“La morte risale a ieri sera” di Duccio Tessari

(Italia/Germania Ovest, 1970)

A fagiolo, proprio l’anno della mia nascita, arriva nelle nostre sale uno dei migliori adattamenti cinematografici di un’opera del maestro Giorgio Scerbanenco, e nello specifico del suo romanzo indimenticabile “I milanesi ammazzano al sabato” pubblicato nel 1969.

Il commissario Duca Lamberti della Questura di Milano, interpretato – superbamente – da Frank Wolff e doppiato ancora più superbamente da Aldo Giuffrè, è un uomo della Pubblica Sicurezza fuori dagli schemi, soprattutto per quegli anni, e anticipa per molte caratteristiche il futuro Salvo Montalbano del maestro Camilleri.

Alla sua scrivania una mattina arriva il pacato ma volitivo signor Amanzio Berzaghi (Raf Vallone) che lo implora di ritrovare sua figlia neanche ventenne Donatella, scomparsa ormai da un mese. Se all’inizio Lamberti ascolta quasi distratto Berzaghi – viste le numerose ragazze che mensilmente a Milano abbandonano volontariamente la casa dei propri genitori – quando questo gli rivela che sua figlia, nonostante l’aspetto e la bella presenza di una ventenne, è in realtà una disabile avendo un grave ritardo cognitivo che le fa avere la coscienza e la capacità intellettiva di una bambina di tre anni, il commissario inizia subito a lavorare al caso.

Insieme al suo collaboratore Mascaranti (Gabriele Tinti) Lamberti inizia a investigare nel mondo della prostituzione e delle case d’appuntamento clandestine milanesi, angoli oscuri dove finiscono la maggior parte delle giovani donne che scompaiono. Lì risale a Salvatore (Gigi Rizzi) un ex sfruttatore noto alla Polizia e con precedenti, che adesso però gestisce un autosalone di lusso. Ma sarà lo stesso Berzaghi a trovare casualmente per primo un indizio fondamentale…

Indimenticabile poliziottesco italiano d’annata che, a differenza di molti suoi “fratelli” contemporanei, ancora oggi nella struttura e nella dinamica narrativa non risente del tempo passato, ricordandoci che ottimo artigiano della macchina da presa fosse Duccio Tessari.  

Da ricordare anche le due canzoni originali interpretate da Mina, la prima della quali apre splendidamente il film.

Per la chicca: come aiuto regista appare Lorella De Luca, attrice fra la più famose della commedia all’italiana e protagonista di pellicole come “Poveri ma belli” di Risi, nonché compagna di vita della stesso Tessari.

Il film fa parte della trilogia dedicata a Duca Lamberti di cui fanno parte “I ragazzi del massacro” di Ferdinando Di Leo – altro e unico adattamento più che dignitoso di un’opera di Scerbanenco – e l’improponibile “Il caso Venere privata” di Yves Boisset. 

“Le avventure di Laura Storm” di Leo Chiosso e Camillo Mastrocinque

(Italia, 1965/66)

Questa serie poliziesca, con un forte accento di commedia, nasce come risposta a quella molto bogartiana de “Il tentente Sheridan” con Ubaldo Lay. Ma, nonostante ciò, a distanza di cinquant’anni possiede ancora elementi particolari e innovativi che quella con Lay non ha.

Ideata da Leo Chiosso – uno dei più famosi parolieri del nostro Novecento – e Camillo Mastrocinque – uno dei maestri della grande commedia all’italiana – questa serie è andata in onda in otto puntate dal 1965 al 1966.

Laura Perrucchetti (una affascinante quanto brava Lauretta Masiero) lavora come giornalista presso il giornale “L’Eco della Notte” usando lo pseudonimo di Laura Storm per firmare i suoi articoli, incentrati sempre sulla moda e la mondanità. Ma Laura è una donna molto particolare: ama le arti marziali, è indipendente, fuma e ha una relazione fatta di alti e bassi col suo direttore Carlo Steni (Aldo Giuffrè). Lei vorrebbe dedicarsi alla cronaca nera, ma Steni si oppone fino a quando la stessa Storm non è implicata direttamente in un misterioso delitto.

Nel cast fisso appaiono anche Oreste Lionello e Stefano Sibaldi. E Andrea Camilleri, così come nelle “Inchieste del Commissario Maigret” con Cervi, è il delegato della produzione. Ma al di là dei casi gialli specifici, che spesso sono molto semplici, ciò che ancora colpisce è la modernità della figura della protagonista, che spesso le dà di santa ragione a maschi bruti e prepotenti.

Si può solo immaginare la reazione indignata di molti ben pensanti che vedendola in tv sbuffarono furenti. La RAI la trasmise in seconda serata. Non ci scordiamo che noi, fino a non troppi anni fa, eravamo il Paese del delitto d’onore, dove la Legge cancellava le condanne per stupro se l’aguzzino accettava di sposare la sua vittima. E’ importante ricordare pure che nel 1965 non c’era ancora il divorzio, e l’aborto era vergognosamente ancora illegale.

Nei dialoghi si respira l’aria di quella rivoluzione sociale che sta per arrivare (ma che poi cambierà molto poco rispetto a quello che aveva promesso) grazie alla quale le donne finalmente pretenderanno i loro diritti. Davvero un documento sulla nostra società che stava cambiando. Da vedere, ovviamente solo in rete, visto che è introvabile altrove.

Per la chicca: la sigla finale, scritta da Chiosso e Dorelli, allora compagno della Masiero, è cantata da un giovane Fausto Leali.