“L’ereditiera” di William Wyler

(USA, 1949)

Nel 1880 Henry James pubblicò a puntate il romanzo “Washington Square”, ispirato ad un evento realmente accaduto nell’aristocrazia britannica. James sposta la scena a New York e l’ambienta in quella che è considerata una delle piazze più esclusive della città.

Dal romanzo, la coppia di drammaturghi e sceneggiatori Ruth e Augustus Goetz traggono una commedia che sbanca Broadway. William Wyler decide di girare il suo adattamento cinematografico e chiama gli stessi due autori a scrivere la sceneggiatura.

New York, 1850. Austin Sloper (Ralph Richardson) è un facoltoso medico rispettato da tutta la città. Rimasto prematuramente vedovo, non riesce a consolarsi della perdita della moglie che lui reputa ancora l’essere più bello che abbia mai camminato sulla Terra.

Certo non lo consola la sua unica figlia Catherine (una bravissima Olivia de Havilland) scialba, goffa e ingenua, capace solo di realizzare inutili ricami. Grazie però alla rendita di diecimila dollari che le ha lasciato sua madre, Catherine è comunque una ragazza ricca. E lo diverrà ancora di più alla morte del padre che ha stabilito una rendita per lei di ulteriori ventimila dollari.

Nonostante ciò, alle feste a cui viene invitata nessuno sembra notarla, cosa che preoccupa molto suo padre e sua zia Lavinia (Lavinia Penniman). Tutto repentinamente cambia quando ad un party inizia ad essere al centro delle attenzioni del fascinoso Morris Townsend (Montgomery Clift).

Senza aspettare Townsend brucia le tappe del corteggiamento e poco tempo dopo chiede a Catherine di sposarlo. Se lei è fuori di se dalla gioia suo padre, invece, rimane freddo e distaccato. Per lui, infatti, il giovane è solo un cacciatore di dote e mai avrà la sua approvazione.

Nonostante il padre provi in ogni modo a dissuaderla, Catherine è sempre più intenzionata a coronare il suo sogno d’amore, cosa che alla fine provoca uno scontro profondo e irreversibile fra i due.

Per sposare il suo Morris, infatti, lei è disposta a fuggire nella notte e anche a rinunciare ai ventimila dollari in più di rendita, visto che suo padre ha promesso che la diserederà. Ma…

Amarissimo racconto sulle sfortune di una donna che ha la “colpa” di essere “brutta” e “ricca”. Nella storia del cinema è entrata a pieno l’indimenticabile scena finale, che ancora oggi viene scopiazzata.

Wyler dirige superbamente un ottimo cast dove brillano la de Havilland e Clift, che viene consacrato a star di primo livello. Per la sua interpretazione la de Havilland vince, giustamente, l’Oscar come miglior attrice protagonista, il secondo della sua lunga e prolifica carriera.

Per la chicca: solo grazie al successo planetario di questo film, il romanzo originale di Henry James fino ad allora pubblicato solo in inglese, venne tradotto in altre lingue.

“Vacanze romane” di William Wyler

(USA, 1953)

Il 27 agosto del 1953, a New York, si consumava la prima mondiale del film cha avrebbe consacrato definitivamente a star del cinema quella splendida diva, dagli occhi di cerbiatto, che era Audrey Hepburn.

Il personaggio della principessa Anna, ispirato all’allora giovane regina Elisabetta II d’Inghilterra – anche se all’inizio, riportano alcune cronache del tempo, è più simile alla sorella “viziata” e “capricciosa” Margaret – è uno dei più romantici e riusciti del grande schermo.

Sullo sfondo una Roma solare e spensierata che aderisce perfettamente alla visione che gli americani avevano – o volevano avere – di un Paese che, solo pochi anni prima avevano combattuto, invaso e poi liberato, e che nel 1953 soffriva ancora la fame (“Guardie e ladri” di Steno e Monicelli è solo di due anni prima) e che stentava a rialzarsi.

Fra le citazioni e i numerosi remake, spicca il blockbuster “Notthing Hill” (1999) con la bella Julia Roberts che, invece di una regina impersona una diva di Hollywood, dal nome – guarda caso… – Anna Scott.

La sceneggiatura di questo film – premiata agli Oscar – venne scritta, sotto falso nome, anche da Dalton Trumbo che in quel periodo era all’indice per le sue dichiarate simpatie comuniste.