“Terra matta” di Vincenzo Rabito

(Einaudi, 2014)

“LA STORIA SIAMO NOI, ATTENZIONE NESSUNO SI SENTA ESCLUSO…” canta Francesco De Gregori un verso che sembra scritto a pennello per Vincenzo Rabito.

Vincenzo Rabito era nato a Chiaramonte Gulfi, oggi in provincia di Ragusa, nel 1899. Come la stragrande maggioranza dei suoi coetanei non andò mai a scuola. A sette anni, per aiutare la madre vedova e con sette figli da sfamare, iniziò ai lavorare nei campi dove avrebbe dovuto passare il resto della sua vita. Ma la storia del nostro Paese lo travolse come migliaia di nostri connazionali.

A 69 nove anni, Vincenzo Rabito, senza parlarne con nessuno, iniziò a scrivere la storia della sua vita. Prese una vecchia macchina da scrivere e su oltre mille pagine, fitte fitte, senza margini o interlinee, scrisse in un dialetto siciliano stretto ma comprensibilissimo, tutti gli eventi salienti della sua: “…maletrata e molto travagliata e molto desprezata vita”.

Ha pigiato sui tasti della sua vecchia Olivetti fino al 1975, raccontando le vicende che lo hanno visto protagonista fino all’agosto del 1970. D’altronde scrive lui stesso: “Se all’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare”.

Vincenzo Rabito è scomparso il 18 febbraio del 1981 e il suo manoscritto è rimasto in un cassetto finché i suoi figli non l’hanno trovato e reso pubblico, donando a tutti noi una delle più grandi cronache del nostro Paese.

Einaudi, nel 2014, ha deciso di pubblicare, sfoltendola, l’autobiografia di Rabito che racconta non solo di lui, ma di tutto il nostro Paese. A neanche diciannove anni Rabito viene preso e sbattuto in prima linea sul Piave a combattere la fase più tragica e sanguinaria della Prima Guerra Mondiale. Sopravvissuto all’immane tragedia, Rabito si ritrova senza niente e decide di trasferirsi in una delle colonie dell’Impero che Mussolini “sta forgiando”, aderendo così al partito fascista.

Ma lo sguardo di Rabito, come lo era stato al fronte, è limpido e disilluso anche sulla nuova Italia e accetta di buongrado i mille compromessi ai quali deve sottostare pur di mandare i soldi a casa a sua madre. A ridosso della Seconda Guerra Mondiale Rabito si sposa e il suo obiettivo diventa quello di non far mancare nulla ai suoi tre figli. Così, nel secondo dopoguerra, la priorità di Vincenzo Rabito è quella di farli studiare per non fare la vita che ha fatto e sta facendo lui.

Gli occhi del semianalfabeta Vincenzo Rabito sono fra i più onesti e lucidi che il nostro Novecento abbia avuto, e ci disegnano un Paese con molti lati ambigui e in penombra. Ma quegli stessi lati, a distanza di oltre mezzo secolo, sono ancora tanto presenti nell’Italia di oggi. Un’opera unica e incredibile che segna in maniera indelebile la nostra storia e la nostra cultura.

Da leggere.