“Un’altra donna” di Woody Allen

(USA, 1988)

In un’intervista fatta per la presentazione del bellissimo “Blue Jasmine” – film che sotto molti punti di vista è paragonabile a questo – Woody Allen ha dichiarato di sentirsi soprattutto “un autore di tragedie piuttosto che di commedie, anche se il mondo ormai lo ha etichettato così…”

Questa arguta provocazione del genio newyorkese ha in realtà radici profonde e ben piantate, visto che quando Allen scrive e dirige pellicole drammatiche lo sa fare magistralmente e come pochi altri cineasti.

In questo bello e amaro film assistiamo al bilancio drammatico e sentimentalmente tragico della cinquantenne Marion Post (una splendida Gena Rowlands) preside della Facoltà di Filosofia di una prestigiosa università americana.

L’elemento scatenante l’alluvione dei ricordi che invaderà Marion è il casuale origliare alcune sedute di psicoanalisi che le capita di ascoltare nell’appartamento adiacente a quello che ha preso in affitto per scrivere il suo ultimo libro.

Le esperienze che la donna racconta al suo analista, e che lei spia, le richiameranno alla mente episodi cruciali della sua vita sentimentale nella quale lei ha sempre scelto la ragione e mai seguito il cuore.

Dopo “Interiors”, il più bergmaniano film di Allen che qui chiama a dirigere la fotografia Sven Nykvist, collaboratore di Bergman per ben venti film e più volte premio Oscar; questa bella pellicola conferma ancora oggi Woody Allen il più femminino dei cineasti americani, e non solo.  

     

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