“Ascensore per il patibolo” di Louis Malle

(Francia, 1958)

Sono convinto che per celebrare una delle icone della cinematografia mondiale come Jeanne Moreau, la cosa migliore sia di parlare di uno dei film da lei interpretati e resi immortali, come “Ascensore per il patibolo” di Louis Malle.

Al film d’esordio di quello che poi diventerà uno dei registi più rappresentativi del Novecento, oltre alla Moreau, partecipano alcune delle figure che diventeranno fra le più emblematiche del cinema francese come gli attori Maurice Ronet, Charles Denner (che Truffaut sceglierà per impersonare il suo alter ego ne “L’uomo che amava le donne”), Lino Ventura e Jean-Claude Brialy.

Per scrivere la sceneggiatura, tratta dal romanzo omonimo di Noël Calef del 1956, Malle chiama l’amico personale e scrittore Roger Nimier, che a soli 28 anni aveva già pubblicato cinque romanzi fra cui “L’ussaro blu”, che divenne il simbolo del cosiddetto movimento letterario degli “ussari”.

Florence Carala (una splendida e sensuale, come poche, Jeanne Moreau) e Julien Tavernier (Ronet) si amano clandestinamente, visto che Simon Carala (Jean Wall), marito molto più anziano di Florence, è uno degli uomini più potenti e influenti del Paese. Ma l’amore e il desiderio, nonché le consistenti sostanze dello stesso Carala, portano i due amanti a elaborare un piano perfetto per eliminare il terzo e ricco incomodo, senza destare sospetti. Ma quando tutto sembra andare come previsto, Julien rimane bloccato nell’ascensore…

Claustrofobico e disperato noir d’antologia, con sequenze e spunti che hanno fatto la storia del cinema, grazie anche alla colonna sonora originale firmata ed eseguita da Miles Davis, e a una Parigi notturna e molto carnale sullo sfondo.  

Il titolo si riferisce direttamente alla pena di morte che in Francia era prevista per gli assassini. Venne abrogata definitivamente dal Codice Penale francese dal neo Presidente della Repubblica François Mitterrand nell’autunno del 1981.  

“Mica scema la ragazza!” di François Truffaut

(Francia, 1972)

François Truffaut non si discute: si ama.

Così come tutti i suoi film. E questo “Mica scema la ragazza!”, che apparentemente sembra uno dei meno caratteristici della sua cinematografia, deve essere amato come tutti gli altri. Perché se è vero che Truffaut era l’uomo che amava le donne, è vero altrettanto che era anche l’uomo che capiva davvero le donne.

E così ci racconta una storia al femminile, al cui centro c’è la bella e carnale Camille (che ha il volto e il corpo voluttuoso di Bernadette Lafont, fra le attrici simbolo della Nouvelle Vogue, e che nel 2013 venne premiata per la sua interpretazione nella commedia graffiante “Paulette”).

Del trattato “Criminalità al femminile” opera prima del professore Stanislao Prévine (un giovanissimo e impacciatissimo André Dussollier) si sono perse le tracce. Eppure il manoscritto era quasi pronto per andare in stampa, ma…

Con un flashback torniamo indietro di un anno quando Prévine, per il suo libro, si reca per la prima volta nel carcere femminile per intervistare alcune detenute. Fra i vari casi da esaminare, tra cui donne molto violente, Prévine sceglie quello di Camille Bliss, accusata di aver ucciso il suo amante (Charles Denner).

Con scetticismo, visto che la Bliss è considerata una semplice e banale “sgualdrina”, la Direzione dell’Istituto acconsente. Il giovane professore incontra così Camille che gli inizia a raccontare, con un bel linguaggio franco e colorito, la sua vita. Figlia unica di contadini, è cresciuta con un padre violento che non perdeva occasione per picchiarla. Tanto che a neanche dieci anni, stufa dei violenti calcioni, la piccola sposta la scala al padre, salito sul sottotetto della stalla, facendolo precipitare mortalmente nel vuoto.

Camille finisce dritta al riformatorio dal quale dopo qualche anno riesce a fuggire, e sposa il primo uomo che la carica in macchina. Per il resto della sua esistenza dovrà fare i conti, nel bene e nel male, con quello che gli uomini vogliono da lei e soprattutto dal suo corpo, Prévine compreso…

Scritto da Truffaut assieme a Jean-Loup Dabadie, e tratto dal romanzo dell’americano Henry Farrell “Such a Georgeous Kid Like Me” del 1967, il film ci descrive bene, nonostante il tono allegro e scanzonato, come la maggior parte degli uomini vedano e considerino le donne, e soprattutto come le donne possano sopravvivere e affermare se stesse in un mondo maschilista, patriarcale e ipocrita. Ovviamente generalizzare è sbagliato, ma quasi cinquant’anni fa una donna attraente, di per sé, era già rea di una grave colpa, e quindi o doveva essere sottomessa o era una imperdonabile …sgualdrina.

Nella nostra società del 1972 questo concetto di fondo del film, nonostante il ’68 appena passato, non poteva essere accettato né discusso, e così la scelta del titolo “Mica scema la ragazza!”, che in maniera sottilmente ironica scarica tutte le colpe sulla protagonista.

Quello originale “Une belle fille comme moi” è molto diverso, e rifacendosi al titolo originale del romanzo, ci lascia in bocca un sapore ben più acre. Tanto per ribadire la totale mancanza reale di una rivoluzione sociale e culturale – troppe volte sbandierata e festeggiata – che da noi ha mantenuto pochissime delle promesse fatte.

“L’uomo che amava le donne” di François Truffaut

(Francia, 1977)

Bertrand Morane (Charles Denner) ama le donne, e da queste è profondamente corrisposto. Bertrand non è bello, ma ha fascino e sa come conquistarle per una notte o poco più.

Nel suo letto di donne ne sono passate tante, e forse la paura di perdere il ricordo di qualcuna lo porta a scrivere un libro autobiografico che intitola “Lo stallone”.

Il testo viene accettato da una casa editrice che incarica la propria editor Geneviève (Brigitte Fossey) di aiutare l’autore nella sua stesura finale. Anche Geneviève finirà nel letto di Bertrand e questo le permetterà di capire al meglio e intimamente “L’uomo che amava le donne”, che sarà il titolo definitivo del libro, da lei stessa proposto e da Bertrand felicemente accettato poco prima di incontrare il suo destino.

Che ci sia qualcosa di profondamente biografico in questa splendida pellicola di François Truffaut dedicata al mito del Don Giovanni è scontato. Soprattutto pensando al funerale di Bertrand, il regista ha ricreato suo malgrado quello che molto probabilmente pochi anni dopo – troppo pochi per il cinema francese e non solo! – è avvenuto davvero alla sua morte prematura.

A differenza di Don Giovanni però, Bertrand-Truffaut non brama la conquista di una donna “…pur di metterla in lista”, ma le cerca e le possiede perché le ama, a modo suo e senza fermarsi a nessuna. Il suo più grande dolore è quello di sapere che non potrà averle tutte.

Un capolavoro indiscusso. Il mio film preferito del maestro François Truffaut.