di come questo possa influenzare nel bene e nel male anche gli altri. Con battute indimenticabili Strurges dirige un film che non possiede neanche un fotogramma privo di potenza narrativa e ironia, senza esclusione di colpi. Lui che venne davvero “travolto” dal successo e che nella seconda parte della sua carriera, finito il suo periodo d’oro, non riuscì più a rialzarsi.

Raccontano le cronache dell’epoca che proprio a partire dal successo di questo film Sturges divenne uno degli artisti più pagati di Hollywood tanto che la Rolls Royce realizzò appositamente per lui un’automobile. Le stesse cronache poi, nel decennio successivo, lo vedevano elemosinare una bevuta fra i bistrot di Parigi, città nella quale si era trasferito tentando di riprendersi artisticamente.

Fra le migliori commedie americane, e non solo, degli anni Quaranta.