“Tre” di Valérie Perrin

(Edizioni e/o, 2022)

Come per il bellissimo “Cambiare l’acqua ai fiori“, Valérie Perrin in questo nuovo romanzo ci porta con un viaggio indimenticabile dentro l’anima dei suoi protagonisti.

Questa volta ne seguiamo tre – come ci preannuncia il titolo – Nina, Etienne e Adrien, tre bambini che si incontrano quasi per caso alla scuola elementare e insieme cammineranno per l’infanzia e l’adolescenza uno accanto all’altra.

Ma l’età adulta – anche se fin troppo spesso è solo una data formale – li porterà a confrontarsi con i lati più insondabili del proprio essere, e soprattutto la vita stessa e il destino li metterà alla prova, come capita poi alla maggior parte di noi.

Con uno stile fresco e diretto, che personalmente amo moltissimo, la Perrin ci racconta, attraverso un’efficace destrutturazione temporale, come poter raggiungere la nostra anima e soprattutto come imparare a convivere con noi stessi, cosa troppo spesso davvero complicata.

Così come nel suo precedente libro, la scrittrice usa come ambientazione la provincia francese, ed esattamente una piccola località della Borgogna, e solo come sfondo secondario Parigi, che rimane molto marginale. Un libro profondo, crudo e indimenticabile.

Adesso cara Valérie, non per metterti fretta o pressione, aspettiamo ansiosi la tua prossima opera!

“Cambiare l’acqua ai fiori” di Valérie Perrin

(Edizioni e/o, 2019)

La consapevolezza che solo l’amore possa arginare la devastazione di una morte, per chi resta, è un concetto profondo su cui da sempre artisti raccontano o tentano di raccontare.

Parlare di ciò che lascia la morte improvvisa e “ingiusta” di una persona vicinissima a noi non è affatto semplice però. Raccontare in maniera sincera ed equilibrata le devastanti macerie che rimangono alla fine di una tale tragedia – che per se stessa non può essere equilibrata – è un’impresa molto, ma molto difficile. Soprattutto se non si vuole cadere nella compassione o toccare il patetico.

Ma Valérie Perrin ci riesce benissimo, invece, e ci racconta la dura storia di Violette Trenet – proprio come l’indimenticabile chansonnier – che di mestiere fa la guardiana di un cimitero. Si tratta di un piccolo camposanto nel nord della Francia, dove lei è arrivata molti anni prima assieme a suo marito Philippe.

Così, attraverso il suo racconto e quello di altre donne a lei volontariamente o involontariamente legate, ripercorriamo l’esistenza dell’orfana Violette cresciuta passando in affido da una famiglia all’altra fino alla soglia della maggiore età quando una sera in un locale incontra Philippe Toussaint.

Il fatto di essere un’orfana rifiutata da tutti – a partire dalla sua sconosciuta madre – porta Violette ad accettare il rapporto col futuro marito sbilanciato ovviamente a suo sfavore. Anche quando lei partorirà Léonine e Philippe accetterà di sposarla – soprattutto per non perdere i diritti sulla figlia – il carico quotidiano della casa e del lavoro di casellante – ufficialmente assegnato ad entrambi – spetterà solo a lei, visto che il marito passerà le giornate o a giocare con la sua consolle o in giro sulla sua potente motocicletta. Per non parlare dei sui genitori che non la accetteranno mai come nuora.

Ma la vita non asseconda i sogni e i desideri di tutti e così Violette, Philippe e i suoi genitori dovranno affrontare ciò che il destino ha in serbo per loro. E alla fine riuscirà a sopravvivere solo chi, nonostante ferite strazianti e mai definitivamente cicatrizzabili, affronterà la propria esistenza con limpida sincerità e onesto amore…

Bello e dolorosissimo romanzo della Perrin che ci trascina da pagina a pagina, da parola a parola senza lasciarci un attimo di tregua. Tanto che ogni personaggio, anche quelli più ottusi e negativi, una volta terminato il libro finiscono per mancarci. Una sincera e bellissima riflessione, senza sconti, sulla morte vista e vissuta da quelli che rimangono, così come sono fatti i cimiteri.

D’altronde, poco più di due secoli fa, Ugo Foscolo scriveva:

“All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne

Confortate di pianto è forse il sonno

Della morte men duro?…”