“Il violinista sul tetto” di Norman Jewison

(USA, 1971)

Il 22 settembre del 1964 va in scena a Broadway la prima de “Il violinista sul tetto”, musical scritto da Jerry Bock, Sheldon Harnick e Joseph Stein. Gli autori si ispirano ai protagonisti del libro “Tevye il lattivendolo ed altre storie” di Sholem Aleichem (1859-1916) che narra le vicissitudini degli abitanti di uno shetl, una una piccola comunità ebraica, nell’Europa dell’est agli inizi del Novecento.

Il titolo si ispira a un personaggio ricorrente nel quadri di Marc Chagall e simboleggia le grandi difficoltà che nel corso dei secoli le comunità ebraiche hanno dovuto affrontare per poter sopravvivere, come se avessero dovuto suonare il violino rimanendo in piedi su un tetto, col rischio costante di cadere e rompersi l’osso del collo.

Nel cast ci sono attrici e attori veri pilastri del teatro statunitense dell’epoca come Zero Mostel, che interpreta il protagonista Tevye, e Bea Arthur che veste quelli di Yente la sensale. Il successo è clamoroso, tanto da far sbarcare il musical poco dopo anche in altri paesi. Nel 1971 Norman Jewison, con la sceneggiatura scritta dallo stesso Joseph Stein, realizza l’adattamento cinematografico.

1905, nell’Ucraina che è parte della Russia zarista, Tevye (Topol) è il modesto lattaio dello shetl – immaginario – di Anatevka che, non senza fatica e sacrifici, mantiene la sua famiglia composta oltre che dalla moglie Golde (Norma Crane) dalle sue cinque figlie di cui le prime tre, Tzeitel (Rosalind Harris) Hodel (Michele Marsh) e Chava (Neva Small) già in età da marito.

Ciò che dona la forza ogni giorno a Tevye di andare avanti è la sua fede granitica ed il continuo dialogo che ha ogni giorno con l’Onnipotente, al quale pone domande e quesiti sulle ingiustizie e i piccoli e grandi problemi che deve affrontare al sorgere di ogni alba, come le razzie e i pestaggi ciclici che i militari russi impongono a tutto lo shetl.

Vista l’indigenza nella quale vivono, Golde si rivolge a Yente (Molly Picon), la sensale del villaggio, per trovare marito a Tzeitel. Yente offre la ragazza al facoltoso Lazar Woolf, l’anziano macellaio di Anatevka, che subito accetta. Dopo che Tevye e Woolf si stringono la mano sancendo l’accordo per il matrimonio, Tzeitel rivela al padre di amare e voler sposare Motel (Leonard Frey), un giovane e povero sarto.

Il lattaio si trova così davanti ad un bivio del tutto inaspettato: sacrificare la vita e la felicità della figlia o rispettare le millenarie tradizioni della sua cultura, su cui si poggia da sempre la sua stessa esistenza, visto che anche lui ha conosciuto Golde solo il giorno del loro matrimonio, organizzato e voluto dalle rispettive famiglie.

Non senza remore Tevye alla fine asseconda il volere della figlia e manda a monte l’accordo con Woolf. Nel frattempo il lattaio ha ospitato nella sua fattoria Perchik (Paul Michael Glaser, che qualche anno dopo impersonerà il detective Dave Starsky nella mitica serie tv “Starsky & Hutch”) un giovane idealista, convinto sostenitore delle teorie di Karl Marx, che tenta in ogni modo di esortare tutti gli sfruttati a ribellarsi.

Il lattaio non si è accorto però della tenera amicizia nata fra il giovane e la sua secondogenita Hodel così, quando Perchik viene arrestato come rivoluzionario dalle truppe dello Zar e deportato in Siberia e la figlia decide di raggiungerlo per sposarlo, tutte le sue convinzioni tornano a vacillare.

Ma la vita non ha certo finito con Tevye: sua figlia Chava gli confessa di voler sposare Frydka (impersonato dall’italiano Ray Lovelock che diventerà uno dei volti più noti del cinema poliziottesco nostrano di quegli anni) un giovane ucraino avulso dalla comunità ebraica. E il capo del comando delle guardie comunica a tutti gli abitanti di Anatevka che entro tre giorni devono vendere i loro averi e lasciare il villaggio come stabilito dall’editto dello Zar…

Girato nelle campagne nei pressi di Belgrado, “Il violinista sul tetto” è uno dei migliori adattamenti di un musical di Broadway del Novecento e rimane una pietra miliare del genere. La storia di Tevye e della sua famiglia ci racconta di come l’integralismo religioso – che in questo caso è quello legato alla religione ebraica ma che vale anche per le altre, per quella cattolica per esempio ce lo ricorda stupendamente Paola Cortellesi nel suo bellissimo “C’è ancora domani” – altro non è che una forma di duro e ferreo patriarcato castrante e limitante, non solo per chi lo subisce ma anche per chi lo impone.

Tevye, che ama e rispetta incondizionatamente il suo Dio, soffre e si lacera comunque nel dover imporre alle sue tanto amate figlie le stesse cose che le “tradizioni” hanno prima imposto a lui. E naturalmente le prime vittime del patriarcato, indipendentemente dal travestimento che questo assume, sono sempre le donne.

Anche se ci racconta una storia di oltre un secolo fa, “Il violista sul tetto” rimane un film, purtroppo, assai attuale, tanto che il violista sul tetto è una metafora che può andare bene anche per le donne, in paesi come il nostro, dove ogni giorno devono portare avanti al meglio la loro esistenza, troppo spesso con vicino un uomo che le può spingere giù dal tetto.

“Il prestanome” di Martin Ritt

(USA, 1976)

“Caccia alle streghe” è stata definita la persecuzione con cui vennero isolati e ghettizzati molti artisti americani comunisti o simpatizzanti comunisti, alla fine degli anni Quaranta, sulla scia delle presunte attività “anti-americane” urlate dal Senatore Joseph McCarty, e da qui anche il termine “Maccartismo”.

Ma la Commissione che appurava tali attività, in realtà esigeva solo un atto, un atto puro di delazione e denuncia nei confronti degli altri, anche se i nomi erano già stati fatti e ben conosciuti: per tornare a lavorare quindi bastava denunciare. Era perciò la paura ad annientare le coscienze.

Ma Howard Price (un inconsueto Woody Allen) è un piccolo allibratore che per sbarcare il lunario fa il cassiere in una tavola calda a Manhattan. Un giorno Alfred, un suo vecchio compagno di scuola, lo supplica di aiutarlo: per i suoi passati da simpatizzante comunista è finito nelle liste nere della Commissione Contro le Attività Anti-Americane, e nessuna televisione lo fa più lavorare.

Ha bisogno quindi di un “prestanome” che firmi e presenti le sceneggiature al posto suo. A lui andrà il 10%. Howard è un uomo senza scrupoli e accetta felice. Nel giro di poche settimane diventa un autore televisivo famoso, ben pagato e soprattutto prolifico: ad Alfred si aggiungono altri due proscritti.

Tutto sembra procedere al meglio ma gli occhi della Commissione immancabilmente si posano su di lui. Howard è un uomo senza morale e quindi non si preoccupa: darà loro quello che vogliono. Ma pochi giorni prima dell’udienza Hecky Brown (un grandioso Zero Mostel) – attore televisivo proscritto al quale la Commissione ha chiesto di spiare Price per poter essere riabilitato – si suicida, e le cose cambiano…

Ritt firma un’emozionante pellicola che riproduce magistralmente gli anni Cinquanta e soprattutto quel clima di terrore e delazione che regnava nel mondo dello spettacolo. Memorabile scena finale con un grande Allen.

Da vedere tutto, compresi i titoli di coda in cui ai nomi del cast viene associato l’anno di inserimento nelle liste nere, si perché, fra gli altri, Martin Ritt, Zero Mostel e Walter Bernstein  – autore della sceneggiatura – fra il 1950 e il 1953 finirono tutti all’indice.