“Mikey & Nicky” di Elaine May

(USA, 1976)

La geniale e poliedrica artista Elaine May – a cui quest’anno è stato assegnato l’Oscar alla carriera – scrive e dirige questa originale e claustrofobica pellicola noir centrata sul rapporto decennale, ma al tempo stesso irrisolto, fra due uomini.

Mickey (Peter Falk) e Nicky (John Cassavetes) si conoscono sin dall’infanzia passata soprattutto per la strada. Così, quando il secondo si è chiuso in una stanza d’albergo per paura di essere freddato dal killer del boss a cui ha rubato dei soldi, l’unico che può chiamare in aiuto è Mickey.

I due inizieranno un lungo viaggio in una cupa e opprimente notte newyorkese cercando di sfuggire alla vendetta del boss, per il quale lavorano entrambi. Ma tutti i nodi del loro rapporto e delle rispettive esistenze verranno al pettine…

Con una scena finale dura come un pugno nello stomaco e le straordinarie interpretazioni dei due protagonisti – amici anche nella vita reale – davvero da Oscar e Golden Globe (ma che invece in tali sedi furono vergognosamente ignorati), “Mickey & Nicky” è un gioiello del cinema americano indipendente degli anni Settanta, di cui – non a caso – lo stesso Cassavetes era l’autore di spicco.

La May ci racconta un mondo tutto al maschile dove le donne, che possono aspirare al massimo a essere mogli o amanti, devono inesorabilmente adattarsi a quello che gli uomini voglio o dicono. Da ricordare, per questo, l’interpretazione di Carol Grace (seconda moglie di Walter Matthau – che con la stessa May dirige nel delizioso “E’ ricca, la sposo e l’ammazzo” solo quale anno prima – nonché amica personale di Truman Capote tanto da aver ispirato, raccontano le cronache del tempo, il personaggio di Holly Golightly, protagonista del suo romanzo “Colazione da Tiffany”) nel ruolo di Nellie, l’amante di Nickey. Nel cast anche un arcigno Ned Beatty.     

Davvero una pellicola insolita e originale, da vedere o rivedere perché sempre molto attuale, anche se nel nostro Paese è assai difficile da reperire, anche nel mondo dell’usato.

Philip Seymour Hoffman

Il corpo dell’attore Philip Seymour Hoffman è stato rivenuto nel bagno di casa sua, ieri a New York, con una siringa nel braccio: un’overdose di eroina.

Su una tragedia del genere c’è poco da aggiungere. Sia chiaro: Hoffman era un uomo fortunato, nel pieno del successo e che a 40 anni aveva vinto già un Oscar e, richiestissimo, poteva permettersi di scegliere il film in cui lavorare. Aveva tutto, ma evidentemente quel tutto non bastava.

Il suo gesto è stato soprattutto quello di un uomo debole e fragile che preferiva evaporare piuttosto che affrontare la realtà. Ma se ne è andato comunque un grande artista, che ci ha regalato splendide emozioni.

Oltre al suo Truman Capote, nell’omonimo film che gli è valso l’Oscar, Philip Seymour Hoffman va ricordato per molti alti ruoli, come quello di Brandt ne “Il grande Lebowski”, che quello del solitario e vile Allen in “Happiness” diretto da Todd Solondz nel 1996, e ancora ingiustamente sottovalutato.

Poi c’è la collaborazione con Paul Thomas Anderson che inizia in “Boogie Nights”, passa per il grande “Magnolia” e “Ubriaco d’amore”, per concludersi con “The Master”. E ci sono altri ruoli, fra i tanti, che meritano di essere ricordati come quello in “I Love Radio Rock“, quello dell’agente “deviato” della C.I.A. Gust Avrakotos nel bellissimo “La guerra di Charlie Wilson” dell’intramontabile Mike Nichols (per il quale Hoffman è stato candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista) e soprattutto quello di Andy, il fratello maggiore ne “Onora il padre e la madre” ultima opera dell’indimenticabile Sidney Lumet.

Cavolo se ci mancherai Philip!