“Senza piume” di Woody Allen

(La Nave di Teseo, 2023)

Pubblicato per la prima volta nel 1976 e in italiano col titolo “Citarsi addosso”, “questo libro “Senza piume” – curato in questa edizione da Daniele Luttazzi – contiene brevi pezzi e racconti che Woody Allen ha scritto fino ai primi anni Settanta, periodo in cui ha deciso di dedicarsi quasi completamente al cinema.

Già adolescente Woody Allen era uno dei più noti e ben pagati autori di battute per artisti del cabaret, della radio e della televisione. Rileggere i suoi scritti, sempre e comunque divertenti ed esilaranti, non stanca mai.

Certo, la sua arte col corso dei decenni – e anche a seguito delle sue vicissitudini personali – è cambiata evolvendosi. Ma il genio newyorkese rimane sempre ironico e pungente. Fra i racconti c’è quello che poi, modificato dalla stesso autore, è diventato il soggetto del suo film “Ombre e nebbie”, così come è semplice – e al tempo stesso godibilissimo – scovare in battute o gag accenni o riferimenti a sue successive sue opere cinematografiche.

Nonostante la grande ironia che permea ogni pagina, non si può che condividere quello che lo stesso Allen disse in un’intervista qualche anno fa, sostenendo di essere un autore di tragedie – nel senso classico del termine – e non di commedie, e che il suo pubblico ormai da decenni commette un inspiegabile …errore.

“Zero Gravity” di Woody Allen

(La Nave di Teseo, 2022)

Dopo l’esilarante e al tempo stesso amara autobiografia “A proposito di niente”, il genio newyorkese Woody Allen torna a scrivere un libro. Questa volta si tratta di una raccolta di diciannove racconti, alcuni già comparsi sul “New Yorker”, altri invece inediti.

Tutti sempre divertenti e a volte malinconici che ci narrano di una società e una cultura che, quantomeno, lascia molto a desiderare. Cosa che ci ricorda l’intramontabile frase del grande Groucho Marx – sempre molto amato da Allen – che più o meno diceva così: “Non voglio far parte di un club che accetti tra i suoi soci uno come me”. Ecco, Woody Allen, con questi racconti sembra dirci che mal sopporta la cultura contemporanea, anche se volente o nolente lui stesso vi fa parte ed è considerato – giustamente! – una delle punte di diamante più rilevanti.

Se proprio devo scegliere, costretto davanti al plotone d’esecuzione, dico “Crescere a Manhattan”, bello e struggente che sfiora molti – se non tutti – argomenti e ambientazioni preferiti da sempre da Allen e narrati in numerose delle sue pellicole, a partire dalla città che non dorme mai: New York.

Arrivati all’ultima pagina, come capita solo coi grandi libri, ci intristiamo diventando nostro malgrado orfani di pagine e parole che ci hanno riempito l’anima e il cuore, facendoci ridere, sorridere a volte diventare malinconici.

Anche se Dio è morto, Marx (…Karl) è morto, tu Woody resisti e scrivi ancora …mi raccomando!

D’altronde, come diceva sempre il grande Marx (stavolta ancora Groucho): “All’infuori del cane, il libro è il migliore amico dell’uomo. Dentro il cane è troppo scuro per leggere”.

“Questa volta è la mia storia” di Neil Simon

(Excelsior 1881, 2007)

Questa bellissima autobiografia è stata pubblicata per la prima volta da Neil Simon (1927-2018) nel 1996 ed è approdata nelle nostre librerie, incredibilmente, solo nel 2007. Sul motivo di questo inspiegabile ritardo si scervelleranno i posteri, anche se al momento sembra alquanto difficile che le future generazioni italiche la potranno leggere visto che ormai è fuori catalogo e per reperirla bisogna rivolgersi al mondo dell’usato.

Io sono uno scrittore “self-made”, che si autopubblica, e quindi non so proprio spiegarmi perché questo libro sia stato ignorato dalla nostra editoria tradizionale con la quale, …ahimè, non ho contatti. Magari fra cinquant’anni, con l’eventuale pubblicazione dei segreti più oscuri della nostra Repubblica la mia discendenza lo scoprirà. Ma al momento rimane davvero un mistero insondabile il motivo della scomparsa italiana dell’autobiografia di uno dei più famosi drammaturghi del Novecento, ancora oggi tanto messo in scena quanto imitato citato e copiato.

Il libro si apre nella primavera del 1957 quando il neanche trentenne Neil Simon, già affermato autore televisivo, decide di scrivere la sua prima commedia teatrale. Il motivo, oltre a quello di sentire il sacro fuoco del palcoscenico, è di tornare a vivere e lavorare a New York, la sua città natale, visto che la ricca televisione paga bene sì, ma in quegli anni ha il suo cuore pulsante a Los Angeles.

Con l’appoggio incondizionato di sua moglie Joan Baim, Neil inizia quel percorso – che lo renderà uno degli autori teatrali più famosi del suo tempo – digitando sulla sua macchina da scrivere il titolo: “S E N Z A U N A S C A R P A”.

Seguiamo così l’evolversi della sua prima commedia – che subisce non meno di una settantina di riscritture – e andrà in scena col titolo definitivo “Alle donne ci penso io”. Come le successive, molte di clamoroso e planetario successo, anche la prima è ispirata da persone o eventi che l’autore conosce o vive direttamente. Così “Alle donne ci penso io” nasce dall’approccio con l’altro sesso di suo fratello maggiore Danny, insieme al quale egli stesso farà i primi passi come autore comico dilettante.

Non a caso Danny Simon, oltre che per il fratello Neil, è stato un mentore per molti grandi comici e autori di quella generazione come per esempio Woody Allen che lo ricorda nella sua altrettanto splendida autobiografia “A proposito di niente“.

Così se “A piedi nudi nel parco” nasce dai veri primi tempi del matrimonio fra lui e Joan, “La strana coppia” è ispirata ancora una volta a suo fratello Danny che, dopo essersi separato, per motivi economici era andato a vivere assieme a un amico anche lui divorziato. Per questo, ci racconta Neil, una parte delle royalty che fruttava la commedia andavano anche a Danny.

Ma soprattutto Neil Simon ci racconta come era facile per lui scrivere, ma terribilmente complicato arrivare poi a mettere in scena il suo testo. Per questo, fortunatamente, ha avuto la fortuna di incontrare artisti di primissimo livello come Mike Nichols, che ha diretto le prime edizioni delle sue commedie più famose (come “A piedi nudi nel parco”, “La strana coppia” o “Prigioniero della Seconda Strada”) o Bob Fosse (per il quale Simon scrisse il testo del musical “Sweet Charity”) che alla festa dopo la prima a Broadway di “A piedi nudi nel parco”, visto il clamoroso successo, fece il brindisi sibillino: “…a Neil e all’ultima serata in cui avrà amici sinceri”.

E naturalmente tutti i grandi attori che per primi hanno portato i suoi personaggi, le sue storie e le sue immortali battutte sulle assi di un palcoscenico come Robert Redford, Walther Matthau, Art Carney, George C. Scott, Marsha Mason o Peter Falk.

Un viaggio nei primi venticinque anni della carriera splendente di Simon, che non a caso si conclude con la fine del matrimonio con la Baim. Un’autobiografia irresistibile e al tempo stesso dura e cruda, molto simile nella forma e nella sostanza a quel “A proposito di niente” già citato. Come il libro di Allen, reputo anche questa autobiografia di Simon un “manuale” indispensabile per chi ama scrivere, oltre che leggere, magari da sistemare accanto a “On Writing – Autobiografia di un mestiere” del maestro Stephen King.

“Rifkin’s Festival” di Woody Allen

(Spagna/USA/Italia, 2020)

Mort Rifkin (un bravissimo Wallace Shawn) è un ex insegnate di cinema di New York con la passione per gli autori europei. Sua moglie Sue (Gina Gershon) possiede un’agenzia di stampa che ha fra i suoi clienti il giovane regista francese Philippe (Louis Garrel) che presenta un film al Festival Internazionale del Cinema di San Sebastiàn.

Mort decide di seguire la moglie perché sospetta che ci sia del tenero fra lei e lo stesso Philippe. Il viaggio in Spagna per Mort sarà catartico e attraverso i sogni che farà, tutti ispirati ai grandi autori che ha sempre amato, trarrà un bilancio della sua vita e soprattutto del suo modo di essere.

Coprodotto anche dal nostro Paese, questo film del maestro Woody Allen ci parla in maniera malinconica e crepuscolare del bilancio di una vita fatto da un uomo – ogni riferimento personale non è ovviamente casuale… – che nel cinema ha trovato il proprio modo di essere e di esprimersi.

Non è un caso quindi che nel ruolo di Mort Rifkin ci sia Shawn, attore fra i più apprezzati di Broadway – famose sono le sue interpretazioni nelle messe in scena soprattutto delle opere di Chekhov – e “rubato” da Hollywood – oltre a partecipare a numerose produzioni è sua, per esempio, la voce di Rex nella saga di “Toy Story” – che nel bellissimo “Manhattan” è al centro di una delle scene più esilaranti della cinematografia di Allen.

Forse non uno dei film più divertenti del genio newyorkese, ma gli omaggi onirici che fa a Fellini, Bergman, Bunùel, Antonioni e Truffaut sono davvero deliziosi. Da ricordare nel cast anche il bravissimo Christoph Waltz nei panni della Morte de “Il settimo sigillo” di Bergman, e Sergi Lòpez già interprete dello splendido “Il labirinto del fauno” del visionario Guillermo De Toro.

“Provaci ancora Sam” di Herbert Ross

(USA, 1972)

Chi ha letto la sua irresistibile autobiografia “A proposito di niente” sa che Allan Stewart Königsberg, in arte Woody Allen, oltre ad essere stato un ottimo sportivo, soprattutto come giocatore di baseball, è stato fin da giovanissimo un grande seduttore.

Per cui il Sam protagonista di questo “Provaci ancora Sam” ha solo dei riferimenti superficiali al vero Woody Allen. La prima esperienza sul grande schermo per il genio newyorkese non è positiva: nel 1965 scrive la sceneggiatura di “Ciao Pussycat” che però durante le riprese viene abbondantemente stravolta, rivelandosi poi un flop di critica e pubblico.

Nel 1969 gira con mezzi davvero limitati “Prendi i soldi e scappa” che è una parodia dei reportage televisivi di cronaca nera. D’altronde Allen conosce molto bene la televisione, visto che è diventato un autore stimato e ricercato già da adolescente. Poco dopo, come ci racconta sempre nella sua autobiografia, scrive la commedia teatrale “Provaci ancora Sam” per puro divertimento. Grazie al suo genio e alla sua interpretazione, insieme a quella di Diane Keaton e Tony Roberts, da piccola rappresentazione off-Broadway la commedia sbanca in pochi mesi al botteghino.

Il cinema torna ad interessarsi di Allen che però scrive una sceneggiatura “intoccabile”. A dirigere il film viene chiamato un grande artigiano della macchina da presa come Herbert Ross – autore di pellicole come “La soluzione sette per cento“, “California Suite” o “Quel giardino di aranci fatti in casa” – dal quale Allen imparerà i primi trucchi del mestiere.

Il naufragio del matrimonio di Sam, i suoi disperati e patetici tentativi di “tornare sulla piazza” e la sua fugace avventura con Linda (Diane Keaton) moglie del suo migliore amico Dick (Tony Roberts), ma soprattutto i consigli a base di whisky, ceffoni e baci del grande Humprey Bogart (interpretato da Jerry Lacy) sono ormai storia del cinema. A distanza di cinquant’anni nessuna delle strepitose battute del film ha perso il suo smalto o la forza ironica.

Il successo internazionale del film – nel nostro Paese la distribuzione di “Prendi i soldi e scappa” avviene solo poche settimane prima dell’uscita di “Provaci ancora Sam” – gli apre definitivamente le porte del mondo del cinema.

Da ricordare, nella nostra versione, oltre al “solito” magistrale doppiaggio dello stesso Allen da parte di Oreste Lionello, quello di Lacy nei panni di Bogart da parte di Paolo Ferrari, davvero due grandi ed indimenticabili artisti.

Da vedere e rivedere ad intervalli regolari.

“Radio Days” di Woody Allen

(USA, 1987)

Molti critici, soprattutto quelli italiani, hanno paragonato giustamente questa malinconica e divertente pellicola di Woody Allen ad “Amarcord” di Federico Fellini.

Infatti il genio newyorkese, che non appare nel film anche se è sua la voce narrante (doppiata come sempre in maniera sublime da Oreste Lionello nella nostra versione) ci trasporta agli inizi degli anni Quaranta nel Queens, quartiere periferico della Grande Mela dove è nato e cresciuto.

E attraverso gli occhi del giovane Allan Stewart Königsberg alias Joe (Seth Green) riviviamo quegli anni funestati dall’ombra della guerra che si combatteva in Europa, e il cui centro nevralgico emozionale e culturale era la radio.

Così seguiamo la routine quotidiana che si consuma nella casa dove vive Joe assieme ai suoi genitori (la madre è interpretata da Julie Kavner, attrice che collaborerà molto con Allen e che dal 1989 dona la voce originale a Marge Simpson nei mitici “I Simpsons“) condivisa per pure ragioni economiche con gli zii Abe (Josh Mostel, figlio di Zero Mostel attore vittima del maccartismo e che con Allen ha interpretato un ruolo semi-autobiografico su quegli anni ne “Il prestanome” di Martin Ritt) Ceil e la loro figlia adolescente, zia Bea (Dianne West) eternamente in cerca della sua anima gemella e i nonni.

L’unico grande mezzo di fuga dalle fatiche e dalle delusioni della vita quotidiana è la radio attraverso la quale si possono vivere avventure e viaggi fantastici, e i cui protagonisti in realtà sono, loro malgrado, molto reali come per esempio Sally White (Mia Farrow) che da semplice venditrice di sigari nei nightclub diventa incredibilmente la protagonista di un programma radiofonico di gossip tutto suo. Cameo pregiato per Diane Keaton che si esibisce come cantante in una serata radiofonica.

Memorabile, e molto “felliniana”, è la scena in cui Joe viene portato per la prima volta al cinema ed entra nel maestoso e splendido “Radio City Music Hall” nel quale proiettano “Scandalo a Filadelfia” di George Cukor.

Per amanti di Woody Allen e nostalgici doc.

“A proposito di niente” di Woody Allen

(La Nave di Teseo, 2020)

Beh, gente, qui abbiano davanti 398 pagine esilaranti, struggenti e anche drammatiche.

Uno dei geni indiscussi del cinema americano (e non solo) si racconta senza mezzi termini in questa irresistibile autobiografia.

Allan Stewart Königsberg nasce nel 1935 in una famiglia della piccola borghesia ebrea americana che vive a Brooklyn. La religione dei suoi parenti non è ovviamente rilevante, se non perché lui diventerà uno dei più grandi e divertenti narratori delle dinamiche delle famiglie americane di tradizione israelitica.

Svogliato e pigro a scuola – nonostante il suo alto Q.I. – il giovane Allan ama il baseball (dove è una delle migliori “seconda base” in circolazione) passare i pomeriggi (o le mattine in cui bigia la scuola) nei cinema per vedere i grandi classici di Hollywood, e girovagare per Manhattan. Si appassiona all’illusionismo volendo diventare da grande un prestigiatore, e usa quello che impara per diventare un giocatore implacabile di poker.

Ancora alle superiori, inizia a scrivere battute per gli addetti stampa di grandi star del momento che le usano per mantenere alta l’attenzione del pubblico sui propri beniamini attraverso articoli di giornale dedicati alla vita mondana del jet set. Fra le vincite al poker e il lavoro di battutista Allan già guadagna molto più dei suoi genitori messi insieme. Propio per il suo nuovo lavoro di autore decide di usare uno pseudonimo.

La televisione si interessa di lui e così inizia a lavorare fianco a fianco ad alcuni grandi autori comici del momento con Sid Caesar, Mel Brooks o Danny Simon (fratello di Neil). Quasi per caso, poi, Woody Allen incontra il cinema. Le prime esperienze di sceneggiatore e attore non sono particolarmente entusiasmanti, ma quando riesce ad avere il controllo totale della produzione (gli investitori lo finanziano senza metter bocca nella sceneggiatura o nelle riprese) le cose cambiano…

In parallelo Allen ci racconta la sua lunga vita amorosa fatta di molte relazioni e quattro matrimoni, il penultimo dei quali con l’attrice Mia Farrow. La drammatica separazione con la stessa Farrow è ancora un ghiotto argomento per i tabloid scandalistici, e non solo, e continua ad avere pesanti strascichi anche nella vita artistica dello stesso Allen.

Dio è morto, Marx è morto …ma Woody Allen scrive sempre tanto bene!

Da leggere.

“Un giorno di pioggia a New York” di Woody Allen

(USA, 2019)

Il genio di Woody Allen ci racconta una nuova e deliziosa storia ambientata nella sua lucente e romantica New York.

Conoscendo l’autore newyorkese non si può fare a meno di ritrovare alcune sue caratteristiche in Gatsby Welles (Timothée Chalamet), studente presso l’Università di Yeardley e secondo genito di una ricca famiglia repubblicana di Manhattan.

Con la sua fidanzata Ashleigh (una bravissima Elle Fanning), figlia di un ricco proprietario di banche di Tucson, Gatsby (il cui nome rimanda ovviamente al mondo e all’immaginario del grande Francis Scott Fitzgerlad) decide di passare un weekend a New York all’insaputa dei suoi genitori.

L’occasione gliela fornisce il giornale del college che ha ottenuto per Ashleigh un’intervista con il regista Roland Pollard (Liev Schreiber) sul suo ultimo film che è in uscita. Gatsby, che possiede un animo nostalgico, ama le canzoni di Irwing Berlin e New York soprattutto quando piove, è desideroso di far conoscere i suoi posti “cari” alla fidanzata, ma…

Raffinata e piacevole “sofisticated comedy” alla Woody Allen, che ci ricorda, come dice Shannon (Selena Gomez) a Gatsby, che: “…La vita vera è per quelli che non hanno niente di meglio”.

La produzione di questo film è stata investita dalla scandalo relativo al caso Weinstein, e al successivo movimento “Me Too”, a causa di un’accusa relativa a una presunta aggressione sessuale dello stesso Woody Allen ai danni di una delle figlie adottive di Mia Farrow, accusa risalente al 1992, periodo della loro burrascosa separazione.

Alcuni attori del cast si sono “pentiti” pubblicamente di aver lavorato con Allen, altri hanno donato il loro cachet a organizzazioni contro le violenze su donne e minori. Gli stessi Amazon Studios, che si erano impegnati a distribuire il film, hanno sospeso la programmazione. La cosa ha acceso una causa con il regista che chiedeva danni per 68 milioni di dollari. Si è giunti ad un accordo e gli Amazon Studios hanno restituito i diritti di distribuzione al cineasta.

Allen, a proposito le accuse, ha affermato di essere completamente estraneo alla cosa tanto da poter essere rappresentato nel manifesto del movimento “Me Too”.

“Crisis in Six Scenes” di Woody Allen

(USA, 2016)

Scoccati gli ottanta, il grande Woody Allen si è preso “la briga e di certo il gusto” (cit.) di girare la sua prima serie televisiva. E per farlo ha scelto Prime Video che gli ha dato carta bianca.

Ambientata nei fantastici Sessanta, in una New York dove si respira l’aria della rivoluzione sociale e civile, “Crisis in Six Scenes” ci racconta come la vita tranquilla e ordinata dei coniugi Munsinger, Sidney (lo stesso Woody Allen doppiato per noi magnificamente da Leo Gullotta) e Kay (una strepitosa Elaine May) subisca l’impatto violento coi tempi che corrono.

Nel cuore della notte, infatti, la rivoluzionaria evasa dal carcere Lennie Dale (Miley Cirus) si intrufola in casa Munsinger. La scelta di Lennie è legata al vecchio rapporto stretto che Kay ha avuto da giovane con la sua famiglia. E quando la rivoluzione bussa alle porte…    

Sei deliziose puntate per una serie nel segno del genio di Woody Allen. E grande, e ovviamente ironica, riflessione su quello che davvero è stato il “mitico” ma ormai stantio e incartapecorito ’68.

Non si può non parlare anche della grande Elaine May. Figura fondamentale del cabaret e della satira americana a partire dagli anni Cinquanta, autrice di radio, cinema (suoi sono gli spassosi “E’ ricca, la sposo e l’ammazzo” e “Il rompicuori“, solo per fare un paio di esempi) teatro e televisione. La May, superati abbondantemente gli ottanta, tiene fantasticamente testa a Woody Allen che, comunque, è sempre lui. Anche in streaming!

“Hannah e le sue sorelle” di Woody Allen

(USA, 1986)

Da molti considerato un immaginario seguito di “Io e Annie”, questo “Hannah e la sue sorelle” è il successo più ampio di pubblico e critica degli anni Ottanta firmato da Woody Allen. Critica che osannò – forse giustamente – molto di più quel capolavoro che è “Zelig”, che invece il pubblico accolse con molta – inspiegabile oggi – freddezza rispetto a questo.

Oltre ad alcuni elementi palesi di “Io e Annie”, in questo film Allen ci mette molto del suo amore per Ingmar Bergman. Le protagoniste del film sono tre sorelle, così come nel suo bergmaniano puro “Interiors” del 1978, c’è la ricerca drammatica del senso della vita e, infine, l’attore simbolo del cinema bergmaniano Max Von Sydow. Il tutto miscelato ovviamente con la geniale ironia del cineasta newyorkese.

Hannah (Mia Farrow), Holly (Dianne West) e Lee (Barbara Hershey) sono tre sorelle che vivono a New York. Le loro esistenze si intrecciano fra amore, sostegno, competizione e invidia. Hannah è un attrice di prosa di successo, felicemente sposata con Eliot (Michael Caine), un consulente economico anche lui di notevole successo. Quando questo si accorge di essere attratto da Lee, che convive con Frederick (Von Sydow) un noto pittore molto più grande di lei, rimane sorpreso dall’essere ricambiato. Holly cerca di seguire le impronte di Hannah in teatro, ma senza riuscirci. Mickey (lo stesso Allen), primo marito di Hannah, è un autore televisivo di successo che entra in crisi quando crede di avere un tumore. Le cose cambieranno per tutti grazie alla fortuna – tema tanto caro ad Allen – all’amore e alla fiducia in se stessi.

Superbo film corale che funziona come un orologio svizzero, con qualche battuta davvero stellare.

Premio Oscar – strameritato – per la Migliore Sceneggiatura Originale, e a Michael Caine e Diane West come Migliori Attori non Protagonisti. In un piccolo ruolo appare anche un giovane John Turturro, che quasi trent’anni dopo dirigerà lo stesso Allen in “Gigolò per caso”.