“Ready Player One” di Steven Spielberg

(USA, 2018)

Del romanzo “Ready Player One” di Ernest Cline ne ho parlato nel luglio del 2014, anticipando poi che la Warner Bros aveva comprato i diritti e avviato la produzione.

Ma allora ignoravo che la regia sarebbe stata affidata a uno dei geni di Hollywood come Steven Spielberg. E chi meglio di lui, icona vivente degli anni Ottanta, avrebbe potuto portarlo meglio sulla schermo?

Sulla trama, visto che è fedele al libro, non aggiungo nulla, ma se la vuoi leggere poi andare direttamente al post sul libro.

Il film invece è scritto dallo stesso Cline insieme a Zak Penn e ci regala delle sequenze davvero incredibili, frutto della tecnologia digitale più all’avanguardia e della mano unica di Spielberg.

Per gli appassionati degli anni Ottanta come me, forse il film è un pò troppo alla “Trasformer” o “Avangers” (di cui Penn è stato davvero sceneggiatore), mentre il libro è più centrato sulle emozioni dei protagonisti che si rispecchiano in OASIS, creato da un vero “feticista” degli anni Ottanta. Ma Spielberg è sempre Spielberg…

“Indiana Jones e l’ultima crociata” di Steven Spielberg

(USA, 1988)

Come già scritto parlando de “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta“, questo “Indiana Jones e l’ultima crociata” è l’unico sequel davvero straordinario della serie dedicata all’archeologo più famoso del cinema.

Scritto da George Lucas insieme all’olandese Menno Meyjes (candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale de “Il colore viola” di Spielberg) questo film consacra definitivamente il mito del professor Henry Jones Jr..

Conosciamo finalmente il professor Henry Jones Senior, che non poteva essere interpretato magistralmente che da Sean Connery (il primo grande 007, personaggio al quale gli stessi Spielberg e Lucas si ispirarono per scrivere “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta”) che incarna splendidamente il classico “topo di biblioteca” incapace e inadatto a qualsiasi tipo di azione, la vera e propria antitesi del figlio.

Ma non solo, nelle prime scene del film incontriamo il giovane Indiana Jones (interpretato da River Phoenix) nel momento in cui inizia a usare la frusta – che gli causa la cicatrice al mento che lo stesso Ford ha davvero nella vita reale – e soprattutto indossa per la prima volta il suo famoso cappello.

E nella scena finale conosciamo finalmente la storia del suo strano nome. Il tutto mentre siamo sulle tracce di una delle leggende e dei miti più famosi della civiltà umana: il Santo Graal.

Con sequenze mozzafiato, scene ed effetti speciali che ancora fanno colpo, la terza avventura di Indiana Jones è fra i migliori film d’azione mai realizzati, grazie anche alla profonda ironia che permea ogni scena, soprattutto quelle che mostrano il rapporto complicato e al tempo stesso spassoso fra padre e figlio Jones.

E pensare che all’anagrafe Sean Connery e Harrison Ford hanno meno di dodici anni di differenza. Potere del cinema e dei grandi attori…

Peter Falk

Il 16 settembre del 1927 nasce a New York Peter Michael Falk in una famiglia ebraica di origini polacche, russe, ungheresi e ceche. A tre anni, a causa di una grave patologia oculare, il piccolo Peter subisce l’asportazione dell’occhio destro. L’evento cambia per sempre i suoi connotati e sembra stridere con la futura carriera d’attore. Ma proprio quello strano e particolare sguardo diventerà il suo tratto distintivo.

Gli inizi però non sono semplici. Durante un casting, per esempio, il fondatore della Columbia Pictures Harry Cohn lo boccia dicendo una frase che lo stesso Falk ricorderà spesso: “Con gli stessi soldi posso avere un attore con due occhi”.

Ad accorgersi delle possibilità recitative di Falk non è il cinema ma la televisione. L’attore newyorkese, infatti, approda alla fine degli anni Cinquanta in alcune delle serie tv che di fatto faranno la storia della fiction americana come “Alfred Hitchcock presenta” e “Ai confini della realtà”.

Grazie all’esperienza acquisita e alla sua bravura nel 1961 Frank Capra lo sceglie per il suo “Angeli con la pistola”, nel ruolo secondario di Carmelo. Così, nonostante le origini mitteleuropee, Peter Falk diventa famoso al grande pubblico come il classico immigrato italiano di “Broccolino”.

Seguono numerosi ruoli secondari nei panni di personaggi sulla linea di Carmelo in film come “Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo” di Stanley Kramer (1963) o “La grande corsa” di Blake Edwards (1965).  

Ma è nuovamente il piccolo schermo a dare a Falk l’occasione giusta, quella per diventare finalmente protagonista assoluto. Nel 1968 gira il pilota della serie poliziesca “Columbo” (che da noi diventa “Colombo”) in cui interpreta un tenente italoamericano (…sob!) della squadra omicidi del LAPD, dall’incredibile intelligenza deduttiva nonostante l’aspetto trasandato e distratto.

Nel 1971, dopo un secondo pilota, viene prodotta definitivamente la prima serie, e a dirigere il primo episodio viene chiamato un giovanissimo e sconosciuto Steven Spielberg. Il successo è clamoroso, tanto da portare la produzione a realizzare sette stagioni consecutive, quattro film direttamente per il grande schermo e uno spin-off dal titolo “Mrs. Columbo” dedicato alle (improbabili…) imprese investigative della “fantomatica” moglie del tenente.

Sul set della serie Falk ha modo di conoscere John Cassavetes (omicida nella puntata “Concerto con delitto”) maestro del cinema indipendente americano che per produrre i suoi film recita (è il protagonista, per esempio, del mitico “Contratto per uccidere” del maestro Don Siegel). Falk così partecipa a ottime pellicole come “Mariti”, “Una moglie” e “La sera della prima” tutte dirette dall’amico Cassavetes.

Il successo televisivo permette a Falk di scegliere i ruoli per il grande schermo e lui, da grande attore, passa con bravura da quelli più drammatici dei film di Cassavetes a quelli tipici della commedia come in “Invito a cena con delitto” (1976) di Robert Moore, “Mikey e Nicky” (1976) della grande Elaine May , “Una strana coppia di suoceri” (1979) di Arthur Hiller o quello del vecchio manager nel bellissimo “California Dolls” (1981) di Robert Aldrich. Ma Falk si cimenta anche nel poliziesco con l’avvincente “Pollice da scasso” (1978) di William Friedkin.

Nel 1987 Wim Wenders lo vuole nel suo sublime “Il cielo sopra Berlino” e nel sequel “Così lontano, così vicino” del 1993. Sempre nel 1987 Falk partecipa a un fantasy che all’uscita nelle sale non ottiene un particolare riscontro ma che oggi è diventato un vero e proprio cult: “La storia fantastica” diretto da Rob Reiner.

Nel 1996 è accanto a Woody Allen nel film per la tv “I ragazzi irresistibili”, nuovo adattamento della famosa commedia di Neil Simon, diretto da John Erman.

Nel frattempo, dal 1989, Falk è tornato a vestire i panni del tenente Colombo nelle nuove stagioni che riscuotono sempre un buon successo di pubblico. Nel 2003 le avventure di Colombo si chiudono definitivamente e l’attore dirada i suoi impegni lavorativi a causa di ricorrenti amnesie.

Nel 2008 gli viene diagnosticato definitivamente il morbo di Alzheimer, e l’attore si ritira nella sua villa di Beverly Hills. Purtroppo le sue ultime immagini pubbliche vengono catturate da alcuni fotografi mentre è in strada smarrito, prigioniero e sfigurato dalla malattia degenerativa. Peter Falk muore poco dopo, il 23 giungo del 2011.

Chiamarlo caratterista è davvero troppo riduttivo, visto che è stato uno dei volti più noti del cinema e della televisione del Novecento. Se è vero che Falk deve molto al piccolo schermo, è vero anche che la sua bravura e la sua classe hanno contribuito a nobilitare la fiction televisiva.

Infine, è giusto ricordare Giampiero Albertini, indimenticabile voce italiana di Falk e del tenente Colombo fino al 1991.  

“Stranger Things” di Matt Duffer e Ross Duffer

(USA, 2016)

Normalmente si associano gli anni Ottanta ai capelli cotonati, ai piumini, agli orecchini a cerchi, alle maniche a palloncino o alle spalline abnormi, e – …poveri noi –  alle scarpe ballerine (teribbili!). Ma negli anni Ottanta, fortunatamente, ci sono state anche altre cose. Come i film di Steven Spielberg o i grandi romanzi di Stephen King. E proprio a questi due grandi autori visionari, i fratelli Duffer si sono ispirati per realizzare questa serie tv prodotta da Netflix.

Ispirandosi anche alle atmosfere dello splendido “Super 8” di J.J. Abrams – altro grande omaggio a quegli anni – i Duffer ci portano a Hawinks, una piccola cittadina dell’Indiana, esattamente il 6 novembre del 1983, il giorno in cui scompare il dodicenne Will Byers (primo grande e irresistibile omaggione a “IT” di King).

Sulla piccola località cala l’ombra di qualcosa di oscuro e “straniero” che proviene da un laboratorio governativo segreto situato nelle vicinanze (e qui “L’ombra dello Scorpione” dove me la mettete?!) il cui responsabile è il dottor Martin Brenner (un Matthew Modine truccato da assomigliare tanto a Keys/Peter Coyote di “E.T. – L’’Extraterrestre”). Scattano le ricerche del piccolo, quelle ufficiali guidate dallo sceriffo Jim Hopper (David Harbour), mentre quelle personali da Joyce Byers (Winona Ryder) e da Jonathan (Charlie Heaton), rispettivamente madre e fratello di Will.

Le più fruttuose però sembrano essere quelle condotte da Mike, Dustin e Lucas (di nome non di cognome…) i tre compagni di scuola e amici del cuore del ragazzino (che vivono in simbiosi alle loro biciclette …eddaje!), che si imbattono in una strana e silenziosa loro coetanea. Ma tutti, comunque, troveranno misteri, enigmi e false piste fino a quando…

Godibilissima serie per amanti del brivido e amatori dei cult di trent’anni fa. Tanto per fare qualche esempio, nella camera di uno dei protagonisti c’è appesa al muro la locandina di “Dark Crystal” di Jim Henson e Frank Oz. Oppure un poliziotto di guardia legge distrattamente un libro con sulla quarta di copertina la foto di un giovanissimo Stephen King. Per arrivare al titolo del IV episodio “The Body”, esattamente come quello originale del racconto dello stesso King da cui è stato tratto il film “Stand By Me – Ricordo di un’estate” di Rob Reiner. E basta, altrimenti non la smetto più e vi parlo anche delle citazioni dal piccolo cult “Scarlatti – Il thriller” diretto da Frank LaLoggia nel 1988.

Se Steven Spielberg, in un’intervista di allora, affermò che “E.T. – L’extraterrestre” era ciò che lui sognava di vivere con un alieno, mentre “Poltergeist – Demoniache presenze“ (da lui scritto ufficialmente, e co-diretto ufficiosamente) era quello che invece temeva di vivere con una forma aliena, “Stranger Things” è la risposta…

Per la chicca: sigla di testa davvero anni …Ottanta paura!

“Indiana Jones e predatori dell’arca perduta” di Steven Spielberg

(USA, 1981)

Se all’incirca il 13% dei maggiori blockbuster hollywoodiani porta la firma di Steven Spielberg e George Lucas ci sarà un motivo!

E quando il primo decide di realizzare un’idea del secondo, le cose diventano ancora più spettacolari, e “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta” è il migliore degli esempi.

Spielberg riesce a portare sul grande schermo la storia geniale creata da Lucas, scritta insieme a Philip Kaufman e Lawrence Kasdan, sul professore universitario e archeologo d’azione che deve combattere i nazisti, creando un nuovo linguaggio visivo che cambia per sempre il cinema d’avventura.

Il tutto farcito con una deliziosa e sorniona ironia che con il passare degli anni non perde un colpo.

Non voglio parlare dei sequel, fra cui l’unico all’altezza è “Indiana Jones e l’ultima crociata”, per non rovinare tutto (del quarto merita un pensiero solo l’affascinante caschetto nero della bella e crudele Cate Blanchett).

E pensare che per il ruolo da protagonista Spielberg voleva Tom Selleck, che però si era appena impegnato in maniera esclusiva nella serie “Magnum P.I.”, e Harrison Ford fu una sorta di “ripiego” suggerito da Lucas…

Quanto questo film ha inciso nell’immaginario collettivo? …Dopo averlo visto, dite la verità, i ruderi maya non sono più gli stessi!

“Mignolo col Prof”

(USA, 1995/1998)

Questa serie di cartoni animati (il cui titolo originale è “Pinky and the Brain”), prodotta da Steven Spielberg, è una fra le più geniali di questi ultimi anni, ed è stata più volte ispiratrice e citata in altrettante serie cartoons di successo.

Mignolo e il Prof sono due cavie da laboratorio frutto di numerosi esperimenti e per questo geneticamente modificati: uno, il Prof, è letteralmente un genio, mentre l’altro, Mignolo, è stupido oltre ogni limite.

Ma il motore delle serie non è questo, è la brama di conquistare il mondo da parte del Prof che ogni sera concepisce un piano diabolico per diventare il signore assoluto della Terra.

Ogni piano è davvero geniale ed efficace, ma fatalmente ogni volta fallisce per un piccolo e trascurabile dettaglio, e più spesso per l’incapacità di Mignolo.

In ogni puntata ci si sbellica di gusto, con battute e citazioni del grande cinema da cinefili d’annata.

Peccato che questa serie, paragonabile in tutto e per tutto agli immensi Simpson, nel nostro Paese sia stata trasmessa dalla Rai la mattina presto, pensandola adatta al target dei bambini che si preparano ad andare a scuola.

Sob…

“Schindler’s List” di Steven Spielberg

(USA, 1993)

“…Basta fare finta di niente” è la risposta che dava Primo Levi a chi gli chiedeva come alcuni esseri umani siano potuti arrivare a fare indisturbati cose così terrificanti come quelle che fecero i nazi-fascisti nell’Olocausto.

E per evitare che questo possa ripetersi c’è solo un grande e doloroso metodo: ricordare.

Oggi “Giornata della Memoria” delle vittime della Shoah, come e più che negli altri giorni dell’anno, è un dovere rivivere quella che è stata forse la vergogna più grande della nostra specie. E per farlo il film diretto da Spielberg può aiutarci come poche altre pellicole.

La sua potenza narrativa è talmente forte che anche il grande Stanley Kubrick, che per decenni ha avuto in testa l‘idea di realizzare un suo film sulla Shoah, appena visto abbandonò il progetto: trovava impossibile aggiungere qualcosa all’Olocausto raccontato da Spielberg.

Senza passato non c’è futuro.

“The Blues Brothers – I fratelli Blues” di John Landis

(USA, 1980)

Su questo capolavoro inossidabile che va dal musical alla commedia surreale è stato detto tanto. Ma mai abbastanza!

Oltre a incoronare definitivamente John  Belushi icona immortale di una generazione, questa pellicola diretta da Landis concilia quella stessa nuova generazione con un genere musicale che allora sembrava adatto solo alle precedenti epoche.

Oltre ai grandi interpreti, la grande musica e alcune spettacolari sequenze, il film è scritto davvero alla grande (la sceneggiatura è firmata da Dan Aykroyd e lo stesso John Landis), e anche per questo rimane immortale come i suoi due protagonisti  “Joilet” Jake ed Elwood Blues.

Grande piccolo cameo di Steven Spielberg nei panni dell’impiegato che alla fine emette la benedetta fattura per salvare l’orfanotrofio e di Frank Oz che, all’inizio, riconsegna gli effetti personali a Jake prima che questo esca dal penitenziario.

Immortale.

“Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis

(USA, 1985)

Pochi film hanno rappresentato davvero i sogni della generazione che a metà degli anni Ottanta usciva dall’adolescenza come “Ritorno al futuro”.

Con una sceneggiatura ad orologeria – scritta dallo stesso Zemeckis insieme a Bob Gale (già autore dello script di “1941: allarme a Hollywood” diretto da Spielberg nel 1979) e candidata all’Oscar (battuta da quella di “Witness – Il testimone” di Peter Weir, che adoro ma che secondo me non possiede la deliziosa e magica “perfezione” di quella di Zemeckis e Gale), “Ritorno al futuro” è uno dei classici dieci film da portare sull’isola deserta.

Ogni volta che lo rivedi scopri una nuova chicca, per non parlare poi della colonna sonora.

Rifiutato dalla Disney per il bacio “incestuoso” (e ci vuole tanta buona volontà per chiamarlo bacio) fra Marty (il grande Michael J. Fox) e sua madre Lorraine (Lea Thompson) il film in poche settimane diventa una dei maggiori incassi dell’Amblin Entertainment di Steven Spielberg, consacrando giustamente Zemeckis come uno dei più importanti registi della nuova generazione.

Visto l’enorme successo, la produzione decise di girare due sequel e – grande novità per i tempi – avviare un’unica produzione senza aspettare l’esito del botteghino.

Molto più divertente il III, ambientato nel Far West, che il II ambientato in un cupo futuro, ma nessuno dei due è all’altezza del primo.

E che dire delle svariate invenzioni futuristiche che col passare del tempo si sono concretizzate, come le scarpe a chiusura automatica…

Intramontabile.

“Sugarland Express” di Steven Spielberg

(USA, 1974)

Lo so che ci sono tanti film molto più famosi di Spielberg ma questo, diretto dal grande regista a 28 anni e suo esordio ufficiale al cinema – “Duel” del 1971 nasce come film per la TV – è davvero da rivedere.

Vero e proprio road-movie, che incarna a pieno lo spirito free degli anni Sessanta e il suo inesorabile naufragio, con delle sequenze spettacolari “Sugarland Express” racconta la triste storia di una coppia di giovani (interpretati da Goldie Hawn e William Atherthon) sbandati che vuole riprendersi il loro piccolo figlio portatogli via dai servizi sociali.

La loro ingenuità, mista all’incapacità di rapportarsi con la dura realtà, trasformerà la loro fuga in un viaggio senza ritorno. “Thelma & Louise” di Ridley Scott, non sarebbe stato lo stesso senza questa pellicola girata quasi vent’anni prima.