25 anni dalla morte di Aldo Fabrizi

Il 2 aprile del 1990 scompariva Aldo Fabrizi a Roma, nella stessa città dove era nato nel 1905.

La grande vena artistica di Fabrizi esplose in giovanissima età, ma l’indigenza della sua famiglia lo costrinse ad adattarsi a fare tutti i lavori più umili per mantenere madre e sorelle.

Il primo riconoscimento del suo genio arriva nel 1928 con la pubblicazione di “Lucciche ar sole”, una raccolta di poesie in dialetto romano.

Qualche anno dopo arriva anche l’esordio sul palcoscenico come macchiettista, sul quale era salito per la prima volta per recitare le proprie opere. Le sue enormi capacità istrioniche e il grande senso del comico lo portano quasi subito ad avere successo.

Nel 1942 esordisce al cinema con “Avanti c’è posto” di Mario Bonnard con il quale collabora anche alla sceneggiatura, così come accadrà per quasi tutti i film in cui reciterà negli anni successivi.

Come quando nel 1945 interpreta don Pappagallo in “Roma Città Aperta” di Roberto Rossellini, al quale impone il suo giovane e semi sconosciuto battutista Federico Fellini, come coautore alla sceneggiatura.

Nel 1948 arriva un nuovo esordio: dietro la macchina da presa con “Emigrantes”, girato in occasione di una turné teatrale nel sud America.

Da attore simbolo del Neorealismo, col passare degli anni, Aldo Fabrizi comincia a diventare un emblema della grande commedia all’Italiana.

I titoli sono numerosi, ma fra i più amati e rappresentativi non si possono non ricordare “La famiglia Passaguai” (da lui stesso diretto nel 1951), “Guardie e ladri” (1951) di Mario Monicelli, “Hanno rubato un tram” (sempre da lui diretto nel 1954), “Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (1956) di Mauro Bolognini, e “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi” (1960) di Mario Mattoli.

Nel 1974 partecipa a quello che, oltre a essere un capolavoro della cinematografia mondiale, è considerato il canto del cigno della grande Commedia all’Italiana: “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola.

Parallelamente alla carriera cinematografica, Fabrizi prosegue quella teatrale nella quale spicca il suo Mastro Titta nel pluripremiato “Rugantino” di Garinei e Giovannini del 1962.

Ma Fabrizi è anche fra i pionieri della sua generazione in televisione, dove partecipa a trasmissioni di sempre maggior successo fino ai suoi mitici sketch nel varietà del sabato sera “Speciale per noi” (1969) di Antonello Falqui.

A un quarto di secolo dalla sua scomparsa, Aldo Fabrizi merita di essere ricordato come uno dei grandi artisti italiani del Novecento, e non solo come straordinario attore comico.

I volumi da lui pubblicati, molti dei quali dedicati alla gastronomia, ci testimoniano la grande versatilità del suo genio. Chi lo ha frequentato personalmente (fu grande e intimo amico dell’immenso Totò) lo ha sempre ricordato come un uomo dal carattere duro ed estremamente esigente, a volte persino arrogante.

Proprio questa sua indole difficile, e soprattutto la sua dichiarata simpatia verso l’allora destra nostalgica italiana (partecipò in prima fila all’esequie di Giorgio Almirante) contribuirono a oscurare la sua arte negli anni successivi alla morte.

Lungi da me entrare nel merito di una discussione politica, visto che poi non l’ho mai pensata come Fabrizi, ma è un dato di fatto che una certa cultura “fighetta” e radical chic degli anni Novanta lo ha indiscutibilmente gettato nel dimenticatoio per le sue idee politiche.

Allora semmai dovremmo aprire un dibattito su come e se le idee politiche e i comportamenti personali di un artista (che come Fabrizi seppe anche farsi gioco degli aspetti più risibili di quel mondo a cui poi era politicamente legato come in “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi” e “Gerarchi si muore”) debbano essere considerati rispetto alla sua arte: ma entreremmo in un ambito davvero difficile da circoscrivere che io, sinceramente, proprio non ho voglia di affrontare qui.

Quello che so è che ogni volta che c’è un film o uno sketch con Fabrizi (lo sciatore o lo scolaro su tutti), anche se lo conosco a memoria, lo rivedo sempre sghignazzando di gusto.

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