“Welcome Venice” di Andrea Segre

(Italia, 2021)

Già nel 1979 Francesco Guccini cantava – su un testo di Gian Piero Alloisio – che: “…Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare” anticipando un tema che per una delle città più belle e famose del mondo è diventato ormai focale, e che si può riassumere in una domanda senza dubbio provocatoria: ma Venezia è diventata una città fantasma che la sera si spegne e la mattina si riaccende per i turisti?

Così entriamo nella vita di tre fratelli: Toni (Roberto Citran), Pietro (Paolo Pierobon) e Alvise (Andrea Pennacchi) tutti nati e cresciuti alla Giudecca, una delle isole più famose di Venezia.

Toni, il maggiore, è quello che ha seguito la tradizione di famiglia facendo il pescatore di moeche, i granchi verdi che in fase di muta diventano un piatto tipico lagunare. Assieme a lui lavora Pietro, che dopo un passato burrascoso fatto anche di un periodo di detenzione per furto – durante il quale si è ammalata la moglie che poco dopo è morta lasciando sola lo loro unica figlia – è tornato alle sue origini ritrovando l’equilibrio. E proprio lui vive nella vecchia casa di famiglia sull’isola, da dove parte nel cuore della notte per andare a pescare.

Alvise, invece, ha lasciato la Giudecca per vivere a Mestre, come hanno fatto quasi tutti, e insieme alla figlia gestisce alcuni B&B per turisti. Fra i tre è senza dubbio lui quello che fa la vita più agiata e comoda, nonostante la pandemia che ha ridotto drasticamente i turisti.

Per aumentare i suoi introiti Alvise propone ai suoi due fratelli di trasformare la vecchia casa in una struttura ricettiva di lusso, visto anche il posto barca. Quando Toni perisce a causa di un incidente durante la pesca, Alvise liquida la parte della casa di Toni a Elisa (Ottavia Piccolo) la sua vedova, e cerca in ogni modo di forzare Pietro ad accettare la sua offerta…    

Scritta dallo stesso Segre assieme a Marco Pettenello, questa pellicola ci racconta di come inesorabilmente Venezia stia diventando un negozio di souvenir a cielo aperto, dove se è vero che Alvise incarna l’arroganza e la brama di ricchezza, è anche vero che quando vacilla davanti alla fermezza del fratello, tutta la sua famiglia, per paura di perdere gli “sghei”, lo intima ad andare fino in fondo. E così Venezia può rappresentare tutto il nostro Paese, che per comodità, avidità e grettezza sembra non avere altra risorsa che quella di essere un museo a cielo aperto…

Amaro.   

“La guerra dei Bepi” di Andrea Pennacchi

(People, 2020)

Andrea Pennacchi è approdato al teatro nel 1993 dove, oltre a recitare, è diventato anche autore di numerose opere. La sua carriera dalle tavole in legno del palcoscenico è arrivato davanti alle macchine da presa di cinema prima e televisione poi, dove fra le altre cose è ospite fisso di “Propaganda Live” di e con Diego Bianchi e Makkox, trasmissione nella quale interpreta i monologhi del leghista della prima ora, ma ormai deluso, “Er pojana”.

In questo volume Pennacchi ci racconta tre storie che si intrecciano con la storia del nostro Paese. Le prime due sono anche parte integrante della storia della sua famiglia visto che i protagonisti sono suo nonno nella prima e suo padre della seconda.

Il “primo” Bepi, il nonno di Pennacchi, in “Una feroce primavera” vive la sua personale Prima Guerra Mondiale mandato al fronte come carne da cannone e incredibilmente tornato a casa sano nel fisico ma devastato nell’anima.

In “Mio padre. Appunti sulla guerra civile” Pennacchi ci racconta invece la Seconda Guerra Mondiale vissuta da sua padre che a 17 anni sceglie il nome “Bepi” come partigiano – proprio in onore al padre – ma che viene arrestato dalle milizie fasciste e spedito nel campo di concentramento di Ebensee in Austria. Anche il secondo Bepi tornerà a casa, ma la sua esperienza sarà così terribile tanto che non ne riuscirà a parlarne col figlio, che per ricostruirla sarà costretto a cercare documenti fra l’Italia e l’Austria.

“Checkpoint Pasta. Il paradosso del cane” ci catapulta invece a Mogadiscio, in Somalia, il 2 luglio del 1993, dentro un autoblindo del contingente italiano che collabora all’operazione internazionale “Restore Hope”. In cinque atti riviviamo l’attacco subito dagli uomini delle nostre Forze Armate nei pressi del Checkpoint Pasta della città somala. E anche questa esperienza lascerà negli uomini del mezzo blindato segni incancellabili nel resto delle loro vite.

Non si ricorda mai abbastanza la ferocia e la crudeltà della guerra, visto che c’è ancora chi vuole alzare muri e fortificare i confini fra le nazioni. Senza la memoria non c’è futuro, o meglio, il futuro rimane in mano a pochi.

Duro e indimenticabile, soprattutto nei primi due racconti.