“Call Jane” di Phyllis Nagy

(USA, 2022)

Nell’estate del 1968 l’eco della contestazione arriva anche in casa di Joy (una bravissima Elizabeth Banks) classica e iconica casalinga della middle class americana degli anni Sessanta, con tanto di vicina e migliore amica Lana (Kate Mara) anche lei casalinga. Joy e suo marito Will (Chris Messina), nonostante abbiano una figlia quindicenne, si sentono molto lontani dall’aria di rivoluzione che si respira per le strade, ma gli eventi faranno loro cambiare idea.

Joy, infatti, è in felice attesa del suo secondo genito ma quando le viene diagnosticata una grave e letale cardiopatia, dovuta proprio alla gravidanza, è costretta a rivedere la visione del mondo che ha sempre avuto. Perché negli Stati Uniti, nel 1968, l’aborto è illegale e punito severamente dalla legge. Il suo ginecologo le propone di presentare il caso al Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale che potrebbe accettare la sua richiesta per i gravi motivi di salute.

Ma il CdA dell’istituto sanitario, composto naturalmente da soli uomini, rigetta la richiesta visto che il bambino nascerà molto probabilmente senza problemi, anche se lei ha solo il 50% di possibilità di sopravvivere al parto.

Il ginecologo le propone allora di chiedere la semi infermità mentale dichiarando di avere pensieri suicidi, cosa che però le viene nuovamente rifiutata. Oltre a “lasciarsi” cadere dalle scale, come le suggerisce la segretaria di un ginecologo consultato, a Joy non rimane che l’aborto clandestino. Aborto a cui deve pensare da sola visto che Will, che è un giovane avvocato in ascesa, non sembra riuscire a trovare un’altra soluzione.

Ma appena entrata nello squallido e lercio appartamento in cui trova alcune altre donne nella sua stessa disperata situazione, Joy non resiste e fugge via. In strada, travolta dai singhiozzi, la donna intravede un piccolo manifesto attaccato al palo di una fermata con la scritta: “Se sei incinta e disperata: Call Jane!” seguito da un numero di telefono.

“Incinta e disperata” Joy chiama Jane dietro il cui nome scopre un’organizzazione clandestina ideata e gestita da Virginia (Sigourney Weaver), una militante femminista che da anni aiuta donne, ragazze e purtroppo anche bambine a porre fine a una gravidanza indesiderata.

Grazie a “Jane” Joy riesce ad abortire senza strascichi fisici o legali, ma quelli emotivi e morali li dovrà affrontare da sola, visto che Will è all’oscuro di tutto volendo credere fin troppo facilmente all’aborto spontaneo che la moglie gli ha raccontato.

Ma un pomeriggio sarà “Jane” a chiamare Joy…

Scritta da Hayley Schore e Roshan Sethi questa pellicola, anche se presenta alcune evidenti lacune proprio nella sceneggiatura, ha comunque il merito di ricordarci quanto è stato doloroso e esasperante ottenere la legalizzazione dell’aborto negli Stati Uniti così come in tutto il resto dell’Occidente.

Io che sono un uomo non mi permetto di giudicare o disquisire troppo sull’interruzione volontaria di una gravidanza che considero tema e problematica di cui solo le donne hanno ragione di scegliere e decidere, reputo quindi importante vedere pellicole come queste per cercare di capire meglio e riflettere su un tema tanto serio e profondo.

Ma giudico senza remore chi, indipendentemente dal genere, esprime giudizi spesso superficiali e patriarcali sull’aborto del quale nel nostro Paese, fino a pochissimi decenni fa, decidevano e legiferavano solamente gli uomini. Ed è a quelli che, evidentemente, si ispirano nostalgicamente alcune donne che considerano l’aborto “purtroppo” un diritto nel nostro Paese.

“Sette minuti dopo la mezzanotte” di Juan Antonio Bayona

(USA/Spagna, 2016)

Tratto dal romanzo per ragazzi dell’angloamericano Patrick Ness (che ha accettato di elaborare e concludere l’idea iniziale della pluripremiata scrittrice anglosassone Siobhan Dowd stroncata a 47 anni da un cancro al seno) “Sette minuti dopo la mezzanotte” ci racconta di una delle tragedie dell’infanzia: il rapporto con la morte.

Conor è un bambino solitario che da tempo deve convivere con la malattia atroce che ogni giorno consuma sua madre (Felicity Jones).

A scuola è quotidianamente vittima delle angherie di un compagno di classe e a casa, oltre alla madre, non ha nessuno con cui davvero confidarsi. Suo padre, infatti, dopo aver divorziato si è trasferito negli Stati Uniti dove ha creato una nuova famiglia. E sua nonna, la signora Clayton, la madre di sua madre (non a caso interpretata da una sempre brava Sigourney Weaver) è una donna molto dura e formale.

Conor è poi vittima di un incubo atroce, che non riesce neanche a ripensare durante il giorno, ma che lentamente lo sta consumando.

Una notte, però, il grande tasso che troneggia sull’antico cimitero che vede in lontananza dalla sua finestra prende vita, e lo afferra annunciando che gli racconterà tre storie, finita l’ultima sarà lo stesso Conor a dover raccontargli la sua.

A nulla serviranno i rifiuti del ragazzino, l’albero mostro sarà implacabile…

Struggente pellicola con un cast davvero di prim’ordine e una regia fantastica. Nella versione originale la voce dell’albero mostro è quella di Liam Neeson, che appare di sfuggita in un ruolo che all’inizio sembra marginale.

Davvero un bel film.

“Paul” di Greg Mottola

(UK/USA, 2011)

Simon Pegg è diventato famoso in Gran Bretagna, assieme a Nick Frost, con la “Trilogia del cornetto”, una serie di film demenziali horror/comici. Poi sono iniziati i ruoli nelle grandi produzioni come “Mission Impossible” o “Star Trek”. Ma con questo “Paul”, Pegg torna alla fantascienza demenziale.

Scritto e interpretato assieme a Nick Frost, anche lui coprotagonista della trilogia demenziale e poi interprete di varie pellicole di ottima qualità (come “Kinky Boots – Decisamente diversi” o “I Love Radio Rock“) “Paul” ci racconta l’avventura americana di due nerd inglesi, Greame (Pegg) e Clive (Frost) che, con i risparmi di una vita, organizzano un viaggio negli USA per partecipare prima al mitico Comic-Con e poi, affittando un camper, fare un viaggio-pellegrinaggio nei luoghi cult dell’ufologia locale. Ma sulla loro strada incappano in Paul, un extraterrestre in fuga da un laboratorio segreto governativo, che i due decidono di aiutare.

Demenziale fantacommedia con alcuni momenti davvero divertenti e citazioni a non finire. Da ricordare l’interpretazione di Kirsten Wiig (fra le migliori attrici comiche contemporanee e doppiatrice di tutti i “Cattivissimo Me”) nel ruolo di Ruth, una ragazza frutto del più becero bigottismo americano che grazie a Paul …vede la luce. E quella di Jeffrey Tambor nei panni di un arrogante scrittore di fantascienza. Piccolo e gustosissimo cameo della grande Sigourney Weaver. Per appassionati e, soprattutto, dementi fanatici di fantascienza (…come me).

Per la chicca: nella versione originale Paul è doppiato da Seth Rogen, nella nostra davvero magistralmente da Elio.