“Le avventure di Buckaroo Banzai nella quarta dimensione” di W.D. Richter

(USA, 1984)

Nell’ottobre del 1984 esce nelle sale statunitensi un film di fantascienza destinato a diventare un piccolo cult, che nel corso del tempo viene spesso citato o imitato. Basta pensare che Steven Spielberg ne fa un chiaro riferimento nel suo “Ready Player One” del 2018, quando Parzival sta per incontrare Art3mis e sceglie il look più cool ispirandosi proprio al protagonista di questo film.

I motivi perché questa pellicola, soprattutto negli USA, è considerata una delle più rappresentative degli anni Ottanta sono molti, a partire dal cast che annovera attrici e attori che diventeranno icone cinematografiche non solo di quel decennio come Peter Weller, che impersona proprio Buckaroo Banzai. Ci sono poi Ellen Barkin, John Lightgow, Jeff Goldblum, Clancy Brown e Christopher Lloyd che solo pochi mesi dopo impersonerà il professor Emmett Brown nel mitico “Ritorno al futuro“.

A proposito di “Ritorno al futuro”, proprio nelle sequenze iniziali di “Le avventure di Buckaroo Banzai nella quarta dimensione” il protagonista sfida la fisica con la sua autovettura futuristica il cui cuore pulsante è uno strumento molto – ma molto… – simile al flusso catalizzatore della Delorean di Doc Brown…

Tornando al film di W.D. Richter – che poco dopo parteciperà alla stesura dello script di un’altra pietra miliare del cinema degli anni Ottanta, e non solo, come “Grosso guaio a Chinatown” diretto dal maestro John Carpenter nel 1986 – anche la trama, frenetica, affatto lineare e che racchiude svolte narrative tipiche di vari generi apparentemente incompatibili, rappresenta al meglio lo spirito edonistico e glitterato di quegli anni.

Buckaroo Banzai è uno dei migliori neurochirurghi del pianeta, ma ha deciso tralasciare la sua carriera medica per dedicarsi al rock – con la sua band “The Hong Kong Cavaliers” – e alla guida di un veicolo speciale – di sua ideazione – in grado di superare i limiti della fisica conosciuta e portarlo nell’ottava dimensione (…sì, è l’ottava dimensione, forse i distributori italiani credevano che fosse “troppa” e così l’hanno divisa per due).

Per festeggiare la grande impresa Buckaroo si esibisce in un concerto dove incappa in Penny (Ellen Barkin) che sembra essere la sorella gemella della sua ex amata, di cui non ha più notizie.

Intanto, tutto il mondo parla dell’impresa di Buckaroo e la cosa arriva anche alle orecchie del perfido dottor Emilio Lizardo (John Lithgow) scienziato senza scrupoli del regime fascista italiano che dopo il fallimento del suo esperimento – riuscito invece ora a Buckaroo – e la fine della Seconda Guerra Mondiale è stato rinchiuso in un manicomio criminale.

Grazie all’appoggio di alcune creature aliene che possono prendere sembianze umane come John Bigboote (Christopher Lloyd) Lizardo cambia identità e diventa Lord John Whorfin acquistando poteri sovrannaturali. La cosa gli permette di impadronirsi del propulsore grazie al quale Buckaroo è riuscito a visitare l’ottava dimensione. Il suo intento è quello di reclutare le perfide creature che la abitano e conquistare il mondo.

Ma Buckaroo è sulle sue tracce insieme ai sui Hong Kong Cavaliers, di cui fanno parte Rawhide (Clancy Brown) e New Jersey (Jeff Goldblum), e all’aiuto di John Parker (Carl Lumbly) un alieno mutaforma proveniente dal pianeta acerrimo nemico di quello da cui arrivano gli alleati di Lord Whorfin…

Scritta da Earl Mac Rauch, questa pellicola incarna come poche lo stile e l’atmosfera di quegli anni e, nonostante alcuni limiti nella sceneggiatura, è davvero un piccolo cult trash. Facendo una citazione pubblicitaria di successo proprio in quel periodo: questo film è “per molti, ma non per tutti” …i nostalgici dal palato fino degli anni Ottanta.

“Grosso guaio a Chinatown” di John Carpenter

(USA, 1986)

Gente, qui parliamo di un vero e proprio cult. Di una pellicola spettacolare che dopo oltre trent’anni è sempre gaiarda e tosta come il suo creatore, uno dei maestri planetari indiscussi del fantasy horror: John Carpenter.

La sceneggiatura è firmata da Gary Goldman (che scriverà poi “Atto di forza”), David Z. Weinstein e W.D. Ritcher (che qualche anno prima aveva realizzato la sceneggiatura di “Terrore dallo spazio profondo” di Philp Kaufman remake della storica pellicola di Don Siegel “L’invasione degli ultracorpi“, nonché candidato all’Oscar per lo script di “Brubaker” di Stuart Rosenberg) ma si sente nei dialoghi e nelle azioni chiaramente anche la mano dello stesso Carpenter.

L’autista di bus turistici Egg Shen (il noto caratterista Victor Wong, volto caro a Carpenter e comprimario in molti film superficialmente etichettati di serie B come, per esempio, “Tremors”) viene interrogato da quelli che sembrano essere due agenti dell’F.B.I.. Shen è riluttante, sfugge alle domande sulla vera natura di quello che nelle ore precedenti ha sconvolto Chinatown. Ma quando gli agenti nominano Jack Burton, Shen cambia espressione…

Il camionista Jack Burton (Kurt Russell) arriva al porto di San Francisco col suo Tir. Dopo aver passato la notte a giocare d’azzardo col suo amico Wang Chi (Dennis Dun) decide di accompagnarlo all’aeroporto. Wang, infatti, deve andare a prendere la sua fidanzata Miao Yin (Suzee Pai), una ragazza cinese con gli occhi verdi. All’uscita del Gate però un gruppo di malviventi rapisce Miao Yin sotto gli occhi di Jack e Wang, che tra l’altro vengono ostacolati da Gracie (Kim Cattrall), una caotica attivista dei diritti civili, anche lei venuta a prendere una ragazza proveniente dalla Cina.

Per liberare Miao Yin, Jack e gli altri saranno costretti a entrare nel cuore sotterraneo e oscuro di Chinatown, dove da secoli si consuma una feroce battaglia fra il bene e il male…

Filmaccio senza esclusione di colpi in cui, a differenza degli altri capolavori di Carpenter come “Essi vivono”, “La cosa”, “1997: fuga da New York” o “Distretto 13 – Le brigate della morte”, il protagonista è un volitivo goffo sbruffone che si prende troppo sul serio, e non il classico cinico e disilluso eroe carpenteriano.

In oltre trent’anni, sul grande schermo ne sono passati tanti di validi e spettacolari film fantasy e horror, ma quelli di Carpenter, come questo, non perdono un grammo del loro fascino.