“Mosca a New York” di Paul Mazursky

(USA, 1984)

Vladimir Ivanoff (un bravissimo Robin Williams) è un sassofonista che lavora presso la banda di un circo di Mosca. Suo nonno è stato un grande comico e un grande artista, ma ormai è relegato nel piccolo appartamento nel quale vive Vladimir coi genitori e i fratelli.

Siamo agli inizi degli anni Ottanta e a Mosca, nonostante sia la capitale dell’Unione Sovietica, i beni di prima necessità, come la carta igienica, sono molto rari e si ottengono solo dopo lunghissime file e interminabili ore di attesa. Ma a Vladimir, infondo, va bene così, anche se sogna l’America, soprattutto quella del grande jazz.

Il suo amico e collega di lavoro Anatoly (Elya Baskin) che al circo fa il clown, invece, non riesce più a sopportare un’esistenza condizionata prepotentemente dal regime comunista che gli toglie ogni sogno e speranza, e ogni giorno promette a se stesso e a Vladimir che prima o poi fuggirà in Occidente.

L’occasione arriva quando il circo viene invitato per qualche giorno a New York per un’esibizione nell’ambito dei rapporti amichevoli fra USA e URSS. Proprio tornando all’aeroporto il pullman con gli artisti circensi si ferma da Bloomingdale’s per alcuni “souvenir” e Anatoly, nonostante la stretta sorveglianza degli agenti del KGB, confida a Vladimir di volere agire lì e chiedere asilo politico. Ma all’ultimo istante il clown non trova il coraggio di fare quel gesto che brama da tutta la vita e così, sconfitto, segue docilmente i suoi rigidi custodi.

La cosa, però, dona forza e volontà a Vladimir che grazie anche a Lucia (Maria Conchita Alonso) una commessa del reparto profumeria, e Lionel (Cleavant Derricks) un addetto alla sicurezza del grande magazzino, riesce a chiedere asilo politico alle autorità americane.

Inizia così una nuova esistenza per Vladimir che, volente o nolente, deve abbandonare per sempre quella passata, sapendo bene che non potrà mai più rivedere la sua famiglia. Ad aiutarlo ed accoglierlo saranno gli stessi Lionel e Lucia, ma soprattutto una folta schiera di immigrati come lui che negli Stati Uniti sono arrivati con ogni mezzo, sperando di realizzare i propri sogni. Ma la realtà non è sempre così rosea…

Scritto dallo stesso Mazursky assieme a Leon Capetanos, questo film ci racconta con i toni della commedia il dramma ed il dolore di un essere umano costretto a lasciare la sua casa e i suoi affetti per cercare un’esistenza migliore e più dignitosa, dove non dover passare l’interna giornata in fila per avere un paio di rotoli di carta igienica o poter suonare liberamente la musica jazz, senza paura di essere arrestato.

Inoltre, ci regala una bellissima interpretazione di Robin Williams, fra le sue migliori in assoluto, che dimostra – se davvero ce ne fosse ancora bisogno – che solo un grande comico può far piangere. Purtroppo il film venne completamente ignorato dall’establishment contemporaneo a stelle e strisce, che non gradì la critica che il film faceva alla società americana del tempo. E così Williams, anche se vinse il Golden Globe – votato dalla stampa straniera – per la sua performance, venne completamente ignorato agli Oscar.

In realtà “Mosca a New York” non critica tutta la (multietnica) società americana, ma quella parte che sguinzagliò il più feroce e incontrollato capitalismo pur di battere economicamente l’Unione Sovietica; parte che aveva il suo paladino nel presidente Reagan. Se è vero che quelle scelte economiche contribuirono fattivamente ad abbattere il muro di Berlino, è vero anche che alcune di esse, a distanza di tanti decenni, noi le stiamo ancora pagando.

E così, proprio a ridosso della rielezione di Reagan, questo film fu visto dalla parte più conservatrice e reazionaria della società americana come fumo negli occhi, tanto da rischiare di rovinare la carriera di Williams, che fu costretto ad interpretare, poi per molto tempo, solo ruoli più superficiali e leggeri.

Per la chicca: nel film Valdimir e Lucia vanno al cinema a vedere “Una donna tutta sola” diretto dallo stesso Marzusky nel 1978; bellissima e amara pellicola che venne candidata all’Oscar come miglior film e per la quale lo stesso regista venne candidato come miglior sceneggiatore.

Robin Williams

Sulle drammatiche circostanze della morte di Robin Williams è inopportuno e futile soffermarsi, vale la pena solo riflettere su una grande e apparente contraddizione dell’essere umano: le vite reali di molti straordinari comici sono state spesso difficili e drammatiche.

Oggi è giusto semplicemente ricordare quello che ci ha lasciato in termini di divertimento e sane risate.

Tutti, o quasi, considerano i suoi più grandi successi la serie “Mork & Mindy” (1978-1982) e il film “L’attimo fuggente” (1989).

La prima, di cui ero patito da pischello, a riguardarla oggi rasenta la noia più banale – salvo alcune grandi gag, soprattutto fisiche, di Williams – esattamente come la serie di cui fu uno spin-off “Happy Days”.

Per il film di Peter Wier, invece, ancora mi esalta la scena finale con tutti in piedi sui banchi, e quel mite e travolgente professor Keating per il quale Williams fu candidato all’Oscar, che vinse solo una volta e per il film ”Will Hunting” (1997).

Se vanno ricordate le sue interpretazione in grandi pellicole come “Good Morning, Vietnam” (1987), “La leggenda del re pescatore” (1991), “L’uomo dell’anno” (2006) e soprattutto “Jack” di Francis Ford Coppola (1996) – bel film con uno straordinario Williams che però non ha avuto il successo che meritava forse perché racconta una storia davvero troppo triste e dolorosa – io l’ho sempre amato nel piccolo lungometraggio indipendente “Mosca a New York” diretto da Paul Mazursky nel 1984.

Wladimir Ivanoff – un barbuto quanto bravo Robin Williams – è un musicista russo che decide di scappare dall’austera e rigida Unione Sovietica affascinato dall’Occidente. Ma la sua integrazione con la luccicante way of life americana sarà più dura e difficile del previsto.

Deliziosa e graffiante satira del rampantismo reaganiano, “Mosca a New York” è un film che se in programmazione deve essere rivisto, e costò al suo protagonista l’accusa – già allora anacronistica e capziosa – di “comunista”.

Ma che tristezza adesso! Con quel suo faccione simpatico che dispensava sorrisi a tutti…

Che almeno il viaggio che ha appena iniziato sia più sereno della vita che si è appena conclusa.