“Mary e il fiore della strega” di Hiromasa Yonebayashi

(Giappone, 2017)

E’ arrivato – purtroppo per pochissimi giorni – nelle nostre sale “Mary e il fiore della strega”, lungometraggio giapponese nella grande tradizione della cinematografia più classica del maestro Hayao Miyazaki.

Il regista quarantenne Hiromasa Yonebayashi è infatti della scuola dello Studio Ghibili, e si ispira al romanzo “La piccola scopa” dell’inglese Mary Stewart per portarci in un mondo fantastico e allo stesso tempo in grave pericolo.

La piccola Mary detesta i suoi capelli rossi “pel di carota” e mentre i suoi genitori stanno terminando il trasloco, lei si è già trasferita nella grande magione rossa dove vive la sua anziana prozia Charlotte. Un pomeriggio, vagando per la foresta che circonda la grande casa della prozia…

102 minuti nel segno della fantasia più pura e incontenibile, proprio nel solco dello Studio Ghibli e del suo autore più famoso. Numerose, infatti, sono le citazioni e gli omaggi che Yonebayashi fa al suo maestro: da “Kiki consegne a domcilio” a “La città incantata”.

Davvero un piccolo gioiello d’animazione.

“I sospiri del mio cuore” di Yoshifumi Kondō

(Giappone, 1995)

Questo struggente film diretto da Yoshifumi Kondō e scritto da Hayao Miyazaki, è ispirato al manga per ragazze “Sospiri del cuore” di Aoi Hiiragi. Prodotto e realizzato dallo Studio Ghibli, nasce da un’idea dello stesso Miyazaki.

Il maestro del cinema d’animazione giapponese è stato sempre attento al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, e la sua sensibilità si respira tutta in questa bellissima pellicola.

Shizuku è una stundetessa delle medie in vacanze per l’estate. La sua passione è la lettura e così si reca quasi ogni giorno nella biblioteca civica della città o in quella della sua scuola per prendere sempre nuovi libri in prestito.

Casualmente si accorge che un certo Seiji Amasawa ha preso sempre prima tutti i libri che lei chiede in prestito. Intanto, una mattina incontra casualmente un gatto che la porta in un particolarissimo negozio di antiquariato dove è esposta, tra le altre cose originali, una statuetta rappresentante un gatto antropomorfo che si chiama Baron. La strana magia che ruota intorno al gatto cambierà la sua esistenza facendole decidere di diventare scrittrice e permettendole di incontrare il nipote dell’antiquario…

Stupenda pellicola di formazione su un’età così particolare. Da ricordare anche la canzone “Take Me Home, Country Road” di John Denver che la stessa Shizuku tenta più volte di tradurre e adattare in giapponese.

Nel 2002 viene realizzato sempre dallo Studio Ghibli lo spin-off “La ricompensa del gatto” ispirato al gatto Baron di questo film.

“La città incantata” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 2001)

Questo stupendo lungometraggio ha, fra gli altri, il merito di aver fatto conoscere al mondo interno il genio del maestro Hayao Miyazaki.

La vicenda della piccola Chihiro che, a causa della sventatezza dei suoi genitori, deve crescere in pochissimo tempo, è una delle storie di formazione più belle mai apparse sul grande schermo.

Il maestro Miyazaki – che firma anche la sceneggiatura ispirandosi al romanzo per ragazzi “Il meraviglioso paese oltre la nebbia” della scrittrice Sachiko Kashiwaba pubblicato la prima volte nel 1987 – ci porta nel suo regno fantastico (forse il più affascinante da lui creato) che ha le sue regole ferree alle quali nessuno, neanche la potente strega Yubaba, può alla fine sottrarsi. Soltanto il grande cuore di Chihiro e la sua umiltà – due qualità giustamente molto apprezzate nel Paese del Sol Levante – potranno sconfiggere i terribili sortilegi…

Senza doverci pensare troppo, trovo sempre un ottimo motivo per rivedere un film del genio giapponese, e “La città incantata” è uno dei miei preferiti. Ogni volta che lo rivedo i miei occhi e la mia anima godono letteralmente della sua bellezza. Come tutte le opere di Miyazaki, anche questa è poesia pura animata.

Vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino – prima volta nella storia degli anime – e dell’Oscar come Miglior Film Straniero.

Per la chicca: il lampione saltellante che accoglie Chihiro dopo essere scesa dal treno, e l’accompagna alla casa della strega Zeniba, è un dichiarato omaggio alla lampada da tavolo simbolo della Pixar, i cui film sono molti amati da Miyazaki. Un genio in tutti i sensi!

Da tenere, gelosamente, nella propria videoteca.

“Il castello nel cielo” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 1986)

Questo splendido lungometraggio animato è il primo prodotto dallo Studio Ghibli. I due maestri del cinema d’animazione giapponese Hayao Miyazaki e Isao Takahata fondarono quella che poi sarebbe diventata una delle case cinematografiche più rilevanti del mondo dei cartoni animati, proprio per realizzare questa storia ispirata a un breve racconto presente ne “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift. Miyazaki si occupa del soggetto, della sceneggiatura e della regia, mentre Takahata lo produce.

La piccola contadina orfana Sheeta è stata rapita da un gruppo di eleganti quanto volitivi sconosciuti, che le hanno confiscato la pietra azzurra che portava al collo. Pietra che appartiene alla sua famiglia da numerose generazioni. Siamo in quella che potrebbe essere l’Europa negli anni Venti del secolo scorso – periodo tanto amato da Miyazaki – dove però l’aeronautica ha avuto uno sviluppo incredibile. Per questo i rapitori di Sheeta viaggiano su un’enorme aeronave, che improvvisamente viene attaccata da un gruppo di pirati volanti comandanti da Dola, una “signora” decisa e senza scrupoli.

Nel tentativo di fuggire dai suoi rapitori e dai pirati, Sheeta cade nel vuoto. Quando tutto sembra perduto, la pietra azzurra che porta al collo – pietra che prima di fuggire la ragazzina è riuscita a recuperare – illuminandosi la fa lievitare nel vuoto, frenando la sua caduta e facendola atterrare nei pressi della miniera dove lavora il suo coetaneo Pazu. Ed è proprio la pietra azzurra al centro di una feroce caccia in cui sono stati coinvolti, loro malgrado, i due ragazzini…

Poesia animata allo stato puro grazie alla quale Miyazaki ci ricorda il potere terribile delle armi e la devastazione materiale e morale che lascia ogni tipo di guerra.

Da vedere e tenere nella propria videoteca.

“Pom Poko” di Isao Takahata

(Giappone, 1994)

Il Tanuki è un animale leggendario nell’antica cultura giapponese, protagonista di molti racconti e fiabe, che si ispira al vero cane procione tipico proprio dell’Estremo Oriente.

Partendo di un’idea del maestro Hayao Miyazaki, il suo stretto collaboratore – nonché autore di vari capolavori firmati dallo Studio Ghibli come “La storia della principessa splendete”, “I miei vicini Yamada” o “La tomba per le lucciole” – Isao Takahata gira “Pom Poko”, un bel film d’animazione divertente e malinconico allo stesso tempo.

L’idea di Miyazaki prende spunto, a sua volta, da un racconto del poeta, scrittore per ragazzi e agronomo giapponese Kenji Miyazawa (1896-1933), fra le figure più influenti della cultura nipponica del primo Novecento.

Alla fine degli anni Sessanta la collina Tama, situata alla periferia di Tokyo, viene fatta oggetto del progetto di sviluppo urbanistico “New Town” che, per rispondere alla grande richiesta abitativa della capitale giapponese, prevede la costruzione di un enorme quartiere dormitorio. Ciò, purtroppo, a scapito della Natura e di tutti gli animali che da secoli la abitano, come i Tanuki. Ma questi particolari animali, maestri nella secolare arte del mutaforma e del travestimento, non ci stanno e ingaggiano una dura battaglia senza esclusione di colpi contro gli esseri umani…

Splendida metafora della corruzione dell’antica cultura contadina da parte di quella industriale arrogante, superficiale e materiale. Paragonabile, sotto molti punti di vista, al nostro immortale “Il sorpasso” di Dino Risi, “Pom Poko” è un film che a differenza di molti altri prodotti dallo Studio Ghibli, è realizzato quasi esclusivamente per il pubblico giapponese, e per questo è anche un prezioso documento sulla cultura e la vita sociale nipponica.

Come tutti le altre opere firmate Studio Ghibli, da tenere nella propria videoteca.

“Father and Daughter” di Michaël Dudok de Wit

(Olanda/Belgio /UK, 2000)

Michaël Dudok de Wit, regista dello splendido “La Tartaruga Rossa” prodotto dallo Studio Ghibli, nel 2000 realizza questo bellissimo cortometraggio che si aggiudica l’Oscar nel 2001, oltre a decine di altri premi prestigiosi in tutto il mondo.

Tra i numerosi modi di descrivere un rapporto irrisolto fra padre e figlia, quello scelto dal regista olandese è sicuramente uno dei più belli e suggestivi.

Un padre e la sua piccola figlia pedalano in bicicletta in una luminosa campagna, che ricorda molto quella olandese. Ad un certo punto il padre si accosta e scende sulla riva di quello che sembra un immenso mare. La bambina lo segue, ma il padre la ferma e la saluta affettuosamente, per poi salire su una piccola barca e in solitudine prendere il largo. La piccola rimane ad osservare l’orizzonte per tutto il giorno, fino a quando non è costretta a risalire in bicicletta e tornare a casa. Tutti i giorni successivi, in tutte le stagioni, crescendo e diventando ragazza, donna, madre e poi anche nonna, torna nel posto da cui il padre è salpato sperando di incontrarlo, fino a quando…

Poco più di otto minuti di vera e propria poesia animata, struggente e delicata. Per tutti i papà e le loro piccole principesse. Ovviamente, è impossibile trovarlo sul mercato, ma per fortuna c’è Youtube!

Nel 2015 lo stesso Dudoc de Wit pubblica il romanzo grafico.

“La Tartaruga Rossa” di Michaël Dudok de Wit

(Francia/Belgio/Giappone, 2016)

L’olandese Michaël Dudok de Wit (che nel 2001 ha vinto l’Oscar per il miglior cortometraggio d’animazione con il bellissimo “Father and Doughter”) nel corso dei decenni, ha collaborato alla realizzazione di alcuni famosi film d’animazione prodotti dalla Disney.

Dopo aver scritto il soggetto de “La Tartaruga Rossa”, ne scrive la sceneggiatura insieme a Pascale Ferran, e riesce a creare una coproduzione internazionale che si appoggia direttamente allo Studio Ghibli. Come produttore e direttore artistico c’è Isao Takahata, antico collaboratore del maestro Hayao Miyazaki, e autore, fra gli altri, de “La storia della Principessa Splendente” del 2013.

Un uomo sopravvive al naufragio della sua barca e si ritrova sulla spiaggia di una piccola isola sperduta nell’immenso oceano. Inizia l’esplorazione del suo nuovo mondo fatto principalmente di una foresta di bambù, una pozza di acqua potabile e alti scogli pericolosi. C’è tutto quello che può farlo sopravvivere senza troppa fatica.

Ma, dopo qualche tempo, la solitudine lo porta a costruire una barca di fortuna per tornare a casa. Il mare è liscio come l’olio e il viaggio sembra iniziare sotto i migliori auspici, ma qualcosa colpisce ripetutamente la zattera fino a distruggerla. L’uomo, che non ha capito cosa è successo, è costretto a tornare a riva. Al terzo tentativo e al terzo naufrago finalmente vede cosa, o meglio chi, gli distrugge tutte le volte la zattera: un’enorme tartaruga rossa che gli si avvicina fissandolo, per poi allontanarsi negli abissi.

L’uomo, disperato e sconfitto, torna sull’isolotto. E proprio quando crede di non avere più speranze, scorge il grande rettile uscire dall’acqua e arrancare sulla sabbia. Fulmineo lo raggiunge e lo capovolge. L’inaspettato trionfo lo incoraggia a costruire una nuova e più grande zattera, proprio accanto alla sua nemica sconfitta. Dopo ore passate sotto il sole cocente, l’uomo si rende conto che la tartaruga non si muove più, e invaso dal senso di colpa la idrata. Ma l’animale non sembra riprendersi, e così l’uomo le costruisce sopra un tetto, fatto di rami, per proteggerla dal sole. Quando tutto sembra inutile, la tartaruga si trasforma in una bellissima ragazza dalla folta e lunga chioma rossa…

Poesia cinematografica pura. Una splendida riflessione sul significato della vita e sull’amore, fatta di immagini e suoni, senza una parola di dialogo. Imperdibile.

Candidato all’Oscar come miglior film d’animazione.

“I miei vicini Yamada” di Isao Takahata

(Giappone, 1999)

Questo particolare lungometraggio animato, prodotto dallo Studio Ghibli nel 1999, è ispirato al manga yonkoma (di quattro vignette) “Nono-chandi Hisaichi Ishii.

Il maestro Isao Takahaka (regista degli splendidi “Una tomba per le lucciole“, “Pom-Poko“, “Pioggia di ricordi” e “La storia della principessa splendente“) adatta per il grande schermo una delle più famose strisce umoristiche che più divertono i giapponesi.

I disegni sono quasi accennati, scarni sono i fondali e l’essenziale visivo è legato all’azione del breve episodio raccontato. Attraverso una lunga serie di piccole storie quotidiane, concatenate le une alle altre, assistiamo alla vita di tutti i giorni degli Yamada, tipica famiglia della Tokyo di oggi, e dei suoi cinque membri: nonna Shinge, papà Yakashi, mamma Matsuko, il figlio adolescente Noboru e la piccola Nonoko.

Se volete davvero conoscere la vita comune di una classica famiglia giapponese questo è il film per voi. Non sono molte le pellicole che riescono a mostrare la vera anima dello stile di vita nel Sol Levante, e se ci aggiungiamo poi che è firmato da uno dei maestri dello Studio Ghibli… da vedere.

“La ricompensa del gatto” di Hiroyuki Morita

(Giappone, 2002)

La Lucky Red di Andrea Occhipinti – fra i più oculati e attenti distributori italiani – cura, per il nostro benessere intellettuale ed emotivo, una splendida nuova – e purtroppo molto breve – uscita nelle nostre sale dei capolavori prodotti dallo Studio Ghibli nel corso degli ultimi trent’anni.

Ieri e oggi tocca a “La ricompensa del gatto” di Hiroyuki Morita, vero e proprio spin-off dell’altrettanto splendido “I sospiri del mio cuore” diretto da Yoshifumi Kondō e scritto da Hayao Miyazaki e ispirato al manga per ragazze “Sospiri del cuore” di Aoi Hiiragi.

Ed è lo stesso Miyazaki ad avere l’idea per un cortometraggio che poi si svilupperà in un lungometraggio di cui curerà il progetto ed affiderà la regia a Hiroyuki Morita.

Haru è un’adolescente goffa e solitaria che spesso si caccia in situazioni scomode e imbarazzanti. Un pomeriggio, mentre torna a casa dalla scuola, salva eroicamente un gatto che sta per essere investito da un camion.

La notte stessa, davanti alla sua porta, si ferma un imponente corteo di gatti che camminano sulle zampe posteriori. E’ il corteo reale condotto dal re dei gatti in persona venuto a ringraziarla per aver salvato la vita al suo unico figlio.

Come ricompensa Haru dovrà sposare lo stesso principe ereditario e vivere per sempre nel paese dei felini. Confusa e preoccupata Haru cerca qualcuno che le creda e, soprattutto, l’aiuti. L’unico che sembra poterlo fare è il gatto Baron…

Bellissimo, da far vedere a scuola, e immancabile per chi ama il maestro giapponese e gli animali.

“Pioggia di ricordi” di Isao Takahata

(Giappone, 1991)

Questo splendido film del maestro Isao Takahata (autore fra gli altri del sublime “La storia della principessa splendente”) risale addirittura a venticinque anni fa, ma potrebbe essere uscito tranquillamente nelle sale solo la scorsa settimana.

1982, Taeko è una ragazza di 27 anni che lavora alacremente come impiegata in una grande azienda di Tokyo. Single, decide di trascorrere le due settimane di vacanze che le spettano in campagna, ospite della famiglia del fratello di suo cognato – il marito di una delle sue sorelle maggiori – dedita alla coltivazione del cartamo, fiore basico per la creazioni di cosmetici tradizionali.

Alla stazione viene a prenderla Toshio, un cugino del cognato, che aveva visto prima solo un paio di volte. Il duro lavoro nei campi e l’ambiente sereno della campagna portano Taeko a riflettere sulla sua vita frenetica nella città in cui è spesso schiacciata dal lavoro impiegatizio, ma soprattutto a ricordare momenti salienti, spesso felici e a volte tristi, della sua infanzia, confrontandosi anche con Toshio.

Alla fine della vacanza Taeko sarà costretta a fare i conti con la parte dei sogni che aveva da bambina e che non ha potuto o voluto realizzare. Alla stazione – in una bellissima ed emozionante scena finale – Taeko farà la sua scelta…

Per la sua trama insolita per i tempi, “Pioggia d ricordi”, prodotto dallo studio Ghibli, è considerato – giustamente – la pellicola spartiacque degli anime, aprendo un filone intimista e dedicato interamente alla donne che prima era impensabile per un film d’animazione.

Per palati fini e romantici.