“Jojo Rabbit” di Taika Waititi

(Nuova Zelanda/USA/Repubblica Ceca, 2019)

Nel 2004 la scrittrice neozelandese/belga – di origini italiane – Christine Leunens pubblica il romanzo “Come semi d’autunno” ambientato nella Vienna della fine della Seconda Guerra Mondiale, il cui protagonista è il diciassettenne Johannes Betzler.

Nel 2019 il regista e attore neozelandese Taika Waititi (scelto dalla Disney per dirigere “Thor: Ragnarok”) decide di portarlo sullo schermo, realizzando un film surreale ma allo stesso tempo molto bello e doloroso.

Johannes Betzler è un bambino di dieci anni affascinato dal grande leader supremo del suo invincibile Paese: Adolf Hitler. Johannes, che tutti chiamano Jojo, fa parte della gioventù hitleriana e vive nella Vienna del 1945, dove già si respira l’aria dell’inevitabile e disastrosa sconfitta, e proprio per questo il clima è disperato e feroce.

Ogni piccola decisione della sua giornata Jojo la stabilisce proprio insieme a Hitler (lo stesso Waititi) o meglio, al Führer immaginario che gli parla quasi continuamente nella sua testa. Come gli altri coetanei, Jojo viene mandato in un campo di addestramento comandato dal Capitano Klenzendorf (un bravissimo Sam Rockwell) che, avendo perso un occhio in battaglia, non è più abile a combattere in prima linea. Per dimostrare di essere coraggioso come gli altri Jojo si ferisce gravemente con una granata.

Tornato a casa, grazie alle cure di sua madre Rosie (una davvero brava Scarlett Johansson che per la sua interpretazione è candidata all’Oscar come miglior attrice non protagonista) Jojo torna a camminare e, nonostante la brutte ferite al volto, anche ad uscire di casa. Il suo mondo però vacilla pericolosamente quando scopre che proprio Rosie ospita clandestinamente in casa una giovane ragazza ebrea…

Con toni che ricordano quelli de “La vita è bella”, Waititi ci racconta la dura infanzia di un bambino che ha la sola colpa di essere nato nel momento sbagliato e nel posto sbagliato, cosa tanto attuale quanto tragica, come ci ricorda Zalone nel suo “Tolo tolo”.

La storia – soprattutto quella del libro – è molto vicina a quella del bellissimo romanzo “Situazione disperata… ma non seria” scritto da Robert Shaw nel 1960 con il titolo originale “The Hiding Place”, ma se allora il ricordo del conflitto mondiale era alle spalle, oggi Waititi ci ricorda come il pericolo di un conflitto e delle sue tragiche conseguenze siano drammaticamente vicino, sia nello spazio che nel tempo.

E che, soprattutto, la cosa dipende da noi.  

“Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh

(USA, 2017)

Al di là dei numerosissimi premi che ha già vinto (e con l’approssimarsi della consegna degli Oscar 2018, molto probabilmente ancora vincerà) “Tre manifesti a Ebbing, Mossouri” è davvero un gran bel film.

Scritto e diretto da Martin McDonagh, la pellicola – il cui titolo in italiano rispecchia, per una volta correttamente, il titolo originale “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri” – ci consegna una prova d’attrice formidabile della già premio Oscar Frances McDormand.

Mildred (la McDormand) decide di affittare per un anno tre grandi cartelli pubblicitari nelle vicinanze della sua casa, nei pressi della piccola cittadina di Ebbing. Sui grandi cartelli fa scrivere tre domande dirette allo sceriffo Willoughby (Woody Harrelson) in relazione allo stato delle indagini sull’assassinio di sua figlia adolescente avvenuto sette mesi prima.

La ragazza, appena uscita di casa, fu rapita, brutalmente seviziata e stuprata mentre moriva, per poi essere data alle fiamme. Willoughby ha battuto tutte le strade, ma purtroppo non è comparso nessun indizio. Se prima tutta la cittadina era spiritualmente con Mildred, il suo gesto, che rovescia ovviamente molta pubblicità negativa sulla Polizia locale, indispettisce molti benpensanti. Ma la donna non ha la minima intenzione di fermarsi…

Strepitosa commedia noir, con un cast davvero superbo che vede oltre alla McDormand e Harrelson, anche un grande Sam Rockwell nei panni dell’ottuso e razzista agente Dickson.

Da vedere.

“Moon” di Duncan Jones

(UK, 2009)

Scritto dallo stesso Duncan Jones (figlio del Duca Bianco David Bowie) insieme a Nathan Parker, “Moon” è uno dei migliori film di fantascienza pura degli ultimi anni.

L’elio-3 è diventato la principale fonte energetica della Terra. La potente Lunar Industires lo ottiene dal sottosuolo lunare e lo stocca nella sua base Sarang, per poi inviarlo sulla Terra.

Il sistema di estrazione e stoccaggio è tutto automatizzato, necessita solo di un operaio che supervisioni i vari processi.

E Sam Bell (un bravissimo e alienato Sam Rockwell) è finalmente giunto alla fine del suo solitario triennio sul satellite terrestre. Mancano poche settimane prima del suo rientro a casa, sulla Terra, dove lo aspettano la piccola figlia e la moglie, ma Sam inizia ad avere strane e inquietanti allucinazioni…

Tranquilli, non ci sono mostri o alieni, ma l’allucinante film di Jones ci pone una altrettanto terrificante domanda: a che punto siamo disposti a spingerci per sfruttare le nostre risorse?

Bello e inquietante, proprio come dovrebbero essere i film di fantascienza.

Per la chicca: nella versione originale GERTY, l’intelligenza artificiale che gestisce Sarang, ha la voce morbida e inquietante di Kevin Spacey.