“Anatomia di un rapimento” di Akira Kurosawa

(Giappone, 1963)

Il maestro Akira Kurosawa esplora superbamente il classico noir crime americano, tanto da realizzare un’opera storica e di riferimento per tutto il genere cinematografico, e non solo.

Sceglie il romanzo “Due colpi in uno” pubblicato da Ed McBain nel 1959 e lo ambienta a Tokyo. Così entriamo nella lussuosa villa, che domina un quartiere povero, dell’imprenditore Kingo Gondo (Toshiro Mifune) proprio durante una riunione con gli altri membri del consiglio di amministrazione della National Shoes.

Mentre i suoi colleghi gli propongono di formare una cordata e defenestrare il presidente e fondatore della società, suo figlio Jun gioca nel giardino della villa a cowboy e indiani con Shinichi, il figlio di Aoki, il suo autista. Gondo si rifiuta e caccia i suoi colleghi di casa per poi confidarsi con la moglie Reiko e il suo segretario Kawanishi: ha ipotecato tutte le sue proprietà per comprare segretamente le azioni della National Shoes e diventare lui il nuovo presidente. Ma le parole dell’uomo vengono interrotte dallo squillo del telefono: è uno sconosciuto che dichiara di aver rapito Jun e per liberarlo senza ucciderlo vuole 30 milioni di yen, poco meno della cifra che lo stesso Gondo ha raccolto per la sua scalata.

Appena chiusa la telefonata incredibilmente Jun torna in casa cercando Shinichi. Appare chiaro quindi che il rapitore ha sbagliato bambino e fra le sue mani c’è il figlio di Aoki. Il padrone di casa chiama subito la Polizia che discreta giunge nella villa. Il rapitore richiama ammettendo l’errore, ma se non vuole che il piccolo muoia, anche se non è suo figlio, Gondo deve pagare lo stesso.

L’uomo così si trova davanti a un bivio: o salvare il figlio del suo fidato autista e perdere tutto quello per cui ha lavorato per oltre trent’anni, o diventare presidente della National Shoes ma lasciare morire il piccolo Shinichi. Intanto la Polizia inizia le sue indagini…

Splendida pellicola d’antologia, con un ritmo e una regia indimenticabili. Scritto dallo stesso Kurosawa assieme a Hideo Oguni, Ryuzo Kikushima, Eijiro Hisaita questo film, che ci inchioda alla poltrona ad ogni fotogramma, è di fatto diviso in due: la prima claustrofobica parte si consuma all’interno di villa Gondo, mentre la seconda alla centrale della Polizia e fra i quartieri di Tokyo, anche i più degradati dove il grande cineasta giapponese non ha paura di portare la cinepresa.

Così Kurosawa ci parla anche di una piaga sociale che da noi, in quegli anni, era quasi sconosciuta o peggio tabù: l’eroina e la sua terrificante dipendenza. Arriviamo così alla scena finale, con l’incontro/scontro fra Gondo e il rapitore, davvero memorabile e tragicamente attuale, dove ognuno dei due incarna una parte della società, con le proprie ombre e le proprie luci.

Basta guardarlo anche una sola volta per accorgersi quanto è ancora oggi citato o imitato.

Da vedere.

“La sfida del samurai” di Akira Kurosawa

(Giappone, 1961)

L’amante del genere western e “fordiano” dichiarato – nel senso di appassionato del regista John Ford – Akira Kurosawa nel 1961 realizza uno dei suoi capolavori assoluti ambientando una vicenda classica da Far West nel Giappone della fine dell’Ottocento.

Un ronin senza nome (un grande Toshiro Mifune) fa tappa casualmente, nel suo eterno girovagare, in un piccolo paese dilaniato dalla lotta fra le due yakuza Sebei e Ushitora che lo dominano. Il samurai decide di liberare la piccola popolazione dalla doppia tirannia cercando di mettere le due famiglie una contro l’altra.

Il fratello minore di Ushitora, unico nella regione, possiede una pistola e con quella è convinto di annientare qualsiasi katana. Ma il ronin non la pensa allo stesso modo…

Epica e indimenticabile pellicola che è di fatto una delle vere pietre miliari della cinematografica planetaria, scritta dallo stesso Kurosawa – che proveniva da una famiglia di antichi samurai – e Ryûzô Kikushima. La pellicola viene giustamente premiata alla Mostra del Cinema di Venezia dove Mifune vince la Coppa Volpi per la sua interpretazione e Kurosawa candidato al Leone d’Oro. Il film, però, è rimasto negli annali della storia del cinema anche perché è di fatto la pellicola che ha ispirato Sergio Leone per il suo “Per un pugno di dollari” del 1964.

Probabilmente Leone non pesava che il suo primo film con Clint Eastwood potesse riscuotere un successo così clamoroso in tutto il mondo, e così girò una sorta di remake senza la minima autorizzazione. I produttori fecero causa a Leone alla fine della lite legale fu costretto a stornare a Kurosawa e ai suoi produttori parte dei guadagni e a cedergli i diritti di distribuzione del suo film in Asia.

Questo ovviamente non toglie nulla all’opera di Sergio Leone che rimane comunque un’altra pietra miliare del cinema mondiale, visto poi che se la storia e alcuni particolari sono davvero molto simili (Mifune appare per la maggior parte del film con uno stecchino in bocca, che diventa un sigaro per Eastwood; così come lo scontro epico fra katana e pistola di Kurosawa, si trasforma in pistola e fucile per Leone) la potenza visiva di Leone è ancora oggi difficilmente eguagliabile (per non parlare delle musiche del maestro Morricone).

Da vedere, che amiate il sushi o gli spaghetti …western.