“La solitudine del gelataio” di Nicola Zecchini

(Amazon EU, 2023)

E’ un dato di fatto, ormai assodato da tempo, che al mondo c’è chi sa raccontare una barzelletta e chi no. Si possono studiare centinaia di manuali ed esercitarsi davanti allo specchio per ore intere, ma o si possiede il talento del racconto verbale o non lo si possiede. Punto e basta.

E forse è per questo che nell’editoria tradizionale contemporanea del nostro Paese il racconto italiano trova pochissimo spazio. Perché (come per le barzellette) o lo si sa scrivere, o non lo si sa scrivere. Non ci sono editor o riscritture che tengano: lo spazio limitato di alcune pagine non dà scampo a chi non è capace di scrivere, come raccontare una barzelletta, appunto. Il romanzo, invece, per la sua maggiore ampiezza consente a volte – e non sempre – correzioni, ricalibrazioni e riscritture che un editor può attuare per renderlo più “presentabile”.

Naturalmente il nostro Paese non è sprovvisto di brave scrittrici e di bravi scrittori, sia di romanzi che di racconti. E allora viene da pensare che gli editor italici – che spesso sono anche coloro che selezionano o almeno dovrebbero selezionare i manoscritti da pubblicare – nel racconto non trovano lo spazio che cercano. Che poi la maggior parte degli autori italiani pubblicati in questi anni siano allo stesso tempo gli editor delle case editrici più rinomate, è un altro discorso.

Gli scaffali delle nostre librerie sono pieni di romanzi italiani ma vuote di racconti italiani, fatta eccezione per quelli classici scritti da grandi autori come Italo Calvino o Andrea Camilleri, che i più hanno già letto da tempo. E così chi ama il formato racconto – dal quale comunque sono partiti quasi tutti i grandi autori planetari – e, per sana e più che giustificata empatia, vuole leggere quelli scritti dai propri connazionali, deve per forza rivolgersi all’autopubblicazione.

“La solitudine del gelataio” rappresenta l’esordio letterario di Nicola Zecchini – classe 1979 – e contiene 30 racconti, brevi e meno brevi, alcuni dei quali davvero struggenti, altri divertenti e ironici, ma tutti davvero belli da leggere e, soprattutto, da vivere. Perché ogni racconto è un’escursione nell’anima del personaggio ma soprattutto del lettore.

Lo stile di Zecchini è ondulato e ricco, e percorrerlo è un delizioso viaggio nel viaggio della narrazione. Tutti i suoi personaggi hanno in comune il dolore e soprattutto la paura del vivere o dell’aver vissuto, così come ci sottolinea in “Caro Andrea” il protagonista quando afferma: “La mia libertà si sente al sicuro tra due cuscini di monotonia”.

Osserviamo e sentiamo, come davanti a un quadro di Edward Hopper, la solitudine e l’incomunicabilità degli esseri umani la cui paura più grande, e al tempo stesso il desiderio più incontenibile, è lo scambio, il confronto e il giudizio degli altri.

“La solitudine del gelataio” contribuisce così a colmare quel vuoto, ormai davvero insopportabile, negli scaffali delle nostre librerie donando un pò di serenità a chi come me ama leggere romanzi, saggi ma anche racconti, facendoci sentire lettori meno soli a discapito, purtroppo per lui, del gelataio.

Tra i miei preferiti: “Pianeta Döner”, “Ecosistema” e “La solitudine del gelataio”.

Da leggere.

“Pian della Tortilla” di John Steinbeck

(Bompiani, 2014)

Nel 1935 John Steinbeck pubblica “Tortilla Flat” che in breve tempo riscuote un grande successo e lo impone sulla scena letteraria planetaria. Lo scrittore narra le vicende di Danny, Pilon, Pablo, Joe e il Pirata, paisanos che vivono a Pian della Tortilla, il quartiere povero collinare della cittadina di Monterey, in California.

E’ la zona dove vivono gli ultimi discendenti dei veri californiani, quelli che hanno ancora sangue spagnolo nelle vene, ma che ormai sono spesso ai margini della società, tanto da non possedere nemmeno un tetto sotto cui ripararsi, e che passano le loro giornate fra un sotterfugio e un piccolo furto, sempre in cerca di vino e donne.

Le cose cambiano quando Danny riceve in eredità la vecchia casa del nonno nella quale decide di ospitare i suoi amici. La convivenza però all’inizio non è semplice, soprattutto perché Danny, diventando il proprietario di un immobile, sembra essersi “elevato” socialmente.

L’amicizia e soprattutto quel codice “morale” che spesso caratterizza le vite dei meno abbienti, li terrà uniti nonostante il vino e le disavventure quotidiane. Ma i paisanos, proprio per la loro storia ed il loro essere, possiedono un’anima tormentata e irrisolta…

Splendido e indimenticabile – come tutte le opere del suo autore – romanzo corale che ci tratteggia in maniera davvero sublime il cuore e lo stomaco di quelli ai margini, per i quali un bicchiere di vino o una sigaretta rappresentano un prezioso e inestimabile tesoro.

Steinbeck ce li racconta ambientando gli eventi in piena Depressione, quando molti suoi connazionali sono letteralmente sommersi da quella crisi economica che getta tantissimi in povertà ma che rende invece ricchissimi pochi altri.

Forse per questo “Pian della Tortilla” venne accolto assai freddamente dalla critica “ufficiale” che però fu travolta dal suo incontenibile successo internazionale. Su questo, lo stesso Steinbeck, parlò spesso, come quando ritirò il Premio Pulitzer vinto per lo strepitoso “Furore”, o il premio Nobel che gli venne assegnato nel 1962 per la Letteratura.

Sono passati quasi novant’anni dalla sua prima pubblicazione, ma “Pian della Tortilla” è fresco, travolgente e straziante come fosse stato scritto solo qualche settimana fa. I posteri, che ormai siamo noi, possono così emettere la nostra ardua sentenza sull’immortale Steinbeck e sulla piccola ma davvero piccola critica letteraria ufficiale dell’epoca…

Nel 1942 Victor Fleming gira l’adattamento cinematografico “Gente allegra” con Spencer Tracy, John Garfield e Hedy Lamarr.

“Dissipatio H.G.” di Guido Morselli

(Adelphi, 2012)

“Dissipatio H.G.” rappresenta l’ultimo romanzo scritto da Guido Morselli (1912-1973) morto suicida pochi mesi dopo averlo terminato. Si tratta dell’ultimo testo scritto da Morselli ma non pubblicato, perché da 1947 al 1973, anno della sua morte, allo scrittore bolognese vennero rifiutati sistematicamente tutti i suoi libri.

A rifiutare questo “Dissipatio H.G.” e i suoi scritti precedenti come “Roma senza Papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo” o “Il comunista” furono gli allora responsabili delle più importanti case editrici italiane come Italo Calvino, Carlo Fruttero, Geno Pampaloni o Luciano Foà, cofondatore della casa editrice Adelphi.

Il motivo principale dell’insano gesto compiuto dal Morselli fu proprio l’ennesimo rifiuto in blocco di questo suo ultimo romanzo. La morte violenta dello scrittore – allora ancora mai pubblicato – creò scalpore e sgomento soprattutto nel mondo dell’editoria e a partire dall’anno successivo vennero dati alle stampe tutti i suoi romanzi, e questo “Dissipatio H.G.” apparve nel catalogo proprio dell’Adelphi per la prima volta nel 1977.

Il protagonista è un uomo solo e disilluso – che ricorda molto lo stesso autore – che dopo aver abbandonato Crisopoli (città di fantasia che ricorda però molto Zurigo) si rifugia in montagna per evitare il più possibile il contatto col prossimo e stilare un bilancio della propria esistenza.

Il bilancio, purtroppo, pende notevolmente a sfavore del proseguimento: “Ci sono mattine che, nel mentre mi facevo la barba, cercavo di non vedermi nello specchio”. Così la notte fra il 1° e il 2 giugno l’uomo decide di suicidarsi gettandosi nel pozzo all’interno di una grotta fra i monti. Ma proprio arrivato sull’orlo del baratro ci ripensa e torna sconfitto a casa. Al suo risveglio però il mondo è cambiato: tutta l’umanità è improvvisamente scomparsa. Si tratta proprio di quella “Dissipatio Humani Generis” di cui parlava il filosofo neoplatonico Giamblico, riferendosi a una sorta di “evaporazione del genere umano”.

E così – come farà il protagonista della canzone “Extraterrestre” incisa da Eugenio Finardi nel 1978 – l’uomo si troverà a fare i conti con uno dei suoi sogni più bramati: essere solo…

Quello che colpisce ancora oggi di questo romanzo, oltre alla trama e allo stile spesso sfizioso e raffinato, sono la sua contemporaneità e la sua internazionalità. E’ un romanzo, infatti, che potrebbe essere stato scritto solo pochi mesi fa, da un autore anche di un altro Paese e non specificatamente italiano. Questa è la peculiarità a cui Giuseppe Pontiggia imputa l’ottusa incomprensione degli allora editori. E’ lo stesso Pontiggia a ricordarci, quindi, che se si è grandi e memorabili scrittori non è detto che si sia pure capaci e imparziali responsabili di collane editoriali.

Ma per onestà intellettuale è giusto ricordare anche che Guido Morselli era un personaggio completamente avulso dai salotti letterari e dal “sistema” editoriale della sua epoca. Così come il grande Luciano Bianciardi, Morselli andava dritto alla scrittura ignorando e snobbando tutto il resto.

A questo punto non si può non pensare all’autopubblicazione che ormai da qualche anno è approdata anche nel nostro Paese. Oltre alle ragioni commerciali vero motore delle più feroci e aggressive critiche verso questo nuovo tipo di pubblicazione – ragioni commerciali che la GOG Edizioni ha raccontato nel suo “Manifesto contro l’editoria” – voglio soffermarmi sugli effetti morali ed emotivi dell’impossibilità di pubblicare un proprio scritto.

Nulla, neanche un’intera esistenza fatta di rifiuti, giustifica l’atto estremo e vigliacco compiuto da Morselli con “la ragazza dall’occhio nero” come lui chiamava, anche in questo romanzo, la sua pistola. Ma l’ennesimo rifiuto alla fine produce un altro drammatico effetto: fa smettere di scrivere, forse vero obiettivo di qualcuno ma che è senza dubbio un impoverimento della cultura di un Paese.

E allora parafrasando Umberto Eco, se è vero che l’autopubblicazione ha dato la voce a centinaia di migliaia di “imbecilli”, è vero pure che basta semplicemente non leggerli, così come si può fare coi social. Oppure è il semplice esistere di un’alternativa a ciò che il “sistema” offre ad essere considerata una minaccia tale da accendere critiche così feroci? Davvero un libro autopubblicato da un singolo e anonimo scrittore può competere con quelli editi dalle grandi case editrici? E autopubblicarsi è realmente una cosa così umiliante e infangante tanto da diventare una rigida discriminante per partecipare a numerosi premi letterari?

O forse è il concetto che si può essere letti dagli altri anche senza dover passare per forza attraverso il “sistema” a creare tanta acredine, concetto poi che non vale solo per lo scrivere ma anche, naturalmente, per il leggere?

Ai posteri (lettori e scrittori) l’ardua sentenza.

Comunque sia, il massimo del risarcimento morale che l’editoria italiana ha pensato di poter offrire al povero Morselli, forse anche per chetare la coscienza di qualcuno, è stato quello di dedicargli …un premio letterario.

Buona lettura!

“La gente delle dieci” di Stephen King

(Sperling & Kupfer, 1994)

Scritto nel 1992 e pubblicato per la prima volta l’anno seguente col titolo originale “The Ten O’Clock People“, questo “La gente delle dieci” – pubblicato in Italia nella raccolta “Incubi e deliri” del 1994 – è uno dei miei racconti preferiti firmati dal Re Stephen King che considero, assieme a Raymond Carver, uno dei maestri indiscussi del racconto contemporaneo – con titoli come “Il corpo”, “La rendenzione del carcere di Shawshank” o “L’allievo” solo per citarne alcuni – eredi dell’inarrivabile Anton Čechov.

Siamo agli inizi degli anni Novanta e il mondo intero è ormai consapevole dei gravi rischi e della difficilmente controllabile assuefazione di una delle dipendenze più diffuse e micidiali: il tabagismo. Così sono arrivati i ferrei divieti di fumare in luoghi pubblici chiusi, e i fumatori – più o meno incalliti – si ritrovano all’aperto nei pressi del loro posto di lavoro per assecondare il loro vizio.

Fra questi c’è Brandon Pearson, che da anni lavora per la First Mercantile Bank of Boston, uno dei più importanti istituti di credito della città, che alle dieci di ogni mattina lavorativa scende nella piazza davanti al grattacielo della sua banca per fumarsi una sigaretta assieme ad alcuni colleghi più o meno conosciuti di vista.

Una mattina però, mentre sta per finire la sua sigaretta, con la coda dell’occhio nota entrare nell’edificio un uomo, ma guardando meglio Brandon si accorge che si tratta di un essere umano dai piedi al collo, ma la sua testa è qualcosa di orripilante e deforme, con una bocca triangolare piena di denti aguzzi, due piccoli buchi neri al posto degli occhi e una pelle sempre in movimento che rigurgita pus.

Proprio quando Brandon sta per urlare dal terrore, un collega che come lui stava fumando lo raggiunge e bloccandogli il braccio gli impedisce di strillare. Con voce calma e perentoria gli intima di non far capire di aver visto quell’uomo …pipistrello, altrimenti per lui sarebbe la fine.

Quando finalmente Brandon riesce a calmarsi l’uomo, che si chiama Dudley Rhinemann detto “Duke”, gli rivela che anche lui ha visto benissimo quell’essere, che tutti vedono invece come un essere umano qualsiasi. Ce ne sono molti altri, e tutti i ruoli strategici e nevralgici della società. Loro due li possono vedere a causa del fumo e della chimica che questo ha creato nel loro cervello. Ma tutti gli altri no e per questo bisogna stare molto attenti. Se uno degli uomini pipistrello dovesse accorgersi di essere “visto” per lo sfortunato essere umano sarebbe la fine, una atroce e terribile fine.

Ma una reazione è possibile: Duke fa parte di un gruppo clandestino…

Le cronache riportano che il Re abbia scritto questo racconto in soli tre giorni dopo aver visto fumare alcune persone fuori da alcuni grandi edifici commerciali a Boston. Ma è impossible non pensare anche al cult assoluto “Essi vivono” diretto dal maestro John Carpenter nel 1988 e ispirato al breve racconto “8 O’Clock in the Morning” scritto da Ray Nelson nel 1963.

Il racconto di Nelson è molto scarno e sintetico rispetto al film di Carpenter che invece possiede molti richiami allo scritto di King. Ma il Re inserisce un elemento particolare e personale: la dipendenza.

Lui che è stato un vero tossicodipendente e alcolista, come ha onestamente raccontato nel suo splendido “On Writing – Autobiografia di un mestiere” – fra i “manuali” per chi ama scrivere più belli e utili della storia – ci narra le dinamiche di un uomo che, nonostante conosca molto bene i gravi e devastanti effetti delle sigarette, proprio non riesce a rinunciarci e così scende a compromessi col tabacco limitandolo il più possibile.

Ma questo compromesso, oltre che letale per la sua salute, ha un terrificante effetto collaterale…

Da leggere: il Re è sempre il Re.

“Vater und Tochter” di Michaël Dudok de Wit

(Freies Geistesleben, 2015)

Dallo splendido corto animato “Father and Daughter” di Michaël Dudok de Wit, premio Oscar nel 2001, lo stesso Dudok de Wit realizza questo bellissimo volume.

Un racconto sublime e commovente, come quello del corto, del rapporto irrisolto fra un padre e una figlia ancora bambina. L’uomo, dopo averla portata sulla cima di una diga, sale su una barca e, lasciandola sulla riva, si allontana.

La piccola, che col passare degli anni tornerà spesso su quella diga, anche se condurrà una vita piena grazie all’amore del compagno e dei suoi figli, aspetterà sempre il ritorno del padre, che…

Struggente e brevissimo romanzo grafico che ci tocca l’anima e il cuore, parlandoci di dighe fisiche ma soprattutto mentali ed emotive.

Un altro grande esempio di come abbiano pari dignità il romanzo classico e quello grafico.

Purtroppo – e non mi voglio dilungare ancora una volta sulle scelte della nostra editoria tradizionale… – di questo volume non esiste un’edizione in italiano, ma sul mercato è reperibile solo questa in lingua tedesca.

Grazie ai disegni davvero molto belli di Dudok de Wit, ai testi molto brevi, alle mie sempre più sbiadite reminiscenza scolastiche, ho potuto godermelo lo stesso.

Da leggere.

“Manifesto contro l’editoria” GOG Edizioni

(Gog Edizioni, 2023)

Il re è nudo!

Allo scorso Book Pride, la fiera dell’editoria italiana indipendente tenutasi nella sua VII edizione a Milano dal 10 al 12 marzo scorso, il libro più venduto è stato questo “Manifesto contro l’editoria e gli editori, i librai, gli scrittori, i distributori, i promotori, gli agenti e i critici letterari, i direttori delle terze pagine culturali e quelli dei festival, contro i premi, gli ISBN, le scuole di scrittura creativa”.

La “piccola” – lo metto virgolettato perché mi riferisco esclusivamente alla sua capacità economica e di marketing rispetto a quella dei colossi nazionali – e indipendente casa editrice romana ha raccolto in questo volume di poco più di ottanta pagine tutti i suoi pensieri e le sue considerazioni su un mondo che sta ormai evidentemente boccheggiando.

La GOG – o forse sarebbe meglio dire GOG, nel senso del personaggio creato da Giovanni Papini nel suo omonimo romanzo che è l’ispirazione dichiarata del nome della casa editrice – ci racconta di un mondo editoriale italiano ormai strozzato da sé stesso. Un mondo dove i distributori dei libri hanno in mano il 60% del prezzo di vendita di un libro. Dove altre importanti percentuali se le prendono i promotori e alla fine all’autore e all’editore non rimangono che le briciole. Briciole che poi il distributore può dimezzare pretendendo il reso anche a distanza di parecchi mesi, cosa che fa fallire di continuo le piccole case editrici che inesorabilmente chiudono o vengono assorbite da quelle più grandi.

E’ un mondo, ci descrive GOG, che ormai sta soffocando, dove la qualità è sparita – o quasi – a favore della quantità. Perché l’importante è presentare sempre nuovi libri, indipendentemente dal loro valore o dal numero di copie che alla fine verranno vendute. E’ un mondo dove uno scrittore deve riuscire a trovare “umilmente” spazio nel canali culturali riconosciuti dal sistema ed esserne grato.

E’ un mondo dove la maggior parte dei libri italiani che escono sono praticamente tutti uguali, masticati e omogenizzati da un sistema che pensa di non avere più bisogno del genio creativo indomabile e innovativo, ma di quello – se genio si può davvero chiamare… – di scrittori buoni e ubbidienti, che magari provengono dalle più rinomate e prestigiose – e anche completamente inutili sostiene GOG – scuole di scrittura creativa del Belpaese.

E’ un mondo, quindi, che non sta morendo per colpa del famigerato ebook che tante brave famiglie italiane ha corrotto, ma è un mondo che sta morendo solo per colpa di sé stesso e delle proprie miopi scelte commerciali e organizzative. E’ un mondo che aveva in maniera sibillina immaginato e soprattutto temuto la grande Grazia Cherchi (1937-1995) – una delle figure editoriali più rilevanti del nostro Novecento, scopritrice di talenti come quelli di Stefano Benni e Alessandro Baricco – nei suoi articoli raccolti nel volume “Scompartimento per lettori e taciturni. Articoli, ritratti, interviste”.

E allora che fare? …Uscire da tutto, senza compromessi, risponde GOG e provare una strada indipendente e sincera bypassando i famelici canali che si succhiano quasi tutto, colloquiando direttamente col pubblico.

Nato come semplice provocazione, questo volume almeno nel mondo degli amanti della lettura e della scrittura come me, non può che sfondare una porta, anzi un portone spalancato. Ma soprattutto accende e stimola riflessioni.

Partiamo dal fatto che se le prime cinquanta pagine sono ficcanti e provocatorie, le restanti trenta sono grigiamente autoreferenziali, che ricordano un pò troppo le atmosfere dotte e sapienti tipiche di quell’ambiente che si reputa neanche troppo velatamente superiore per intelligenza e diritto di nascita, così vigorosamente criticato all’inizio del tomo dalla casa editrice romana.

Dalle dinamiche del sistema editoriale raccontato da GOG – nelle prime cinquanta pagine… – si capisce molto bene perché sia stata ferocemente ostacolata, per mere ragioni di guadagno, l’edizione digitale sulla quale è stata scaricata furbescamente ogni responsabilità della grave crisi della nostra editoria. Sono state messe in commercio edizioni digitali allo stesso costo o quasi di quelle cartacee, pensando così di boicottare il nuovo formato.

GOG si scaglia poi anche contro “Amazon&compagnia che non fanno distinguo tra un libro e una tazza”, e su questo ognuno ha le proprie opinioni. Ma la capillarità che tocca il gigante di Bezos è difficilmente raggiungibile allo stesso costo – maggiorazione che inesorabilmente colpisce alla fine anche il lettore però – dalle case editrici indipendenti che mirano a clienti attenti e consapevoli, che non per questo devono vivere nei posti più comodi e accessibili.

Sempre sul colosso dell’e-commerce e in relazione alle valutazione di un libro GOG biasima “la recensione rilasciata dal primo stronzo su Amazon”. “Il primo stronzo su Amazon” però è quello che ha comprato il libro, che ha dato fiducia all’autore e all’editore e che ha sborsato i suoi soldi, soldi che mantengono la baracca dell’editore che, come dice lo stesso GOG, non lavora certo solo per la gloria. Per questo il lettore – o “il primo stronzo su Amazon” come lo chiama GOG – ha diritto sempre e comunque di parola, anche se la cosa può far venire le infantigliole agli “addetti ai lavori”! Come sognava già trent’anni fa Grazia Cherchi: sono i lettori che devono valutare direttamente un libro, vero segno di una grande democrazia culturale, altrimenti rientriamo dalla porta di servizio nel “sistema” – tanto biasimato da GOG – dove qualcuno sceglie quello che possono – e sottolineo possono – leggere altri.

GOG poi descrive il suo autore ideale, un autore fuori da ogni schema o canale costituito, che vuole raccontare e sfasciare, rompere e strillare, un autore per il quale un libro “…deve essere la scure per il mare gelato dentro di noi” come diceva Kafka e cita GOG. Un autore che scrive prima per se stesso e poi solo per il lettore insomma. E nel mondo descritto da questo libro un autore così dove si trova? …Le autrici e gli autori fuori da ogni schema o omologazione dove possono trovare spazio?

GOG, ovviamente, non parla di autopubblicazione gratuita alla quale molti autori, come me, si rivolgono per far vivere e leggere i propri scritti. Ma l’autopubblicazione sta diventando sempre più consistente nel nostro panorama, proprio perché quello canonico è fermamente autoreferenziale al punto di non cogliere più le vere novità che fioriscono nelle menti e nei posti più impensabili. E poi l’autopubblicazione materializza quel contatto diretto e senza interferenze col lettore che lo stesso GOG agogna come editore.

Personalmente reputo che la nostra editoria canonica debba cambiare, a partire dalle fondamenta, ma che possa e debba coesistere in sinergia con quella autopubblicata. In un mondo colmo di libri le case editrici di qualità devono proporre percorsi di lettura. Reperire i nuovi autori, in un mondo così sconfinato, è molto difficile anche per una grande casa editrice – ammesso che questa voglia davvero farlo – figuriamoci per le piccole. E allora l’autopubblicazione e soprattutto le recensioni possono aiutare ad individuare quei libri validi che altrimenti non sarebbero mai stati pubblicati e quindi letti.

Comunque la pensiate, ora e sempre: buona lettura!

“Habibi” di Craig Thompson

(Rizzoli Lizard, 2011)

“Sembra che non ci sia limite al peso che devono trasportare le donne…” scrive Craig Thompson nel suo “Carnet di viaggio”, edito nel nostro Paese nel 2017, concetto che ha superbamente affrontato nella sua opera più famosa “Habibi” arrivata da noi qualche anno prima.

Wanatolia è un ricco e opulente paese (fittizio) orientale di forte tradizione islamica. Se le sue città sfoggiano grandi e lussuosi grattacieli, alle loro fondamenta vivono numerosi esseri umani tragicamente molto sotto la soglia della povertà.

Ci sono intere comunità che sopravvivono solo grazie ai rifiuti che la parte ricca del paese ininterrottamente produce, come quelli dell’enorme e splendente palazzo del Sultano. I poveri e i derelitti vivono in funzione degli scarti e dei bisogni dei ricchi, e a pagare il prezzo più alto sono naturalmente i più piccoli: i bambini e, soprattutto, le bambine.

Una di queste è Dodola che decide di fuggire insieme a Zam, un bambino ancora più piccolo di lei, abbandonato e abusato come lei. I due trovano rifugio in una vecchia barca persa nel deserto, lo stesso deserto dove molti secoli prima è nato l’islam e, attraverso le radici di quella religione, Dodola e Zam intraprenderanno un percorso lungo e sofferente per ritrovare finalmente se stessi.

Un viaggio splendido e doloroso nella religione islamica ma soprattutto nel ventre di una bambina che, anche crescendo, deve sopportare soprusi e violenze che il mondo famelico e patriarcale le impone solo perché donna. Ma i soprusi e le violenze le subirà anche Zam, sia per il colore della sua pelle che per la sua anima troppo candida e ingenua per lo spietato e ottuso patriarcato che domina la società.

Dopo l’emozionante romanzo grafico d’esordio “Addio Chunky Rice” e il bellissimo “Blankets“, Craig Thompson firma un’opera davvero emozionante e commovente che ci ricorda, sopratutto, che cos’è l’amore, l’amore vero e incondizionato, quello che tutti dovremmo avere per noi stessi e per il nostro prossimo.

C’è chi definisce Thompson il Charles Dickens della “narrativa a fumetti” ma sbaglia: Thompson è uno dei veri eredi di Dickens, punto e basta.

Sempre di Thompson, e successivi a questo splendido “Habibi”, sono: “Ginseng Roots. Libro Primo – Tornare a casa” e “Gingseng Roots. Libro secondo – Affondare nei ricordi” – che fanno parte di una serie autobiografica – e che ci aiutano a comprende il profondo e doloroso rapporto che l’autore ha avuto fin da piccolo con la religiosità, nato e cresciuto in una famiglia molto praticante e rigidamente osservante.

“Racconti umoristici” di Anton Čechov

(edizioni e/o, 2011)

L’influenza di Anton Pavlovič Čechov sulla cultura planetaria è ancora oggi così immensa che è difficile da misurare. Nato a Taganrog – città portuale della Russia meridionale – il 29 gennaio del 1860, Anton non ha un’infanzia facile fra un padre violento – ma fervente religioso -, una situazione economica precaria e le origini di servi della gleba della sua famiglia.

Diplomatosi, nel 1879 vince una borsa di studio per iscriversi alla facoltà di Medicina e si trasferisce a Mosca dove frequenta i circoli studenteschi e respira l’aria fertile della cultura e dell’avanguardia russa contemporanea. Nel 1880 pubblica il suo primo racconto (“La lettera del possidente del Don Stepan Vladimirovič al dotto vicino dottor Fridrich“) ed inizia così ufficialmente la carriera di uno dei più grandi autori planetari che spazierà fra la letteratura ed il teatro.

Se i suoi drammi, a distanza di 120 anni dalla sua morte – avvenuta il 15 luglio del 1904 – sono ancora rappresentati nei teatri di tutto il mondo, i suoi scritti e soprattutto i suoi immortali racconti sono ancora una delle colonne portanti della cultura contemporanea.

Questo volume ne raccoglie diciassette, alcuni di quelli più ironici e umoristici. Forse non saranno i più famosi o i più belli in assoluto, ma ci ricordano senza dubbio cosa vuol dire saper scrivere con ironia pungente e umorismo tagliente. Se proprio mi incatenate e mi costringete a sceglierne uno vi dico: “Il punto esclamativo (Racconto di Natale)” una delle vette della letteratura mondiale.

Vette che nel formato del racconto probabilmente non sono state raggiunte da nessun altro autore. Forse solo il grande Raymond Carver le ha sfiorate coi suoi bellissimi racconti molti decenni dopo. Non è un caso quindi che fra i miei preferiti ci sia “L’incarico”, in cui Carver ci narra la morte del maestro Čechov attraverso gli occhi di un modesto cameriere, contenuto nella splendida raccolta “Da dove sto chiamando“.

Come tutte le opere del grande autore russo: da leggere ad intervalli regolari.

“Gingseng Roots. Libro secondo – Affondare nei ricordi” di Craig Thompson

(Rizzoli Lizard, 2021)

Dopo “Ginseng Roots. Libro Primo – Tornare a casa“, Craig Thompson ci riporta nel Wisconsin dei primi anni Ottanta dove, ancora bambino e per avere qualche soldo da spendere oltre che per aiutare le finanze della sua famiglia, l’estate lavora negli immensi campi di gingseng.

In questo libro, infatti, uno dei migliori autori contemporanei di romanzi grafici, ci racconta il rapporto della sua famiglia con la pianta simbolo dell’economia di quello stato, che a partire dagli anni Sessanta ha attirato lavoratrici e lavoratori da ogni parte del mondo, sia dentro i confini a stelle e strisce che fuori, soprattutto dall’Oriente.

La tradizione millenaria della coltivazione del gingseng non è naturalmente esclusiva della Cina, ci sono altre nazioni, come il Giappone e la Corea. Proprio dalla Corea proveniva la famiglia di un suo compagno di scuola che, nel corso degli anni, abbandonò gli studi per dedicarsi completamente alla coltivazione.

Attraverso i disegni di Thomson riviviamo la storia Ga Yi Vang, un giovane ufficiale delle forze armate dei guerriglieri Hmong, una delle popolazioni del Laos che sostenne le truppe degli Stati Uniti nella loro occupazione del Vietnam dal 1960 al 1975.

Quando le truppe USA iniziarono a ritirarsi dal Vietnam, la popolazione degli Hmong venne fatta oggetto di feroci ritorsioni da parte dei nord vietnamiti che riprendevano il possesso del loro territorio, vicenda che ricorda tragicamente quella consumatasi nell’estate del 2021 in Afghanistan. Così Ga Yi Vang fu costretto ad abbandonare il proprio paese per trovare rifugio negli USA.

Su suolo americano prese il nome di Abraham Vang e decise di fare quello che sapeva e conosceva grazie alle tradizioni – e alle ….radici – della sua famiglia: coltivare il gingseng. Ma l’impatto nel nuovo Paese non fu affatto semplice, tutta la famiglia Vang, come molti altri immigrati, subì un duro e palese ostracismo, spesso misto a becero razzismo, viste le sue origini asiatiche e così vicine al quel Vietnam.

Per il resto della sua esistenza Abraham Vang non riuscì mai comprendere un comportamento così ostile da parte di un popolo i cui soldati lui aveva sempre aiutato e difeso, come non comprese mai il perché a quasi nessuno interessasse la sua storia.

Un romanzo grafico bello e coinvolgente da un autore mai banale e scontato.

“Aldobrando” di GIPI e Luigi Critone

(Coconino Press Fandango, 2020)

Il medioevo è ricordato spesso come il momento dei secoli bui, di quando regnavano soprattutto la forza, la prepotenza e le superstizioni. E mentre gli uomini non lesinavano colpi mortali e fendenti alla schiena, alle donne non restava che sperare nella provvidenza per vivere una vita il meno dolorosa e frustrante possibile.

Ma il quel funesto e spietato momento storico appare una luce, una piccola luce che squarcia il buio. E’ quella del giovane e ingenuo Aldobrando che, ancora bambino, venne affidato alla cure e agli insegnamenti di un vecchio che molti considerano uno stregone.

Il padre, un cavaliere rimasto vedovo, glielo consegna sapendo che all’alba dovrà morire nella “fossa”, l’arena nella quale si risolvono le dispute fra il “bene” e il “male”, che naturalmente finiscono sempre per rafforzare il potere e le casse dell’avido re.

Aldobrando cresce sotto gli insegnamenti del vecchio imparando a leggere e a scrivere, vera rarità in quel tempo in cui la Chiesa si teneva ben stretta e cara la sapienza. Forse per questo, il giovane, ha tanta paura di affrontare il mondo che è fatto di cose vere e non solo di teorie o formule.

Arriva il giorno, però, che l’anziano tutore rimane gravemente ferito ad un occhio proprio a causa di un errore di Aldobrando, e l’unico modo per evitare una devastante infezione è quella di trovare il prima possibile l’erba del lupo, l’unica pianta capace di guarire una lacerazione così grave e pericolosa.

Il benessere dello stregone è l’unica cosa capace di superare le sue profonde paure e così il gracile Aldobrando è costretto ad uscire dalla capanna del suo mentore e ad affrontare il mondo. Lo farà solo con la sua coscienza, la sua intelligenza, la sua ingenuità e con un piccola e malridotta spada di legno.

Gli eventi e il destino gli faranno fare incontri e vivere eventi attraverso i quali conoscerà il mondo e, soprattutto, se stesso passando anche su quell’arena sanguinosa dove molti anni prima è perito suo padre.

Delizioso romanzo grafico adatto ai giovani ma anche ai meno giovani come me, che amano viaggiare fra parole e disegni davvero molti belli e accattivanti. La storia è di GIPI, uno dei nostri più brillanti autori, i disegni di Luigi Critone e i colori di Francesco Daniele e Claudia Palescandolo.

Da leggere.