“L’insolito caso di Mr. Hire” di Patrice Leconte

(Francia, 1989)

Questo noir molto particolare è tratto dal romanzo del maestro Georges Simenon “Il fidanzamento di Mr. Hire” edito per la prima volta nel 1933, e al tempo stesso è anche il remake del film “Panico” di Julien Duvivier uscito nel 1943. Sceneggiato dallo stesso Patrice Leconte assieme Patrick Dewolf, questo adattamento, seguendo proprio lo spirito e il genio del grande scrittore belga, indaga non tanto sull’intreccio delle vicende, ma nell’animo delle persone che le provocano e le vivono. Ed è lì, nel profondo dell’animo umano – quello che in maniera sublime cerca e trova sempre Maigret nelle sue inchieste – che si comprendono la natura e i relativi comportamenti dei protagonisti

Mr. Hire (un bravissimo Michel Blanc) è un uomo molto riservato e solo. E’ un sarto che non ama frequentare nessuno e per questo non è ben visto dai suoi vicini di casa. Il suo hobby è il bowling, unico motivo – a parte saltuari visite in una casa di appuntamenti – per cui esce di casa. Casa dove passa tutto il tempo in cui non lavora, e casa dalla quale spia la sua bella e giovane nuova vicina Alice (un’affascinante e tenebrosa Sandrine Bonnaire).

Proprio nei pressi del condominio dove abitano i due viene ritrovato il corpo senza vita di una ragazza che è stata uccisa dal suo aggressore. La Polizia deduce che il criminale intendeva solo rapinarla ma poi, preso dal panico, l’ha ammazzata. I sospetti cadono quasi automaticamente su Hire e il commissario di Polizia (André Wilms) tampina l’uomo convinto della sua colpevolezza. Intanto, resasi conto casualmente di essere spiata da Hire, Alice lo avvicina. La ragazza confessa all’uomo che trova le sue attenzioni molto stimolanti…

Ma che cos’è davvero l’amore? O meglio, fino a dove può portare l’amore, anche quello più oscuro e insano? Leconte ce lo prova a spiegare con questa bella e intensa pellicola, con un cast davvero superbo e una colonna sonora struggente.

E poi, lasciatemelo dire: Simenon è sempre Simenon…

“Miracolo a Le Havre” di Aki Kaurismäki

(Fin/Fra/Ger, 2011)

Il regista finlandese Aki Kaurismäki già nel 2011 ci racconta una piccola – ma al tempo stesso grande – storia su uno dei drammi del nostro tempo: l’immigrazione clandestina verso i paesi più ricchi europei.

Marcel Marx (un bravissimo André Wilms) nella sua esistenza è stato molte cose: uno scrittore, un bohémien e un senza tetto. Adesso è un anziano lustrascarpe che lavora nei dintorni della stazione e delle vie centrali di Le Havre e, soprattutto, il marito di Arletty (Kati Outinen) nome che si rifà direttamente alla diva del cinema francese degli anni 30 e 40 e al suo film più famoso “Amanti perduti” di Marcel Carné, che non a caso ha lo stesso nome di battesimo del protagonista.

La vita dei due coniugi procede semplice e serena, fino al giorno in cui Arletty non viene ricoverata d’urgenza per dei dolori lancinanti al ventre. Contemporaneamente Marcel si imbatte casualmente in Idrissa (Blondin Miguel), un piccolo clandestino di colore, riuscito a scappare alla perquisizione del container nel porto in cui era nascosto assieme al nonno.

Marcel ospiterà e proteggerà il piccolo clandestino dal commissario Monet (Jean-Pierre Darroussin), dalla Polizia che lo cerca in tutta la città e da un arrogante e borghese informatore che ha il volto di Jean-Pierre Léaud, attore feticcio del maestro Truffaut. Anche quando i medici comunicheranno a Marcel che Arletty ha un tumore incurabile, l’uomo continuerà ad aiutare Idrissa e farà di tutto per farlo ricongiungere coi familiari rimasti che ha in Inghilterra. Ma Monet è un ottimo segugio…

Dolce favola moderna dedicata a chi è ai margini della società, là dove i cuori spesso sono più grandi. Come sempre, Kaurismäki gira le sue storie ispirandosi allo stile statico ed emozionale di Hopper, anche se questo film è un palese e continuo omaggio alla cultura e al cinema francese.

Da vedere.