“Benny & Joon” di Jeremiah S. Chechik

(USA, 1993)

Questa pellicola, apparsa sul grande schermo agli inizi degli anni Novanta, è divenuta nel corso del tempo una delle più rappresentative del giovane cinema americano di quel decennio.

E questo non solo perché alcuni dei suoi protagonisti, a partire da Johnny Depp, sono diventati vere e proprie star di Hollywood – come anche Julianne Moore – ma perché parla con sincerità e lucidità della generazione che quel decennio lo stava affrontando da poco più che adulta.

Inoltre, mi è già capitato di sottolineare come nel mondo anglosassone, e soprattutto nella cultura degli Stati Uniti, parlare di disabilità sia molto più semplice e onesto, rispetto che nella nostra, dove è difficile per qualcuno evitare compassione o pietà, che spesso nascondono poi ignoranza e pregiudizi.

Così, questa pellicola, ci parla senza ipocrisie dell’autismo e delle sue problematiche nella vita quotidiana di una ragazza di vent’anni.

In una piccola cittadina nella provincia degli Stati Uniti vivono Benny (Aidan Quinn) e Joon (Mary Stuart Masterson) Pearl. Abitano da soli in una grande casa sul fiume, perché poco più di dieci anni prima i loro genitori sono morti in un incidente automobilistico.

Benny è il proprietario di un’officina e la sua vita consiste, soprattutto, nel lavorare e badare a sua sorella minore Joon, che è afflitta dai disturbi dello spettro autistico. Col passare del tempo Benny ha sacrificato tutta la sua vita personale per la sorella, ma lo sente come un dovere irrinunciabile che i suoi genitori idealmente gli hanno lasciato.

Uno dei pochi svaghi del ragazzo è la partita settimanale a poker con gli amici, fra cui spicca Eric (Oliver Platt) il suo aiutante in officina. Le partite però non si giocano a soldi, ma a beni che ogni giocatore è pronto a scommettere. Proprio durante una di queste Joon, approfittando dell’assenza temporanea del fratello, decide di giocare una mano alla fine della quale vince la posta in gioco: Sam (Johnny Depp) il cugino “strambo” di Mike (Joe Grifasi), uno degli amici del fratello.

Benny è così costretto a portarsi a casa il ragazzo che, col passare del tempo, allaccerà con Joon un rapporto sempre più profondo. Intanto, nel locale dove va a fare colazione, Benny incontra Ruthie (Julianne Moore) un ex attrice di film dell’orrore che ha abbandonato i suoi sogni di gloria per fare la cameriera e la portinaia…

Commedia originale che ci regala dei veri momenti di poesia, soprattutto grazie all’interpretazione di Depp che cita e richiama le gag più famose di grandi artisti come Charlie Chaplin e Buster Keaton. Scritto da Lesley McNeil e Barry Berman, “Benny & Joon” ci ricorda quanto le piccole cose della vita siano fondamentali come le grandi, e che l’amore, la tolleranza e la fiducia sono le cose che ci permettono di consumare un’esistenza degna di questo nome.

“Transamerica” di Duncan Tucker

(USA, 2005)

La famiglia, così come la società nel senso più alto del termine, dovrebbe tutelare e difendere i più deboli dall’arroganza, la cattiveria e la prepotenza dei più ignoranti e ottusi. Ma purtroppo, così come la società, troppo spesso la famiglia non riesce a salvaguardare i più fragili, diventando lei stessa il primo nemico e un luogo fra i più dolorosi di tutti.

Come accade a Stanley Schupak (interpretato magistralmente da Felicity Huffmann) che alla soglie della mezza età è finalmente in procinto di risolvere il dramma che lo ha dolorosamente diviso fin dall’adolescenza: essere una donna nata nel corpo di un uomo. Il sentirsi così irrisolto ha impedito a Stanley di raggiungere gli obiettivi che le sue capacità gli avrebbero consentito, come terminare il college e insegnare. Ora sbarca il lunario lavorando in un fastfood e come venditrice al telefono, visti soprattutto i suoi modi molto garbati e discreti, vivendo in un quartiere periferico di Los Angeles.

Con la sua analista Bree – ormai Stanley ha lasciato il posto a Sabrina “Bree” Osbourne – è finalmente riuscita a terminare il percorso che la porterà all’operazione per il suo definitivo cambio di sesso. Ma una settimana prima dell’intervento Bree riceve una telefonata dal carcere minorile di New York: Toby Wilkins (Kevin Zegers), il figlio minorenne di Stanley Schupak è stato arrestato per prostituzione e adescamento.

Il primo istinto di Sabrina è quello di rispondere: “Stanley non abita più qui”, visto che poi lei ignorava di avere un figlio nato dall’unica relazione eterosessuale della sua vita – e dall’unico rapporto fisico avuto con una donna – consumatasi durante il periodo del college. Ma, saputolo, la sua analista ritira il visto per l’operazione finché Sabrina non affronterà questa nuova e inaspettata parte della sua esistenza.

Bree, suo malgrado, parte alla volta di New York per pagare la cauzione a Toby, al quale però dice di essere una sorta di assistente sociale inviata da una chiesa evangelica. Visto che la madre del ragazzo è morta qualche mese prima, l’unico parente in vita di Toby è il suo ex patrigno che vive in un piccolo paese al centro degli Stati Uniti. Così Bree pensa di risolvere la situazione riportando il ragazzo dall’ex compagno della madre, ma…

Scritto e diretto da Duncan Tucker, questo film ci racconta con raffinata crudezza i drammi e i terribili dolori di un essere umano ripudiato dal lato più ottuso e perbenista della società, a partire dalla sua famiglia. E soprattutto i danni profondi che quest’ottusità provoca anche negli altri: figli, fratelli, sorelle o genitori che siano.

Prodotta da William H. Macy – compagno di vita della Huffman – questa pellicola, anche se candidata a due Oscar, venne alla fine snobbata dall’Accademy visto – raccontano le cronache dell’epoca – il tema trattato.

Così la Huffman non vinse la statuetta come miglior attrice protagonista che andò invece a Reese Witherspoon per la sua interpretazione in “Quando l’amore brucia l’anima”, pellicola dedicata alla vita del grande Johnny Cash (impersonato da Joaquin Phoenix) in cui la Witherspoon incarnava June Carter, compagna di vita del cantante, e personaggio diametralmente opposto a quello di Sabrina “Bree” Osbourne.

Certo non un film “facile” da guardare, ma senza dubbio necessario.